Autore: gigifaggella

arriva un momento della vita in cui ti rendi conto che stai vivendo un'esistenza che forse non è la tua...non è quello che cercavi. Allora devi avere il coraggio di fermarti e tornare sui tuoi passi, cercando quel sentiero che ti conduca dove vuole la tua anima. E non importa se è poco battuto o in salita, l'importante è che lo senta tuo.

Imagine…

E’ il titolo di una delle più belle e visionarie canzoni mai scritte e probabilmente, proprio per questo, ha avuto un successo che pochi altri brani musicali possono vantare.
Il grande John Lennon ha voluto lanciare un messaggio forte con quella canzone; il suo testo era avanti di secoli sullo stato dell’umanità. Semplice e complicato allo stesso tempo.
Purtroppo quasi tutti probabilmente si sono fermati alla musicalità della sua opera, ammantata dalla fama infinita che il suo autore poteva vantare, ma il suo messaggio era rivolto molto più in profondità.
Immaginare che non esistano più paradisi ed inferni, che tutti possano vivere l’attimo presente, che le religioni ed i confini tra le nazioni scompaiano…
Visionario, certo, ma anche illuminato perchè è questo a cui il genere umano deve aspirare ma sembra così facile da dire e così difficile da attuare.
Io ci aggiungerei anche qualcosa d’altro che in pratica impedisce la realizzazione del desiderio dell’ex Beatle.

La sfida, la competizione tra le persone si è riflessa anche sul piano sportivo, scolastico, lavorativo, quindi immagina se allo stadio non andasse più nessuno a vedere uno spettacolo che, se uno ci pensa bene, è davvero demenziale.

Immagina se nessuno pagasse più l’abbonamento alle pay tv che trasmettono il calcio. Sarebbero costrette ad adeguare i programmi alle rinnovate esigenze delle persone che, ci si augura, saranno un pò più elevate.

Immagina se a votare alle elezioni non ci andasse più nessuno. I politici non sarebbero più eletti e si dovrebbe cambiare tutto il sistema. Magari ne viene fuori qualcosa di buono, perchè tanto peggio di così sarebbe davvero impossibile.

Immagina se tutti si mettessero a leggere i classici della letteratura invece che le biografie di rapper e calciatori…si svilupperebbe una consapevolezza ed una compassione incredibile e la vita di tutti cambierebbe in meglio.

Immagina se tutti lavorassero di meno. Siamo una società ipertecnologica che però non è riuscita a delegare alle macchine nemmeno un minuto del nostro lavoro, anzi lo ha persino aumentato e non si capisce come sia potuto succedere.

Immagina se tutte le persone si svegliassero davvero…

The Ark Lab

Questa volta voglio raccontarvi di qualcosa in cui sono direttamente e personalmente coinvolto.
E’ un progetto che avevo nel cuore da sempre, legato ai miei interessi veri, ma quel qualcosa che governa le nostre vite facendoci credere che siamo noi a decidere, ha stabilito che questo fosse il momento giusto per iniziare questo percorso perchè prima non me ne ha mai data l’opportunità. Quando si guarda un panorama dall’alto si possono cogliere sfumature impensabili rispetto a quelle di cui sei consapevole restando a terra. Era questo il momento per una nuova sfida e l’ho colto.
La bellezza e la sincronicità di tutto questo è che posso condividere questo progetto con amici a me cari, che rappresentano il mio punto di riferimento, insieme ad altre persone, sconosciute, che rappresentano il futuro e la novità, che è quello che ci spinge ad andare avanti per scoprire nuovi orizzonti affascinanti. Passato e futuro riuniti.
Un antico proverbio ebraico afferma: “L’uomo fa progetti e Dio ride”. Io avevo progettato di fare l’avvocato, ma, evidentemente, questa cosa aveva fatto piegare qualcuno in due dalle risate ed ha cercato di farmi capire che ero fuori strada. Mi ricorda vagamente il gioco della “pentolaccia” o “pignatta” che si fa a carnevale quando sei bendato e devi colpire il tuo recipiente pieno di dolcetti ed altre prelibatezze. Senti le risate di chi ha gli occhi liberi che guardano questo poveraccio che tira bastonate nell’aria e ce la mette tutta senza colpire niente, rischiando pure di farsi male, mentre i tuoi dolcetti sono da tutt’altra parte.
Se potessimo tutti giocare a quel gioco-metafora della vita con gli occhi aperti basterebbe un solo colpo per ottenere il premio, quindi qualcuno, dopo essersi fatto grasse risate osservando la mia inettitudine, mi ha tolto la benda dagli occhi perchè finora la pignatta non l’avevo nemmeno sfiorata.
Ok, ma veniamo al dunque. Cos’è The Ark Lab?
Riassumerlo in poche parole non è facile, certamente è qualcosa di unico, di sperimentale, un laboratorio alchemico umano in cui alla base di tutto c’è l’interazione tra chi organizza e tiene determinati corsi e coloro, da ogni parte del mondo, che sceglieranno di parteciparvi.
Non è una “scuola”, almeno non nel senso classico del termine perchè nessuno ha la pretesa di assurgere al ruolo di insegnante; diciamo che è un periodo in cui alcune persone mettono a disposizione di altre una certa esperienza di vita senza pensare che essa sia quella giusta da trasmettere, ma restando aperti alle esigenze ed alle peculiarità di chi ti sta di fronte che sono diverse per ognuno. Noi abbiamo solo stabilito un filo conduttore, il resto sarà una sorpresa per tutti.
Gli argomenti sono raggruppati in tre macrocategorie: tecnologie esponenziali, prasseologia e metafisica. Per noi rappresentano il futuro, infatti sono concetti ancora parzialmente sconosciuti ma siamo sicuri che “risuoneranno” in chi avrà voglia di approfondire gli argomenti.
Ci sarà modo di approfondire il simbolismo attraverso gli archetipi universali, capire perchè il comportamento umano va in una certa direzione e cercheremo di dare nozioni indicative sulle nuove tecnologie e sulla nuova economia.
Immaginate di dovervi sedere in circolo con persone sconosciute e raccontare delle vostre paure, recitare una poesia di autori famosi con la vostra unicità ed il vostro trasporto liberandovi dalle paure di farlo, di interpretare a braccio un’opera teatrale creata tutti insieme o ancora provare a leggere i tarocchi ad uno sconosciuto senza saperlo fare, solo interpretando i simboli, o ancora cercare di colorare la musica. C’è da ubriacarsi anche senza alcol..
Insomma tutto il contrario della routine della vita, per avventurarsi, mano a mano, su sentieri sconosciuti che potrebbero nascondere quella che è la vera strada per la vostra anima. E’ la tana del bianconiglio.
Il tutto in una cornice suggestiva che è la Puglia in un periodo in cui l’estate non ha ancora lasciato il posto al freddo inverno, scoprendo sapori e colori che accompagneranno il colore ed il sapore di qualcosa di nuovo che abbiamo dentro.
Certe cose non possono essere descritte con le parole, bisogna viverle e solo dopo si potrà capirle, ed a quel punto apprezzarle o criticarle.
Mi sono un pò lasciato trasportare dall’entusiasmo di questa novità in cui credo fermamente…per chi avesse voglia di saperne di più, qui sotto c’è il link al sito…
[https://www.thearklab.net/]

