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Il circo della luna piena

Questa è la favola del circo della luna piena, uno spettacolo fantasmagorico con numeri di artisti ed animali che provenivano da ogni pianeta della galassia, esibendo abilità così particolari da lasciare a bocca aperta tutti quei fortunati spettatori che avevano la possibilità di procurarsi un biglietto.
Infatti al “full moon circus” non poteva accedere chiunque, perchè non si svolgeva nella realtà ma soltanto nei sogni ed il biglietto di ingresso non poteva essere acquistato in denaro da nessuna parte ma veniva offerto in sogno da un personaggio strano che si faceva chiamare Keter, il quale sceglieva, a suo insindacabile giudizio, ogni essere che meritava di assistere alle meraviglie spettacolari del circo della luna piena.
Lo spettacolo si svolgeva ogni 29 giorni ed una volta raggiunta la capienza prevista con coloro che erano stati prescelti, Keter, che aveva il ruolo di presentatore, organizzatore e si diceva anche che fosse l’assoluto signore del circo, appariva nei loro sogni vestito con un abito blu trapuntato di stelle argentate con un cilindro in testa che emanava fiamme rosso fuoco e recitava ad ognuno frasi in rima del tipo “non lasciare che la tua vita sia un circo, a questo spettacolo sei stato invitato e qui nessuno è mai stato ammaestrato. Ecco qui il tuo biglietto, non dirlo a nessuno e tienilo stretto”.
Ed ecco che nello spazio enorme del tendone, tra odori galattici e spettatori variopinti ma meritevoli, aveva luogo lo spettacolo degli spettacoli, introdotto da Keter che, al centro di un occhio di bue di luce, esordiva sempre con le stesse parole: “siete svegli o state sognando? questo è lo show del come e del quando. Il come lo decidiamo noi, se adesso o dopo lo decidete voi. Non ci son trucchi nè cose obbrobriose, aprite la mente, persone meravigliose… che lo spettacolo abbia inizio…”
Il circolo di intensa luce proiettato sulla rilucente figura di Keter andava quindi restringendosi poco alla volta come un’eclissi, sino a diventare un raggio puntiforme che si rifletteva sulla stella argentata più grande che era cucita sul taschino del suo strano abito, all’altezza del cuore, sino a scomparire del tutto, lasciando il tendone del circo per qualche attimo in un buio silenzioso un pò irreale, al punto che gli spettatori, affascinati da quella presentazione spettacolare, in attesa di ciò che sarebbe venuto dopo, trattenevano il respiro per tutta la durata dell’assenza di ogni luce e rumore.
Lentamente come si era assopita, la luce iniziava a tornare tramite l’accensione dei fari del tendone a strisce gialle e blu, uno alla volta, emettendo uno schiocco che faceva roteare le teste degli spettatori da una parte e dall’altra come se stessero assistendo ad una partita di tennis.
Quando tutte le luci furono accese, voci e risate iniziarono a riempire il vuoto del tendone che faceva da cassa acustica, ma ben presto furono sovrastate da una musica che sembrava la colonna sonora di una di quelle vecchie filastrocche per bambini…paraponziponzipà.
Dalle tende sul fondo fece il suo roboante ingresso un coloratissimo clown che così si presentò: “Saluti a voi, grandi e piccini, io sono Tabby, re pagliaccio, col mio sorriso le lacrime scaccio, ma sempre una resterà sul mio volto, solo a memoria di ciò che mi han tolto. E’ questo un sogno, oppur la realtà? Lasciate i pensieri e chi vorrà, scoprirà”.