Resilienza

questa sconosciuta…
In effetti questo è un termine preso in prestito dalla fisica ed in questo settore è la capacità di un materiale di assorbire un urto senza rompersi. Pensate all’abissale differenza che ci può essere tra la gomma ed il vetro. Quale sia il materiale più resiliente risulta immediatamente intuitivo.
Sarà il fatto che tutto ciò che viene dalla fisica è considerato come materia riservata solo agli addetti ai lavori, ma il lessico quotidiano ha mutuato quel termine e lo ha applicato anche agli esseri umani, coniando un concetto che finora sembra utilizzato solo dagli psicologi.
Non ci vuole uno scienziato per capire che il grado di resilienza di un essere umano è determinato dalla sua capacità di reggere agli urti…ma non certo quelli fisici, bensì quelli emotivi che la vita ci mette di fronte quotidianamente.
Quello di resilienza è un concetto fondamentale nella vita di una persona ma è un termine ancora poco usato e semisconosciuto.
Riassumendo, una persona resiliente è una persona “con le palle”, una che non si lascia scoraggiare dalle difficoltà e combatte quotidianamente a dispetto dei fallimenti per raggiungere il suo progetto di vita. E’ la persona che cade cento volte e cento volte si rialza perchè, come un bambino quando impara a camminare, sa che alla fine ce la farà, malgrado tutto. I resilienti sono i supereroi della strada, gente comune che possiede una caratteristica che sembra mancare alla maggior parte delle persone.
Le persone resilienti sanno che non conta tanto il risultato ma il fatto che ce l’hanno messa tutta e che dietro ogni angolo c’è una nuova sfida da vincere.
Le persone resilienti usano i loro fallimenti come bussola e si rendono conto di essere ciò che sono non tanto per i successi ma soprattutto per le sconfitte.
Le persone resilienti sono pazienti di natura, sanno che avranno altre occasioni per tagliare lo stesso traguardo.
Le persone resilienti non restano attaccate a quello che non c’è più e sono quelle che guardano avanti senza fermarsi a rimpiangere quello che è stato.
Le persone resilienti cadono perchè affrontano percorsi sconosciuti che loro stessi hanno scelto, perchè cadere sulle proprie scelte è diverso che cadere su scelte che hanno suggerito altri.
Le persone resilienti sono quelle che finora hanno cambiato il mondo, scienziati derisi che poi hanno vinto il nobel a distanza di decenni…Peter Higgs ne è un esempio, ma è una tradizione che iniziò un tale chiamato Galileo Galilei.
Le persone resilienti sono quelle che se hanno raggiunto una meta non si fermano e sono pronte a ricominciare, a cadere e rialzarsi, perchè forse è proprio quello il bello della vita.
Ma la notizia buona è che la resilienza non è un dono di natura. Si può coltivare, sviluppare, abbandonando gli schemi, uscendo dalla propria comfort zone per affrontare le sfide della vita a testa alta senza piangersi addosso, perchè in qualunque situazioni ci si trovi, se si rinuncia a lottare si è già perso.

Pidocchio

Nel paese di Spendaccia, enclave internazionale, la popolazione locale viveva nel lusso e nell’abbondanza, poichè apparentemente si trattava di un’isola felice dove il governo diceva che la disoccupazione era in calo e gli stipendi erano molto più alti della media.
Qui le attività commerciali fiorivano e le persone trascorrevano la maggior parte del loro tempo libero facendo shopping compulsivo, acquistando anche beni di lusso ed oggetti per la maggior parte perfettamente inutili.
Il sindaco del posto, il Dottor Malandro Manibuche (lui amava pronunciarlo alla francese “Manibusc’”), che non aveva molto da fare, senza problemi di migranti e delinquenza, aveva emesso un editto che addirittura abbassava le imposte su tartufi ed aragoste ed un pieno di benzina alla Ferrari costava quanto un pieno di un motorino a Napoli. La sede comunale era stata progettata dall’arcinoto designer Renzo Pianerottolo ed alla mensa sulla roof-terrace, una volta alla settimana, veniva a cucinare il noto chef Craccola, ovviamente pagati dai soldi dei contribuenti che però erano felici di questo.
In un impeto di generosità politica, il dottor Manibuche si vantava di aver accolto a Spendaccia un migrante che viveva in un enorme attico affacciato sulla strada principale ed aveva 15 persone di servitù ed una piscina sul terrazzo e tre volte alla settimana organizzava rumorosi bunga-bunga. I media sinistrorsi insinuarono che non si trattava di un migrante, bensì del nipote dello sceicco Alì Al Vizyat che era stato mandato a Spendaccia in punizione dallo zio per aver rigato la carlinga del Boeing 777 di famiglia volando completamente ubriaco.
A Spendaccia, durante i saldi, i prezzi aumentavano e gli entusiasti cittadini facevano la fila per accaparrarsi splendide cose inutili a prezzi esorbitanti.
In un quartiere residenziale alla periferia di Spendaccia viveva il figlio di un falegname che era stato tra i padri fondatori del paese e che aveva contribuito, col suo duro lavoro, a far diventare quel posto uno dei più privilegiati al mondo.
Il suo nome era Nicolò Dell’arca ma per tutti i cittadini di Spendaccia il suo soprannome era “Pidocchio” perchè non partecipava mai alle iniziative cittadine mondane e non lo si vedeva mai nei lussuosi centri commerciali del paese a fare acquisti.
Il particolare nick gli era stato appioppato dalla contessa Pinina Zoccoletti De Inutilis che faceva parte dell’elite spendacciona del posto che non capiva come Nicolò potesse essere nel novero dei rispettabili cittadini del paese senza prendere parte a nessuna delle iniziative “social” che si svolgevano quotidianamente a Spendaccia.
Nicolò era solito fare la spesa nel minimarket del suo quartiere invece che al mega centro commerciale “Vinkulo” di proprietà del commendator Gattis e di sua moglie, signora De Vulpis. Inoltre girava a bordo di un’utilitaria che aveva da più di dieci anni ed aveva un cellulare del tipo di quelli che si aprono “a cozza” invece che, come tutti i suoi concittadini, l’ultimo modello di smartphone che vibrava quando era il momento di andare a pisciare perchè ti mandava l’alert del messaggio di “vescica piena”.
Gli influencer di Spendaccia prendevano in giro “pidocchio”, parafrasando una nota favola, dicendo che ogni volta che Nicolò andava al risparmio, gli si accorciava il braccio destro, da qui anche l’altro soprannome che gli avevano appioppato, “braccino”.
Nicolò però aveva la dote di sbattersene alla grande delle maldicenze altrui, sorrideva a chiunque e continuava a condurre la propria vita nel modo che riteneva più opportuno perchè era felice così com’era. Aveva infatti una famiglia con cui viveva sereno, leggeva decine di libri e, durante le notti stellate, preferiva alzare gli occhi al cielo e porsi domande difficili, piuttosto che averli abbassati sullo schermo di uno smartphone o di una TV ed ascoltare le domande stupide di qualche telequiz poste da un tizio superabbronzato con un sorriso falso come una banconota da 15 euro e coi capelli impomatati con un improbabile papillon rosso su un orribile abito color verde Shrek.
Quasi tutti i cittadini di Spendaccia avevano il conto corrente in una delle due grandi banche del paese, la banca Bidolanum o il Monte dei Pacchi di Sera che elargivano mutui ed emettevano bond come caramelle in maniera che gli spendacciani potessero continuare a comprare tutto il comprabile indebitandosi fino alla cima dei capelli oppure investendo anche quello che ancora non avevano guadagnato. Il prodotto che andava a ruba era denominato “Melo day a babbo morto”; un prestito dilazionato in rate infinite che ti schiavizzava fino alla fine dei giorni, però se non pagavi due rate venivano a toglierti tutto, anche le mutande e ti cacciavano da Spendaccia, perchè se volevi vivere lì dovevi sottostare alle regole del sistema.
Quando Nicolò riuscì a mettere da parte una bella sommetta, chiuse il conto, incassò l’intera cifra e si trasferì a vivere con la sua famiglia in un paradiso fiscale sudamericano dove il suo capitale, adesso si gli consentiva di vivere una vita molto agiata senza la facciata di Spendaccia e le truffe delle sue banche.
Un bel giorno, mentre Nicolò faceva colazione al tavolino del suo bar preferito in riva al mare del paesino in cui viveva, lesse sul giornale che Spendaccia e le sue banche erano falliti, l’economia crollata ed i suoi abitanti fuggiti in continente a fare i braccianti elemosinando un posto di lavoro.
Nicolò si concesse un sorriso sardonico e continuò a bere il suo caffè mentre i raggi del sole gli accarezzavano il viso.

L’effetto Dunning-Kruger

Il grande Dostoevsky affermava che “la bellezza salverà il mondo” e la sua ottimistica previsione ritengo possa essere condivisa da molti ma, come in ogni vicenda umana, vi è sempre un lato oscuro che si può riassumere nell’affermazione che “l’ignoranza e la stupidità il mondo lo stanno distruggendo”.
L’ affermare che qualcuno è stupido o ignorante è sempre da adoperare con cautela verbale ma ritengo che, restando a livello di semplice pensiero non espresso, sia l’idea più comune in assoluto che le persone provano quando hanno davanti altra gente che poco sopporta o non la pensa alla stessa maniera.
Forrest Gump semplicisticamente affermava che “stupido è chi lo stupido fa”, ma forse in pochi sanno che ignoranza (nel senso di poca istruzione) e scarsa flessibilità mentale sono direttamente proporzionali alla sovrastima che la persona ha di se stessa. Oh oh, argomento scomodo, vero? Eppure due psicologi americani, David Dunning e Justin Kruger hanno deciso di studiare questo fenomeno da un punto di vista scientifico, riscontrando evidenze empiriche che sono state riassunte appunto con il nome di “effetto Dunning-Kruger”.
In estrema sintesi, le persone meno esperte tendono a sopravvalutare le loro abilità, mentre i più esperti sono insicuri e dubitano sempre delle loro capacità.
Del resto questa evidenza era già nota da millenni, da quando cioè l’uomo forse più saggio di tutti i tempi, il filosofo greco Socrate, candidamente affermò “So di non sapere”, o quando, secoli dopo, il grande William Shakespeare sosteneva che “Il saggio sa di essere stupido; è lo stupido che crede di essere saggio”.
Per i due scienziati americani questo succede essenzialmente per due ragioni: primo, gli stupidi non sono in grado di giudicare oggettivamente se stessi (in linguaggio psicologico questa capacità si chiama “metacognizione”), secondo, non riescono a rendersi conto della superiorità delle abilità altrui. Ciò avverrebbe per l’incapacità di costoro di imparare dai propri errori.
La conferma è poi arrivata dal fatto che è stato verificato che le persone con il quoziente intellettivo più basso si ritengono più intelligenti di quanto in realtà siano.
Al contrario, quindi, i più dotati tendono a credere che ciò che fanno sia semplice e che le loro doti siano comuni.
Tutto questo, però, non deve essere visto come un modo di categorizzare le persone, perchè l’effetto Dunning-Kruger si applica a tutti, non soltanto agli “altri”. Ognuno di noi, in determinate circostanze, potrebbe non essere in grado di valutare correttamente le proprie abilità. Questo accade perchè la nostra mente tende, per natura, a confermare ciò che già conosce e rifiutare tutto il resto.
Le persone incompetenti, nelle strategie che adottano per ottenere successo e soddisfazione, sono schiacciate dunque da un doppio peso: non solo giungono a conclusioni errate e fanno scelte sciagurate, ma la loro stessa incompetenza gli impedisce di rendersene conto. Al contrario, loro hanno l’impressione di cavarsela alla grande.
Per chi volesse approfondire l’argomento, consiglio la lettura del libro di Antonio Sgobba, giovane giornalista italiano, dal titolo “Il paradosso dell’ignoranza, da Socrate a Google”.
L’unico rimedio a questa situazione, che appare molto pericolosa anche all’atto pratico, nei molteplici settori della vita quotidiana, è quello di mantenere la mente aperta perchè abbiamo sempre qualcosa da apprendere dagli altri, bambini ed animali compresi, anzi forse sono queste due ultime e snobbate categorie ad essere i nostri più grandi maestri.