Il clown Tabby era altissimo, più di tre metri, ma non per il solito trucco dei trampoli, perchè riusciva a piegare le ginocchia, quindi doveva essere un abitante di un pianeta dove quella era l’altezza normale.
Tabby suonava anche un lucentissimo trombone con l’apertura verso l’alto, da cui sparava fuori, insieme alla musica, palle colorate che faceva cadere, con precisione incredibile, nella parte posteriore dei suoi lunghissimi pantaloni a fantasia scozzese, tirando l’elastico ogni volta che la palla ricadeva, senza mai fallire. Le persone lo guardavano incantate, perchè sembrava che il flusso delle palle che uscivano dal trombone fosse ininterrotto e si alimentasse da quello che ricadeva nei pantaloni del clown come l’acqua di una fontana.
Dall’apertura sul fondo usci, ad una velocità incredibile, un cavallino bianco delle dimensioni che sulla Terra poteva avere un cane di taglia media che si infilò tra le lunghe gambe di Tabby facendolo rovinare a terra, e le risate del pubblico sembrarono un boato che in quel momento sovrastò la musica. A quel punto fece il suo ingresso un esserino così piccolo che nessuno notò sino a quando montò in sella al piccolo cavallo e, con in mano un megafono, piccolo ma molto potente, iniziò a fare svariati giri della pista rotonda sollevando minuscole nubi di segatura, così cantando: “sono Golìa ma non sono un gigante, di cose belle ne ho viste tante, il mio amico Tabby sembra così grande, ma l’apparenza inganna e l’ho lasciato in mutande. Non giudicare mai dall’altezza ma solo dagli occhi e dalla dolcezza”.
I numeri si susseguirono con animali che a molti risultarono sconosciuti per forme e dimensioni, ma in nessuna esibizione furono allestite gabbie ed apparvero domatori con fruste e cerchi infuocati, ed alla fine dello spettacolo, che aveva letteralmente mandato in visibilio i fortunati spettatori, facendo loro dimenticare completamente ogni loro preoccupazione, ecco riapparire al centro della pista Keter con il suo abito trapuntato di stelle che fece il suo annuncio finale al centro dell’occhio di bue: “Gente dell’alto, amici del basso, lo spettacolo continua, restate al passo. Vi sveglierete nelle vostre realtà, ma il vero è lì oppure sta qua? Non smetteremo mai di sognare e sognatori ancora invitare, al nostro spettacolo che fa volare, perchè se anche da sveglio non sogni, rimarrai schiavo di falsi bisogni. Or tra le stelle Keter vi saluta, ogni occasione non è mai perduta, perchè se un sogno si deve avverare nessuna stella lo può fermare. Alza il tuo sguardo e guarda il tuo centro, sembra sia fuori invece sta dentro.”
Ancora una volta la luce si andò restringendo sempre di più, finendo col brillare sulla solita stella dell’abito di Keter e quando si spense del tutto, gli spettatori si ritrovarono nel buio dei loro occhi addormentati mentre li riaprivano lentamente alla luce della loro vita di tutti i giorni.
Molti di loro, al risveglio, credettero di aver sognato, inconsapevoli del fatto che tante altre persone, in luoghi differenti, si stavano risvegliando come loro, avendo nei ricordi esattamente lo stesso sogno.