Facebook people

Se ci fate caso, ognuno, sul social per antonomasia, ha un suo stile, come è normale che sia del resto, allo stesso modo come lo si ha nel vestire, nel parlare e nelle abitudini e gusti della vita di ogni giorno.
L’approccio ai profili altrui si può suddividere in due categorie: quelli che abitualmente, come passatempo preferito, si fanno i cazzi degli altri (quasi la totalità) e quelli invece che vanno oltre l’apparenza del postato per cercare di capire meglio il carattere e la personalità di chi frequenta, virtualmente o nella vita di tutti i giorni.
E’ chiaro che la prima categoria di persone si fermerà a discutere sull’abito indossato da “quella”, mettendo un bel “like” e commentando “stai benissimo tesoro” mentre in realtà pensa (e magari scrive a qualcun altro) “ma non si vergogna? con quei leggins sembra una mortadella, ndo cazzo va?”. E così via sui giudizi di case (“mamma mia che cafonata quel divano!”), fidanzate/i (“ma con che cesso si è messa/o?”), viaggi (“figurati…la crociera l’avrà vinta coi punti dell’Esselunga”), e chi più ne ha più ne metta.
La seconda categoria, quella dei veri “studiosi” social, va invece oltre la mera apparenza dei post presi singolarmente e si concentra su una visione di insieme, guardando da un’ottica più elevata che può fornire una incredibile mole di informazioni sul carattere e la personalità di chi posta. Chissenefrega se ha la camicia macchiata nella foto profilo o il divano a fiori viola e verdi a casa.
Le persone postano le foto che ritengono migliori e scrivono ogni genialata che gli viene in mente, credendo di mostrare il loro lato migliore senza accorgersi che nel complesso, caratterialmente, si mettono più a nudo di una pornostar al lavoro. E se inizi a ragionare così, chiudi il profilo e ti rifugi sulla luna. Per la fortuna di Facebook non lo fa nessuno…
Passando ad una categorizzazione molto generale dei tipi social, ecco che spiccano su tutte, alcune categorie:
1) L’INDIGNATO
Questa comunissima specie facebookiana si suddivide a sua volta in due sottocategorie:
– l’indignato sociopolitico: è quello che se la prende puntualmente con il governo di turno, coi politici di tutto il mondo, coi migranti, con i cacciatori, con la moda, con fantomatici terroristi, con le scie chimiche, con le meduse, con i terratondisti, con i preti pedofili, insomma con tutto quello che non va come dice lui, postando, a fondamento delle sue invettive, sondaggi, citazioni e filmati che certe volte sono bufale così evidenti che farebbero sorridere anche un bambino, ma lui non se ne accorge nemmeno, e posta senza ritegno aggiungendo commenti incazzati del tipo “basta! Questa situazione deve finire…ognuno a casa sua! Bastardi! Ladri! Il presidente tizio vada a schiacciare i ricci col culo, il governatore caio deve andare in esilio a Tripoli, ci stanno manovrando gli alieni, mio fratello è figlio unico, ecc, ecc”. E la cosa peggiore è quella che si trascina dietro una mandria di commentatori che lo appoggiano pure.
– L’indignato sportivo: qui si creano di solito due grandi blocchi: gli juventini e gli antijuventini. E giù fotoframe di VAR, commenti tecnici degni del peggior Bergomi fumato, rosicate di qua, godo di la, CR7 contro H2O, abbiamo preso Abedì Pobà dal Castrocaro terme, il Pippita è ingrassato come un bue ma la mette dentro e la moglie di quello ha le tette più grosse della fidanzata di quell’altro. E così si va avanti all’infinito perchè nessuno cambia idea (come se queste prese di posizione sul nulla cosmico si potessero chiamare idee) e l’unico risultato è quello di una devastazione cerebrale che non conosce confini nè colori.
2) L’AFORISMICO
Anche questa è tra le categorie più comuni su FB, laddove si cerca di far passare per prodotti del proprio pensiero frasi dette magari secoli fa da menti illustri che, per questa ragione, si rivoltano nella tomba. Alcuni onesti temerari hanno il coraggio di aggiungere le tre lettere magiche “cit” perchè sanno che non è farina del loro sacco ma neanche sanno chi cazzo è che l’ha detta, perchè magari Stendhal gli sembra il nome del centravanti della Norvegia.
3) IL/LA SELFISTA
Altra categoria inflazionata sui social (in generale tra i più giovani) e quindi anche su FB è quella di chi si ostina a pubblicare compulsivamente autoscatti fatti con o senza bastone. Al contrario della tipologia del “fotografo” in missione, che ammorba la sua pagina con tonnellate di giga di eventi tra i più disparati quali compleanni della nonna o vacanze a Sharm di cui non frega un cazzo a nessuno, il selfista gira con il cellulare sempre in mano ed ogni tanto lo vedi che inizia ad avere tremori alla mano, sbatte un pò le palpebre, mette la bocca a culo di gallina, atteggia uno sguardo da triglia lessa e parte con una raffica di scatti che nemmeno Rambo col mitra e decine di bandoliere di proiettili riusciva ad eguagliare. La location non conta nulla, quando parte l’embolo il selfista deve scattare. Il numero minimo di scatti è sul centinaio, poi deve guardarli tutti attentamente per decidere quale postare, che è sempre quello che lui/lei ritiene il migliore e non è affatto detto che lo sia davvero.
Lo sguardo selfoso nelle foto che appestano FB è sempre uguale e puoi essere anche Brad Pitt o Charlize Teron, ma l’aria da ebete si nota lontano un miglio.
4) LA ROMANTICA
Categoria comunissima nella popolazione femminile di FB, stracolma di vittime di guerre d’amore che sembra di essere al cimitero Monumentale, dove è possibile leggere epitaffi graffianti nei confronti dell’infame passato e dichiarazioni ottimistiche sull’imminente futuro. A chi è “andato via” si dedicano velate maledizioni degne del peggior Darth Vader di guerre stellari ma, in una contraddizione parossistica, si tende una mano e si lascia comunque la porta aperta al prossimo malcapitato di turno perchè le condizioni poste sono peggio delle clausole di un contratto capestro: “deve amarmi, capirmi, seguirmi, far la penitenza, far la riverenza…” e lo scrivono pure! poi si lamentano che non riescono a trovare nessuno e postano foto nude su Tinder.
5) LO/A CHEF
Non importa se vai a mangiare da McDonald o da Cracco, il facebookkiano chef posta foto di quello che si magna persino se ha aperto una scatoletta di tonno a casa da solo. Con i filtri delle app e sagaci inquadrature, riesce miracolosamente a far apparire la miserabile scatoletta come un piatto gourmet preparato a Masterchef definendolo “stasera filetti di tonno pinne gialle su letto di rucola con contorno di fagioli cannellini e misticanza orientale”. Il socialchef posta foto dell’ingresso del ristorante anche se si tratta della pizzeria kebab “Er zozzone”, i più infidi rubano foto dal web e postano trionfi di astici ed aragoste facendo credere che stanno ingozzandosi di cibi raffinati quando invece sono al cinese sotto casa avvelenandosi con il menu “all you can eat” a 10 euro.
6) IL CALENDARIO UMANO
Facebook, si sa, nasce come social laico e quindi, almeno per coloro che sono stati onesti sulla data del compleanno, ricorda ai suoi iscritti di fare gli auguri a tizio o a caio “rendendo la sua giornata indimenticabile”. Ora, prescindendo dal fatto che questa cosa spinge chiunque a fare auguri anche se non ci si saluta per strada perchè avete accettato amicizie tanto per fare numero ma poi vi chiedete: “Ma questo/a chi cazzo è?”. Ricevere gli auguri da un semisconosciuto non mi rende certo la giornata indimenticabile, piuttosto non me ne frega un cazzo, anzi devo anche perdere tempo a rispondergli.
Ma ecco che il novello frate indovino iscritto a FB, ogni mattina posta su sfondo rosa shocking gli auguri di onomastico a chi si chiama come il santo del giorno. Che, fino a quando si parla di Franceschi o di Paoli si può anche perdonare, ma cosa cazzo fai gli auguri a “tutte le Ermengarde” o a “tutti gli Elpidi” di Facebook?
7) IL GIOCHERELLONE
E’ risaputo che Facebook sforna in continuazione una serie di giochini talmente demenziali che si fa fatica a pensare che qualcuno ci possa perdere anche un solo minuto della vita. Ed ecco che puoi “scoprire” chi eri nella vita precedente, che attore di Hollywood saresti, come sarà il tuo futuro, come ti chiamavi nell’antica Roma, che divinità dell’Olimpo sei stato, sino ad arrivare a che animale saresti…ecco su quest’ultimo test conosco già tutte le risposte, che poi è una sola: l’asino. Capisco che quasi nessuno prende sul serio queste cose ma davvero non avete di meglio da fare?
Per ora mi fermo qui ma l’elenco potrebbe continuare…stay tuned…

Abbraccio

Il gesto di un abbraccio è un chiaro segnale che il tuo cuore è aperto come le tue braccia, su questo non si può sbagliare. Per questo tendiamo a diffidare istintivamente di chi ci si para di fronte a braccia conserte. Un cuore chiuso non potrà mai avere una mente aperta.
In un abbraccio c’è il calore di chi vorrebbe essere con te una cosa sola, chi ti abbraccia vorrebbe fondersi con la tua anima ma non può farlo materialmente e te lo fa capire così.
In un abbraccio non ti guardi ma ti senti, perchè, come disse una piccola volpe tempo fa, le cose importanti non si guardano con gli occhi ma si sentono col cuore.
In un abbraccio la mente smette di pensare e si gode il momento presente; è impossibile pensare a qualcosa di negativo quando stringi qualcuno tra le braccia, anzi è impossibile pensare ad altro se non alla sensazione che quello stesso abbraccio trasmette.
Le strette di mano sono tutte diverse, gli abbracci sono tutti uguali.
Fate un esercizio semplice: contate le persone che abbracciate calorosamente ogni volta che le incontrate…quante sono? Familiari esclusi, credo che il numero non raggiunga le dita di una mano, vero?
Immaginate cosa accadrebbe se lo faceste con uno sconosciuto…potreste cambiare il mondo…il vostro ed il suo. Ci vorrebbe così poco e non costa nulla.
jaques Prévert una volta ha detto: “Migliaia e migliaia di anni non basterebbero per descrivere il minuscolo secondo di eternità in cui tu mi hai abbracciato ed io ti ho abbracciato”.
Un abbraccio significa che sei arrivato a casa ed il tempo si ferma. Sono convinto che se si potesse restare abbracciati per sempre vivremmo in eterno.
L’abbraccio è un cerchio ed il cerchio è la figura geometrica perfetta, non ha inizio e non ha fine.
Un abbraccio non ha misure e dimensioni, le braccia sono fatte per stringere uomini ed animali di ogni taglia.
Non abbiate paura di abbracciare qualcuno…ci sono infinite situazioni in cui avresti voglia di farlo ma pensi che sia sconveniente perchè non sai come potrebbe essere interpretato. Ebbene un abbraccio è come il bianco della neve, sta bene su tutto. Magari iniziate timidamente ma ricordate che nessuno potrà mai rifiutare un abbraccio sentito.
Un abbraccio è una sensazione che quando ti stacchi continui a sentirla addosso come un cappotto che ti tiene caldo, è una sensazione che ti fa tornare bambino, perchè tutti abbracciano i bambini ma hanno paura di farlo con gli adulti, mi chiedo il perchè di questa assurdità.
Poi c’è il top dei top che è l’abbraccio con rincorsa; un urto di elettroni che si fondono per creare un composto sconosciuto in natura.
Se poteste guardare la gente che assiste ad un abbraccio sentito scorgereste una punta di invidia. E’ l’invidia verso chi è ricco, ma non certo di denaro o altre cose materiali. Sembra che pensi: quanto mi piacerebbe una roba così…ma non basta tutto il denaro del mondo per comprare un abbraccio vero.
In un abbraccio gli sguardi vanno oltre l’orizzonte e puoi vedere il mondo a colori.
Un abbraccio è un arcobaleno in cui dissolvi ogni tua paura ed è l’unico momento in cui sei consapevole di non essere solo…

Il circo della luna piena

Questa è la favola del circo della luna piena, uno spettacolo fantasmagorico con numeri di artisti ed animali che provenivano da ogni pianeta della galassia, esibendo abilità così particolari da lasciare a bocca aperta tutti quei fortunati spettatori che avevano la possibilità di procurarsi un biglietto.
Infatti al “full moon circus” non poteva accedere chiunque, perchè non si svolgeva nella realtà ma soltanto nei sogni ed il biglietto di ingresso non poteva essere acquistato in denaro da nessuna parte ma veniva offerto in sogno da un personaggio strano che si faceva chiamare Keter, il quale sceglieva, a suo insindacabile giudizio, ogni essere che meritava di assistere alle meraviglie spettacolari del circo della luna piena.
Lo spettacolo si svolgeva ogni 29 giorni ed una volta raggiunta la capienza prevista con coloro che erano stati prescelti, Keter, che aveva il ruolo di presentatore, organizzatore e si diceva anche che fosse l’assoluto signore del circo, appariva nei loro sogni vestito con un abito blu trapuntato di stelle argentate con un cilindro in testa che emanava fiamme rosso fuoco e recitava ad ognuno frasi in rima del tipo “non lasciare che la tua vita sia un circo, a questo spettacolo sei stato invitato e qui nessuno è mai stato ammaestrato. Ecco qui il tuo biglietto, non dirlo a nessuno e tienilo stretto”.
Ed ecco che nello spazio enorme del tendone, tra odori galattici e spettatori variopinti ma meritevoli, aveva luogo lo spettacolo degli spettacoli, introdotto da Keter che, al centro di un occhio di bue di luce, esordiva sempre con le stesse parole: “siete svegli o state sognando? questo è lo show del come e del quando. Il come lo decidiamo noi, se adesso o dopo lo decidete voi. Non ci son trucchi nè cose obbrobriose, aprite la mente, persone meravigliose… che lo spettacolo abbia inizio…”
Il circolo di intensa luce proiettato sulla rilucente figura di Keter andava quindi restringendosi poco alla volta come un’eclissi, sino a diventare un raggio puntiforme che si rifletteva sulla stella argentata più grande che era cucita sul taschino del suo strano abito, all’altezza del cuore, sino a scomparire del tutto, lasciando il tendone del circo per qualche attimo in un buio silenzioso un pò irreale, al punto che gli spettatori, affascinati da quella presentazione spettacolare, in attesa di ciò che sarebbe venuto dopo, trattenevano il respiro per tutta la durata dell’assenza di ogni luce e rumore.
Lentamente come si era assopita, la luce iniziava a tornare tramite l’accensione dei fari del tendone a strisce gialle e blu, uno alla volta, emettendo uno schiocco che faceva roteare le teste degli spettatori da una parte e dall’altra come se stessero assistendo ad una partita di tennis.
Quando tutte le luci furono accese, voci e risate iniziarono a riempire il vuoto del tendone che faceva da cassa acustica, ma ben presto furono sovrastate da una musica che sembrava la colonna sonora di una di quelle vecchie filastrocche per bambini…paraponziponzipà.
Dalle tende sul fondo fece il suo roboante ingresso un coloratissimo clown che così si presentò: “Saluti a voi, grandi e piccini, io sono Tabby, re pagliaccio, col mio sorriso le lacrime scaccio, ma sempre una resterà sul mio volto, solo a memoria di ciò che mi han tolto. E’ questo un sogno, oppur la realtà? Lasciate i pensieri e chi vorrà, scoprirà”.
Il clown Tabby era altissimo, più di tre metri, ma non per il solito trucco dei trampoli, perchè riusciva a piegare le ginocchia, quindi doveva essere un abitante di un pianeta dove quella era l’altezza normale.
Tabby suonava anche un lucentissimo trombone con l’apertura verso l’alto, da cui sparava fuori, insieme alla musica, palle colorate che faceva cadere, con precisione incredibile, nella parte posteriore dei suoi lunghissimi pantaloni a fantasia scozzese, tirando l’elastico ogni volta che la palla ricadeva, senza mai fallire. Le persone lo guardavano incantate, perchè sembrava che il flusso delle palle che uscivano dal trombone fosse ininterrotto e si alimentasse da quello che ricadeva nei pantaloni del clown come l’acqua di una fontana.
Dall’apertura sul fondo usci, ad una velocità incredibile, un cavallino bianco delle dimensioni che sulla Terra poteva avere un cane di taglia media che si infilò tra le lunghe gambe di Tabby facendolo rovinare a terra, e le risate del pubblico sembrarono un boato che in quel momento sovrastò la musica. A quel punto fece il suo ingresso un esserino così piccolo che nessuno notò sino a quando montò in sella al piccolo cavallo e, con in mano un megafono, piccolo ma molto potente, iniziò a fare svariati giri della pista rotonda sollevando minuscole nubi di segatura, così cantando: “sono Golìa ma non sono un gigante, di cose belle ne ho viste tante, il mio amico Tabby sembra così grande, ma l’apparenza inganna e l’ho lasciato in mutande. Non giudicare mai dall’altezza ma solo dagli occhi e dalla dolcezza”.
I numeri si susseguirono con animali che a molti risultarono sconosciuti per forme e dimensioni, ma in nessuna esibizione furono allestite gabbie ed apparvero domatori con fruste e cerchi infuocati, ed alla fine dello spettacolo, che aveva letteralmente mandato in visibilio i fortunati spettatori, facendo loro dimenticare completamente ogni loro preoccupazione, ecco riapparire al centro della pista Keter con il suo abito trapuntato di stelle che fece il suo annuncio finale al centro dell’occhio di bue: “Gente dell’alto, amici del basso, lo spettacolo continua, restate al passo. Vi sveglierete nelle vostre realtà, ma il vero è lì oppure sta qua? Non smetteremo mai di sognare e sognatori ancora invitare, al nostro spettacolo che fa volare, perchè se anche da sveglio non sogni, rimarrai schiavo di falsi bisogni. Or tra le stelle Keter vi saluta, ogni occasione non è mai perduta, perchè se un sogno si deve avverare nessuna stella lo può fermare. Alza il tuo sguardo e guarda il tuo centro, sembra sia fuori invece sta dentro.”
Ancora una volta la luce si andò restringendo sempre di più, finendo col brillare sulla solita stella dell’abito di Keter e quando si spense del tutto, gli spettatori si ritrovarono nel buio dei loro occhi addormentati mentre li riaprivano lentamente alla luce della loro vita di tutti i giorni.
Molti di loro, al risveglio, credettero di aver sognato, inconsapevoli del fatto che tante altre persone, in luoghi differenti, si stavano risvegliando come loro, avendo nei ricordi esattamente lo stesso sogno.