Intervista particolare

Salve, sono un piccolo abitante della Terra… come dice? Non si ricorda cos’è la Terra? Bè posso capirlo di fronte ai Suoi criteri dimensionali, ma è un minuscolo pianetino In fondo a Via Lattea, sulla destra. Mi spiace disturbare, magari è impegnato a creare qualche nuovo Universo o a tappare qualche buco nero che sta distruggendo intere galassie come per noi potrebbe fare una talpa nel prato… lo so non sa cos’è una talpa ma si fidi.
Senta, visto che sono qui, mi piacerebbe farLe qualche domanda e credo che Lei ben abbia le capacità di creare Universi e rispondere contemporaneamente.
Vede, ora che mi trovo qui nella stanza dei bottoni, capisco che noi siamo una razza che se la crede un pò troppo, pensiamo di essere strafighi perchè abbiamo l’Iphone 7 e riusciamo a fare anche le videochiamate, viaggiamo su aerei supersonici e ci ammazziamo l’un l’altro per conquistare un pezzetto di quel pianetino. Lei crede che questo sia giusto? Cioè aveva previsto che fossimo così stupidi? Mi piacerebbe capire perchè, me lo sto chiedendo da anni. Cos’è un anno? Vabbè, lasci perdere, vedo che non ha neanche l’orologio.
Mi sta chiedendo chi è il nostro rappresentante ufficiale? Fino a poco fa c’era un tale Matteo Renzi, ora c’è uno che si chiama Gentiloni. Mi chiede chi è? Guardi, a dire il vero non lo so neppure io, si immagini se lo sa Lei… ma ora capisco che Lei non ha idea della merda in cui siamo ma non gliene faccio una colpa.
Sa, su quell’insulso pianetino c’è persino gente che afferma di essere stata incaricata da Lei di guidare ed istruire le anime dettando leggi che poi neanche loro seguono, Lei ne sa qualcosa? L’impressione che ne ho io è che costoro sono come quelli che si presentano a casa affermando di essere gli incaricati della lettura del contatore della luce o del gas e quando gli apri la porta, entrano e ti derubano di tutto.
Ah, quindi mi sta dicendo che non sa chi siano questi incaricati e che Lei se la sbriga tutto da solo? Chissà perchè lo supponevo.
Mi scusi, ma Lei ha fratelli o parenti che magari sanno qualcosa della Terra o che abitano lì vicino? Glielo chiedo perchè laggiù ci si combatte e si muore da millenni non solo per il territorio, ma anche perchè ci sono popolazioni che credono di essere le uniche a conoscerLa e dicono che Lei avrebbe dettato comandamenti e creato svariati paradisi con fiumi di latte, vergini, e che sia alquanto incazzato con noi dal tempo in cui una tipa di nome Eva Le rubò una mela dal Suo albero in giardino. Ah, mi dice che neanche le piacciono le mele e che non ha mai avuto alberi e tantomeno giardini?
Senta, non vado oltre, ho visto che ha la sala d’aspetto piena. Solo le chiedo di non mandarci qualche asteroide a distruggerci prima del tempo. Ci dia la possibilità di migliorare… magari torno tra un miliardo di anni per sapere come va la vita dalle Sue parti e potrò dirLe se le cose sono finalmente cambiate.