Amore per sempre

Belinda è una bella donna che aveva avuto la sfortuna di vivere molte relazioni “sbagliate”. Aveva inoltre il “difetto” di essere innamorata dell’amore e proiettava questa sua impellente esigenza su ogni uomo che incontrava e che le dimostrava un diretto ed elegante interesse, praticamente quasi tutti, data la sua avvenenza.
Dopo l’ennesima delusione, Belinda cadde in una profonda crisi che la spinse a voler chiudere con la speranza di incontrare la sua anima gemella, fomentata in questo proposito dalla maggior parte delle sue numerose amiche single, a cui chiedeva spesso consiglio, essendo tutte accomunate da esperienze più o meno simili, una sorta di schiera di amazzoni in guerra perenne con il genere maschile che organizzavano uscite solo tra di loro per stabilire piani di difesa sentimentale. Per loro gli uomini erano monete con una sola faccia in vista, quella nascosta si rifiutavano o facevano finta di non vederla e trovare un uomo che mettesse tutte d’accordo era più raro che trovare appunto una moneta in bilico che potesse mostrare entrambi i lati.
Se poi erano carini e magari anche benestanti automaticamente erano dei gran bastardi, se erano brutti…bè neanche meritavano attenzione e quindi era inevitabile che fossero sempre ad un punto morto.
Poi, se per qualche ragione, si palesava qualcuno che andava loro a genio, allora andava bene tutto, ricco, povero, bello o brutto. Si sarebbe fatta fatica a fargli capire, per esempio, che un uomo che guarda una bella donna, ovunque sia ed ovunque si trovi è uno normalissimo ed è come ci si scandalizzasse che in mare vi siano i pesci…
Il loro mantra era diventato quello che il sesso era ormai bandito dalle loro vite almeno fino a quando non sarebbero riuscite a trovare finalmente il principe azzurro. Quello che opportunamente e maliziosamente nascondevano alle altre era il fatto che ogni tanto si facevano trombare selvaggiamente dal corsaro nero di turno.
Belinda arrivò quindi a convincersi che la sua spasmodica quanto vana ricerca dell’amore della vita fosse una sorta di castigo divino, un karma da espiare in qualche maniera. Forse stava davvero rincorrendosi la coda andando a caccia di una figura maschile che rispondesse il più possibile al suo ideale di uomo ma sarebbe stato come sperare di incontrare Babbo Natale dal vivo.
Non le era ancora chiaro forse che ogni persona va amata per quello che è, non per quello che noi vorremmo che fosse.
Belinda era quindi indecisa tra l’insistenza nella ricerca di un uomo come diceva lei oppure seguire il consiglio delle sue amiche amazzoni metropolitane di mettere il sesso in naftalina “tanto nessuno ci merita”.
La prima ipotesi la attraeva di più, quindi si mise a pregare ferventemente Dio o chi per lui (qualcuno doveva pur esserci…miliardi di persone non potevano essersi tutte sbagliate) di farle finalmente incontrare la sua anima gemella, ovunque si trovasse, facendo in modo che alla sua sfiga karmica con gli uomini si sostituisse un incontro altrettanto karmico che l’avrebbe resa felice ed appagata.
Dopo un bel pò di tempo, senza che Belinda perdesse fede e speranza, Dio, il quale utilizzava la Terra come cabaret per farsi grasse risate della dabbenaggine di quei comici esserini, non potè più ignorare lo stalking di Belinda che ossessivamente chiedeva un uomo fatto apposta per lei.
Il buon Dio, che possedeva avanzatissimi algoritmi per individuare la compatibilità tra terrestri sulla base delle loro caratteristiche e sogni, mosso a compassione, decise di monitorare tutti gli uomini del pianeta per cercare l’uomo dei sogni di Belinda.
Passò al setaccio tutta la popolazione maschile in un range di età che potesse essere compatibile con la donna attraverso il programma AFIS (aiuto facilitato individui solitari) ma, con suo enorme stupore, il risultato continuava ad essere negativo. La cosa lo stupiva alquanto, per cui face revisionare il software dal suo ufficio informatico avanzatissimo ma il risultato continuava ad essere lo stesso.
Per curiosità, decise di allargare la ricerca prima al sistema solare, poi all’intera galassia e finalmente trovò una corrispondenza.
Sul pianeta Artemis, dove vigeva un rigido sistema matriarcale, trovò finalmente un abitante di sesso maschile che sognava una donna a cui obbedire grazie al potere della mente e non a forza di schiaffoni e bastonate come accadeva sul suo pianeta ed il sistema AFIS dava una corrispondenza tra i due pari al 99%.
A questo punto si presentavano, per il creatore, due problemi di non facile soluzione. Il primo riguardava il trasferimento dell’artemisiano sulla Terra, il secondo, più difficile, era quello che l’aspetto fisico dei maschi su Artemis era abbastanza diverso da quelli terrestri, dal momento che i primi avevano un’altezza inferiore, un occhio solo e due organi genitali. Il resto era abbastanza simile.
Ma Dio, dopo averci pensato un attimo, esclamò “Ma cazzo io sono Dio, per me non esistono problemi irrisolvibili!”, per cui teletrasportò con la forza del pensiero l’artemisiano sulla Terra, gli aggiunse un occhio, gli infuse la conoscenza della lingua, lo allungò un tantino, gli affibbiò il nome David (su Artemis si chiamava Barambembazzo ed ovviamente non andava bene), ma gli lasciò i due genitali che magari uno di riserva poteva tornargli utile.
Restava solo da organizzare l’incontro fatale che Dio, sulla base dei film e romanzi d’amore di successo, decise dovesse avvenire casualmente mentre entrambi condividevano una passione comune.
Fu dunque ad una lezione del corso di naturopatia olistico-bio-smithsoniana (ci sarebbe voluto un corso intero solo per capire di che cazzo si trattava ma il nome era fichissimo) che Belinda e David si scambiarono lo sguardo fatale che fece scoccare la scintilla. Dio aveva incaricato il suo fido ed infallibile ruffiano Cupido di scegliere luogo e modalità per lanciare la freccia e quell’amore interplanetario predestinato era finalmente iniziato.
Agli inizi fu una passione incredibile, David sembrava anticipare i desideri di Belinda, ed in effetti ciò era possibile grazie alla sua dote telepatica artemisiana, ma dopo un pò smise di farlo perchè l’intreccio di pensieri ed immagini di Belinda era così intenso e variopinto, ed a volte persino contraddittorio, che il farlo gli provocava la stessa sensazione del bere una bottiglia di vodka a stomaco vuoto.
Col passare del tempo, come sempre succede in tutto l’universo, il luogo in cui David si trovava a vivere aveva profondamente cambiato il suo DNA artemisiano ed era stato costretto ad adattarsi ad abitudini e pensieri terrestri. Si era reso conto che sulla Terra, al contrario che su Artemis, poteva dire la sua abbastanza liberamente, bere birra con gli amici, guardare il calcio in TV, scoreggiare e leggere la gazzetta dello sport senza essere arrestato e la vita di coppia fatta di cenette, regalini, serate con la futura suocera e gli amici radical chic di Belinda, corsi di yoga, cinema e teatri di tendenza (du palle…anzi quattro) iniziava ad annoiarlo.
Quell’atmosfera magica dei primi anni iniziò a diradarsi e Belinda percepì le avvisaglie della crisi con un senso di crescente impotenza. Allora iniziò a pregare nuovamente dio per chiedergli conto di quello che stava accadendo, del perchè quella storia che sembrava così idilliaca si stava rivelando l’ennesimo fallimento.
Fu in quel preciso istante che dio comprese il suo errore più grande nella storia della creazione. Aveva creato due generi perfettamente compatibili per procreare un seguito generazionale ma la struttura mentale non era affatto simile in nessun posto e nel lungo periodo quelle differenze rendevano difficile una vita insieme.
La compatibilità poteva funzionare nella linea temporale attuale, ma non aveva immesso la variabile futuro, ecco perchè non aveva funzionato tra David e Belinda. Del resto aveva creato i mondi col fine della continuità e della procreazione e con tutti gli altri animali aveva funzionato, anche se nessun’altra specie si sognava di restare con la stessa compagna per tutta la vita, quindi che questi umani se ne facessero una ragione e si adattassero a vivere la vita così com’era senza farsi troppe pippe mentali, perchè in nessuna parte dell’universo conosciuto avrebbe scovato qualcuno che andasse bene a Belinda per sempre…

Odio le feste

visto che si avvicina il periodo funesto, ribloggo un mio vecchio post, visto che la mia idea è sempre la stessa…

gecolife

Non me ne vogliano i cattolici osservanti ma io detesto questo periodo di feste e finta atmosfera natalizia.

E’ falso come una moneta di cioccolata, pieno di un finto buonismo che rende le persone ancora più insopportabili. Dovunque senti dire: “a Natale siamo tutti più buoni”. Ma che cazzo vuol dire? che sei buono un paio di giorni e per il resto dell’anno sei un gran bastardo?

E’ un periodo pieno di forzata allegria e a me infonde una sconfinata tristezza, una specie di inutile armistizio creato dal sistema per far dimenticare i problemi e far spendere soldi alla gente.

Se ti capita qualcosa di spiacevole, tutto quello che ti sta intorno funziona quasi da cassa di risonanza che ti ingigantisce il problema. Stare di merda a Natale è proprio una sfiga…già…perchè se capita a maggio, allora ti senti meglio.

Poi c’è la stronzata immensa dei regali. L’ho sempre pensato…

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La sognerìa

Sul pianeta di Notturnia, nella distante costellazione della pantera, non lontano da un grande buco nero mangiatutto, le continue tempeste di polvere oscuravano la luce della stella che, attraverso il suo calore, rendeva comunque possibile la vita sul pianeta.
I notturniani vivevano quindi in una costante situazione di oscurità e le loro giornate erano dunque scandite più dal sonno che dallo stato di veglia, il quale durava la minima parte della giornata.
Anche per questo motivo la qualità del sonno su Notturnia era considerata molto importante e la ricerca scientifica aveva sviluppato svariati prodotti per consentire ai notturniani sogni sereni, felici e persino soleggiati.
Ma ecco che all’improvviso quelli che fino a quel momento erano stati sogni sereni, iniziarono a diventare terribili incubi e questa trasformazione della qualità dei sogni ben presto divenne un’epidemia che si diffuse su tutto il pianeta.
Gli integratori onirici, persino il potentissimo ganjadream, vendibile solo su prescrizione medica, anche se presi a dosi massicce, non davano più gli effetti desiderati, anzi amplificavano la cattiva qualità dei sogni e ben presto la situazione divenne critica in quanto la vita sociale stessa stava pericolosamente sgretolandosi a causa di questo inspiegabile fenomeno.
In molti si interrogavano sulla causa di questa sciagura ma a questo punto erano più importanti i rimedi. Certo, se non si capivano le cause del problema sarebbe stato difficile trovare un rimedio. Secoli addietro la medicina tradizionale lavorava esclusivamente sui sintomi senza porsi il problema delle cause ad aveva miseramente fallito. Quindi si era giunti alla decisione che la due cose erano inestricabilmente associate anche in quello specifico problema.
Da parte del governo si decise quindi di fare delle analisi a campione su ogni strato della società dei notturniani per cercare di capire se qualcosa fosse cambiato nelle loro abitudini mentali che inevitabilmente si ripercuotevano su quelle fisiche.
Gli scienziati di Notturnia scoprirono quindi un particolare collegamento tra l’aumento delle ambizioni in stato di veglia e quelle nello stato onirico, laddove la coscienza nel primo caso era guidata dalla mente e nel secondo caso dal cuore e dall’anima.
Si giunse alla conclusione che in qualche modo il pianeta stava regredendo ad uno stato in cui il benessere immediato stava prevalendo sulla parte più importante della vita su Notturnia, quella dei sogni, in cui era nascosta la vera felicità di tutti. Si prediligeva l’appagamento fisico ed il sogno stava perdendo la sua importanza.
Dal momento che non si riuscivano a trovare soluzioni concrete, alcune sedicenti menti illuminate si ingegnarono per porre rimedio ad una situazione che rischiava di degenerare pericolosamente nella fine della razza notturniana.
Ci fu chi propose nuove tasse sui beni di lusso da svegli e riduzione delle imposte sui beni onirici, chi invece propose una lobotomizzazione di massa con inserimento forzato di chip contenenti programmi video demenziali per indurre il sonno della ragione, chi ancora suggerì, come le correnti religiose, di sanzionare il sesso da svegli come peccaminoso mentre in sogno si poteva fare di tutto con chiunque…ma nessuna di queste soluzioni sembrava funzionare.
Fu così che un giovane scienziato scoprì una formula rivoluzionaria che calcolava l’algoritmo dell’amore e, applicandola ai notturniani, si accorse che il problema risiedeva proprio nel calo improvviso di questo sentimento che, se assente, lasciava il posto a tutte quelle altre sensazioni in contrasto con esso che impedivano la qualità e la quantità del sonno. Del resto era risaputo che odio, invidie e risentimento influiscono ovunque sulla qualità del sonno e dei sogni.
Egli cercò invano di convincere le istituzioni che aveva trovato la causa del problema che stava provocando la distruzione del pianeta, in fondo amore e compassione erano impossibili da creare o infondere in qualche maniera e poi non erano economicamente produttivi come la maggior parte degli inutili beni di consumo che, in base alla teoria del giovane scienziato, davano solo una contentezza apparente ed effimera sottraendo la ricerca di quell’amore vero la cui mancanza adesso si faceva sentire in tutta la sua drammaticità.
Di concerto con un suo vecchio amico, il giovane scienziato volle a tutti i costi trovare una soluzione al problema ed i due si ingegnarono per creare qualcosa che potesse dimostrare una inversione di tendenza.
Fu così che decisero di prendere in affitto un ampio locale in cui ricreare tutte le caratteristiche che potessero favorire una situazione di amore e benessere in coloro i quali decidevano di trascorrervi parte del loro tempo libero.
Dipinsero il posto con tinte di colori rilassanti, in giro c’erano cuccioli di animali, in sottofondo si poteva ascoltare musica classica soffusa, in ogni ambiente si bruciavano incensi dai profumi inebrianti, alle pareti vi erano dipinti dai temi e colori rilassanti, le persone presenti erano tutte sorridenti e ben disposte ad ascoltare e condividere, c’erano sale per la lettura di classici e poesie, su tutti i tavoli presenti si potevano gustare bevande salutari e dissetanti e frutta fresca, vi erano sale per meditare, per guardarsi negli occhi senza il bisogno di dirsi nulla, si potevano scambiare amuleti portafortuna, insomma era un oasi come non ce n’erano uguali al mondo.
Al piano di sopra c’erano stanze con letti comodi su cui finalmente si poteva cercare di prendere sonno in modo da recuperare i sogni perduti.
Lo scienziato ed il suo amico ribattezzarono questo posto idilliaco “la sogneria” .
E proprio qui successe il miracolo…tutti quelli che frequentavano la sogneria ripresero incredibilmente a fare sonni sereni ed a riappropriarsi dei ritmi normali che la vita da svegli gli aveva fatto perdere. Lo scienziato aveva dimostrato in questo modo che la sua teoria era esatta. Quell’ambiente aveva ridestato l’amore e la compassione tra le persone ed aveva guarito il loro stato. Il vero problema era la vita così come la società l’aveva imposta, sopprimere la vera natura ed i desideri in nome del denaro e degli effimeri beni di consumo aveva fatto perdere ai notturniani il loro bene più prezioso…
Ma era comunque stata creata la prima sogneria ed altre sarebbero venute poco alla volta, perchè la vera natura umana può addormentarsi anche per secoli ma alla fine i killer dei sogni verranno comunque sconfitti…