Mimì & Cocò

Nella foresta di Fashionwood tutti gli animali sfoggiavano meravigliose pellicce, castori, volpi, visoni, orsi bruni e biondi (ossigenati), leopardi, ocelot, persino le nutrie ed i topolini non uscivano mai senza per andare a caccia o partecipare a qualche evento mondano in piazza delle querce. La piazza era il centro del bosco, con locali superchic, ristoranti molto trendy e negozi alla moda.
C’era il bistrot di Craccoyote dove potevi gustare polpette vegan allo zenzero con contorno di patatine fritte in busta e uova di cigno alle spezie. Proprio lì accanto c’era l’atelier di Giontra la lontra che si vantava di aver vestito le migliori star bestie come Topo Gigio, Lassie, Rin Tin Tin e Bruno la Vespa, nonchè svariati cani della televisione, del cinema e della politica.
Tutti gli animali insomma, vestivano pellicce lucide e sfavillanti che si invidiavano a vicenda. La famiglia Visoni, arricchitasi con un allevamento schiavista di nutrie double face, era la più invidiata ma anche i Leopardi, che si vantavano di essere discendenti del cane dell’antico poeta, non erano da meno.
Un bel dì, spuntando da un buco nel terreno, nel pieno centro della sciccosa piazza delle querce, proprio mentre c’era un vernissage nell’atelier di Miaumiau, nota stilista di collari per gatti selvatici e parrucchini per orsi calvi, ecco che arriva una talpa senza alcuna pelliccia che si scrolla di dosso un pò di terriccio, inforca due lenti spesse come fondi di bottiglia e chiede al primo animale che incontra dove poteva trovare un bar per bere qualcosa perchè aveva la bocca impastata di sabbia. Una volpe grigia fuggì subito inorridita chiamando aiuto neanche fosse arrivato un cacciatore.
Proprio in quel momento si trovavano a passare di lì Mimì & Cocò, due castori gay che in realtà si chiamavano Domenico (detto Mimmo) e Calogero, venivano dalla Sicilia in cui avevano iniziato la loro carriera come progettisti di dighe per la mafia, ma siccome non c’erano fiumi e la faccenda puzzava un pò, avevano deciso di mettersi insieme in tutti i sensi e trasferirsi nella foresta di Fashionwood per creare una linea di pellicce sintetiche per animali feriti da armi o tagliole.
Alla vista della povera talpa, che poi di vista ne aveva poca, Mimì disse a Cocò: “Povera stellina! E’ qui in piazza tutta nuda senza la pelliccia! E che antichi occhialacci trash!”
Cocò subito rispose: “Dai Mimì chevìe, cveiamo una linea di occhiali e pelliccia per questo povevo animaletto sfovtunato!”
“Siiii daiiiiii” rispose Mimì, “poi mi sa che questa qui ha nascosto un bel pò di grana sotto terra, minimo avrà un bunker, quindi sarà l’ennesima cretinetta da spennare….oddio spennare no, è già così spennata… ihihihih”
I due si avvicinarono alla talpa a passo svelto, mentre attraversava la piazza un altro stilista famoso, la tartaruga Va Lentino che da più di 200 anni disegnava elegantissimi carapaci da sera per proteggere le pellicce dei ricconi. I due lo ignorarono volutamente e raggiunsero la talpa nella speranza di ottenere qualche entratura nel mondo del sottoterra.
“Cava talpetta” la approcciò subito Cocò, “Ti pvego, seguici nel nostro bistvot che è pvopvio qui dietvo l’angolo, ti offriamo un daiquivi alla banana e discutiamo un pò del tuo tevvibile look. Non puoi mica pvesentavti qui in piazza VIP tutta nuda e con quei tevvibili occhiali….”
La talpa osservò quei due strani castori ingioiellati e rispose: “Amici miei, non avrò una buona vista di superficie come voi, ma laggiù nel profondo gli occhi non mi servono poi molto, perchè abbiamo sviluppato altri sensi con cui comunicare. Non mi servono neanche occhiali o pellicce, cosa me ne farei nel mio mondo? Ho chiesto solo un bicchier d’acqua per dissetarmi ed invece trovo chi scappa impaurito e chi mi vuole vendere qualcosa in base al mio aspetto. Vi ringrazio per l’interessamento, ma me ne torno nel mio mondo e vi lascio alle vostre cazzate”… e la talpa scomparve nel nulla con uno strano sorriso…