Gatto

Ho preso da poco un gattino nero di nome Yoda che si è letteralmente impossessato di tutta la casa.
Il nome è derivato dalla mia sfrenata passione per l’omonimo personaggio della saga di Guerre Stellari e dovuto, inizialmente, allo strano modo in cui tiene le orecchie, quasi mai diritte ma orizzontali, proprio come il gran maestro Jedi.
Ma è bastato poco per convincermi che il nome fosse azzeccato non solo per le sue orecchie ma anche per il fatto che mi sta facendo rendere conto che è davvero un “maestro” da cui apprendere.
Un animale si accoglie in casa per la compagnia, per giocare con lui quando ci va, “esigendo” che lui sia sempre pronto a farlo, insomma se, come quasi sempre accade, non ci sforziamo di adattarci ai nostri simili umani figuriamoci se lo facciamo con i nostri animali.
Il cane è quello che più si è “piegato” a questa esigenza umana ed ha stabilito un patto diabolico con gli esseri umani. Assistenza e cibo in cambio di obbedienza incondizionata ed è per questa ragione che resta il più amato tra gli animali da compagnia, da lavoro o da difesa, a seconda della razza. L’essere umano è di natura infedele ma ama l’altrui fedeltà.
Il gatto è un essere misterioso, indipendente, pigro e sfuggente, praticamente tutto il contrario del cane e, probabilmente per queste sue caratteristiche, ha avuto un peso molto più preponderante nelle fiabe, leggende e nella letteratura di quanto non lo abbiano tutti gli altri animali messi insieme. Sono gli animali preferiti di quelli che vengono definiti “poeti maledetti” come Bukowski o Baudelaire e le antiche civiltà, prima fra tutte quella egizia, lo hanno elevato addirittura al rango di divinità.
Bene, se cercate obbedienza e sudditanza, occhi dolci e coccole a gettone lasciate stare i gatti.
Ai cani si insegna e questi, col tempo, apprendono ciò che noi chiediamo che loro facciano; con i gatti non funziona, loro non apprendono non perchè non siano in grado di farlo, anzi, ma perchè siamo noi a dover apprendere da loro e quindi il ruolo, rispetto al cane, è invertito.
Il gatto è maestro nell’arte di dipendere da qualcuno senza privarsi della propria indipendenza…pensate a quanti vorrebbero vivere una vita di coppia o familiare così senza riuscirci…
Questo straordinario felino è poi dotato di un intuito ed empatia del tutto unici grazie alla sua straordinaria capacità di percepire e cogliere anche i segnali più nascosti e le vibrazioni più sottili. Spesso si fermano ad osservare qualcosa che loro vedono ma che è invisibile ai nostri occhi e questo è inquietante.
Notate la differenza nel loro sguardo, è un’osservazione attenta, profonda, nulla a che vedere con lo sguardo adorante di un cane che ci piace tanto, anzi è qualcosa che quando è prolungato ci mette quasi a disagio, come se fosse in grado di leggerci dentro, una specie di finestra da cui un essere misterioso ci osserva in silenzio. Una leggenda irlandese infatti afferma che gli occhi di un gatto sono finestre che ci permettono di vedere dentro un altro mondo.
Un cane non salterà mai nei punti più alti della casa, resterà lì acquattato ai nostri piedi o, se glielo concederemo, al massimo sul divano. Il gatto non ama guardare dal basso in alto ma vuole avere un punto di osservazione privilegiato, più alto, per osservare tutto e tenere la situazione sotto controllo perchè si sa, anche lo stratega più impreparato sa che l’altezza è il punto da cui si domina la situazione. Da lì guardano tutti dall’alto in basso ed è forse per questa ragione che odiano gli uccelli.
Se noi umani imparassimo ad osservare il nostro prossimo con la stessa calma e attenzione con cui il gatto guarda noi, ci regaleremmo l’opportunità di conoscere gli altri non solo per quello che dicono o fanno ma per quello che realmente sono.
Allo stesso modo se imparassimo ad analizzare il mondo con la sua stessa curiosità e intelligenza, la nostra creatività e ingegno ne ricaverebbe un sorprendente beneficio.
Il gatto, infatti, non ha fretta di capire. Si concede tempo e studia i dettagli. E raramente sbaglia.
Il gatto è un animale domestico che non si può addomesticare, non riconosce l’autorità dell’uomo perché all’obbedienza ha sostituito il rispetto: se accetta una regola o risponde a un richiesta è solo perché lo vuole, su di lui obblighi e costrizioni non sortiscono il minimo effetto.
Come disse qualcuno, “I gatti non obbediscono al padrone per cause evolutive. Se discendeste dalle tigri, nemmeno voi ubbidireste ai pronipoti delle scimmie” oppure, altra bellissima battuta, “i gatti hanno sempre quell’espressione di chi ha letto Kant e l’ha capito”.