Il giornale di domani

Marco si recava ogni giorno a fare colazione al solito bar sotto casa sua a Milano. Preferiva alzarsi un pò prima e prendersi i suoi tempi ad un tavolino, piuttosto che consumare il suo breakfast in fretta e furia in piedi al banco come facevano quasi tutti. Lo faceva sorridere il fatto che certe persone entravano trafelate, consumavano la colazione in perfetto stile Bolt, si ustionavano col cappuccino a temperatura “piombo fuso”, ingoiavano un cornetto in due morsi spolverandosi lo zucchero sulla giacca neanche fosse stata cocaina, smadonnavano se c’era qualcuno davanti alla cassa a pagare tenendo il cellulare bloccato tra testa e spalla mentre cercavano gli spiccioli, iniziando a mandare a fare in culo le prime persone di una giornata che si prospettava lunga e difficile.
Marco era un cauto ed attento osservatore e cercava di capire cosa passasse per la testa di quella gente, se si sentivano “fighe” o soddisfatte di quello pseudoimpegno, una sorta di sfida al tempo anche se magari non avevano un cazzo di veramente importante da fare se non timbrare qualche busta. Tu corri veloce, dice il tempo, ma io sono più veloce di te. Peccato che quella stessa gente non capisca che il tempo ha sempre ragione lui e tu sei destinato inevitabilmente a soccombere. Il mondo non cambia se tu rallenti, ma se cerchi di accelerare lui comunque va più veloce di te e ti fotte comunque.
Sorseggiando lentamente il suo cappuccino e sbocconcellando il suo cornetto integrale alla crema assaporandone ogni piccolo morso, Marco viveva due realtà; la sua quando abbassava gli occhi su ciò che aveva davanti, e quella del mondo quando li alzava e si guardava attorno.
Una di quelle mattine, tra un piccolo morso al cornetto ed un sorso di cappuccino con le labbra a culo di gallina per non scottarsi, alzò gli occhi su un tizio che ogni tanto aveva notato, seduto come lui da solo ad un tavolino, che era sempre immerso nella lettura di un quotidiano, consumava un toast ed un caffè e poi andava via sempre con un sorriso sulle labbra, con un incedere lento e non rivolgendo mai la parola a nessuno.
Come chi ha l’abitudine di far viaggiare la mente per immaginare cosa facesse quel tizio, Marco pensò che fosse un inguaribile ottimista perchè uno che esce da un bar al mattino in una grande città, dopo aver letto un quotidiano e sorride o è tutto scemo oppure è un monaco zen in incognito che ha perso il treno per il Tibet. Il tizio non gli sembrava potesse essere inquadrato in nessuna delle due categorie, per cui, da quella mattina aveva preso a far caso cosa facesse invece che ostinarsi a guardare sempre gli stessi matti che ripetevano le stesse azioni da robot al banco, dicendo sempre le stesse parole: “Uè Giangi, come va? Mi fai il solito?” Ed il barista: “Buogiorno Dottore, si va avanti, arriva subito”.
Anche il misterioso avventore mattutino del bar, se vogliamo, era un pò ripetitivo nelle sue azioni ma una mattina di venerdì, dopo aver consumato la sua colazione ed aver letto il quotidiano, alzò lo sguardo verso Marco, gli strizzò l’occhio e se ne andò lasciando sul tavolo il suo giornale, indicandolo col dito, cosa che non aveva mai fatto fino ad allora.
Marco non sapeva cosa pensare, arrivò a congetturare che fosse gay e che avesse lasciato un bigliettino col suo numero nel giornale. Per cui, prima di uscire per recarsi al suo studio di architettura, passò con indifferenza davanti a quel tavolo e prese il giornale che vi era stato lasciato.
Appena uscito dal bar, Marco si mise a sfogliare il giornale alla ricerca di qualcosa che non era così sicuro di trovare. Infatti non c’era nessun biglietto o nessuna scritta, era un banale quotidiano con le solite notizie banali. Congresso del PD, Trump ed il suo muro, slavina in montagna e, alla sezione sportiva, i risultati delle partite del campionato.
Un momento! Ma oggi è venerdì! Il campionato verrà giocato tra domani e domenica… Marco istintivamente guardò la data del giornale e per poco non svenne. Era la data del lunedì successivo. Si sfregò gli occhi, doveva esserci un errore ma la data era quella. Cazzo! E adesso? La prima cosa che gli venne in mente fu quella di giocare la schedina, puntare sui cavalli e scommettere tutto su quei risultati che erano già stabiliti solo su quei fogli di carta.
Domenica avrebbe dovuto fare una gita con la sua amica Gloria in Svizzera e non sapeva se raccontare a lei o ad altri quella cosa stranissima, forse lo avrebbero preso per matto. Si recò quindi in una ricevitoria e giocò 2000 Euro tra scommesse e schedine in una attesa della domenica tra il curioso e lo scettico.
Lasciò il giornale sul tavolo di casa e domenica mattina passò a prendere Gloria per la programmata gita in Svizzera, ancora chiedendosi come mai il destino, o chi per lui avesse voluto fargli un simile “regalo” che certamente era stato frutto della sua attenzione ai particolari della vita.
Ma il destino è beffardo e traditore e ti si presenta sotto mentite spoglie. La realtà, anche quella più assurda va interpretata e compresa. Quando poi vivi un’esperienza che va oltre la realtà materiale devi cercare un messaggio che non può essere materiale.
Marco aveva pensato al profitto immediato e non aveva letto tutto il giornale, non accorgendosi che, nella cronaca di Milano, c’era un articoletto di fondo che così riportava: “Tragico incidente automobilistico al confine con la Svìzzera. Marco Camussi, stimato architetto milanese, ha perso la vita insieme ad altre tre persone in un incidente automobilistico avvenuto alle 18… ecc, ecc.
Se dovessero arrivare messaggi da dimensioni diverse, prima di pensare al profitto materiale, pensa alla tua vita.

Missione extraterrestre

RZXY234 era un’unità esploratrice del lontano mondo di Mentalia. Situato nella galassia GD (goldendream), a 15 milioni di anni luce dalla Via Lattea, RZXY234, che per comodità terrestre chiameremo d’ora in poi Filù, vezzeggiativo usato dai suoi amici più cari, aveva individuato, nelle sue ricerche, in quella galassia lontana lontana un mondo curioso, i cui abitanti sembravano avere comportamenti davvero strani.
Filù, in quanto emerito capitano esploratore di Mentalia, aveva contatti con miliardi di mondi dell’infinita sfera dell’Universo, ma le caratteristiche di quel piccolo pianeta che i suoi abitanti chiamavano Terra lo avevano incuriosito a tal punto che aveva deciso di farci un salto per rendersi conto di come si strutturasse la vita laggiù.
Ottenuto il benestare dal consiglio dei saggi di Mentalia per il viaggio, Filù preparò la sua astronave a curvatura spaziotemporale che gli consentiva di viaggiare ad una velocità superiore mille volte a quella della luce e selezionò altri due membri del suo equipaggio, i suoi collaboratori più fidati e curiosi che lo avrebbero accompagnato in questa missione esplorativa dall’altra parte dell’Universo.
Si mise in contatto telepatico con Dipiù e Cucù con cui aveva sempre effettuato la gran parte dei suoi viaggi esplorativi e li convocò per il giorno dopo alle 20 ora di Mentalia allo spazioporto.
Approntarono provviste ed una buona scorta di “strizzù”, un liquore tipico del posto che faceva fare sogni felici e rendeva ottimista anche il più burbero dei mentaliani.
Sull’astronave aveva approntato mezzi di contatto con le rudimentali tecniche comunicative della Terra per studiare, durante il viaggio, le usanze ed il linguaggio degli strani terrestri.
Quindi, durante il viaggio, Filù, Dipiù e Cucù, fecero scorpacciata dei programmi televisivi terrestri. Scoprirono ben presto che se non si facevano una buona dose di strizzù, le trasmissioni terrestri erano una palla incredibile, tranne quelle in cui apparivano le indigene un po’ nude. Ben presto si accorsero, dall’alto della loro perspicacia mentaliana, che più un programma aveva tette e culi in vista, più era scarso di contenuti, come se i terrestri prediligessero il senso della vista a quello della comprensione mentale.
Durante la visione di uno di questi programmi, Cucù svenne. Gli altri due membri dell’equipaggio compresero che era accaduto mentre osservava una puntata di una comunicazione che si chiamava “Porta a porta”, condotta da un essere orripilante che sorrideva parlando di disgrazie di suoi simili. Il poverino non aveva retto alla cattiveria di quel mutante che si nutriva della tristezza e delle disgrazie altrui. Intervistava governanti che parlavano un linguaggio incomprensibile e pure sgrammaticato, pensando ai cazzi loro (i mentaliani leggono nella mente) e fantasticando sulle porcherie sessuali che avrebbero voluto fare sulla giovane e truccata psicologa di turno ospite della trasmissione.
Ad un certo punto si sintonizzarono su un breve programma che andava in onda ad ogni ora del giorno e della notte, che i terrestri chiamavano TG.
I mentaliani pensarono che fosse un acronimo per Terra Girevole, vista l’orbita del pianeta in questione e considerato il fatto che si spaziava su notizie che avvenivano ovunque sul pianeta. Ben presto si accorsero che era un qualcosa di molto più subdolo che loro definivano “generatore di paura”, un sottile mezzo per diffondere notizie tendenti a creare un clima appunto di paura ed insicurezza per dominare le deboli menti dei terrestri che, udendo di un attentato avvenuto a migliaia di chilometri di distanza, senza sapere da chi e come, decidevano di non uscire la sera a farsi una pizza sotto casa per paura che il pizzaiolo egiziano gli mettesse una bomba nei pomodori o un veleno nella mozzarella.
I mentaliani continuavano a cambiare frequenza, trovando trasmissioni di uno sport che i terrestri chiamavano calcio in cui 22 giovani in mutande rincorrevano un pallone mentre sugli spalti si accoltellavano e si odiavano profondamente. Poi quiz demenziali dove anche il cane di Filù avrebbe vinto un sacco di soldi terrestri, concorsi di canzoni imbecilli, programmi in cui ingabbiavano qualche decina di coglioni e li spiavano, programmi in cui facevano sfilare giovani femmine terrestri e le numeravano come al mercato delle vacche e tanta altra roba simile.
Avevano appena curvato verso Alfa Centauri (quindi erano quasi arrivati) quando Filù, tracannando l’ultimo sorso di strizzù, disse ai suoi compagni di viaggio: “Oh ragazzi, ma che cazzo ci andiamo a fare su questo pianeta? Qui sono tutti scemi, non c’è nulla da salvare”.
Dipiù e Cucù convennero con il loro comandante e, gettando un occhio fugace sul culo di tale Belèn, che era apparsa come ospite a porta a porta, si riempirono di nuovo il bicchiere di strizzù ed invertirono la rotta…

Una favola…

Riposto una storiella banale che avevo già scritto agli albori del mio blog…mi è capitato di rileggerla e mi va di ripostarla..

Nel regno di Gaianaku i cittadini godevano di una certa ricchezza dovuta alla bontà e munificenza del loro re, il quale non vessava la gente con tasse e balzelli ma permetteva che tenessero per loro la maggior parte dei raccolti e delle loro ricchezze.
L’agio dei cittadini di Gaianaku era unico rispetto a quello dei regni vicini che dovevano invece sottostare a tiranni ingordi e disinteressati al benessere dei loro sudditi.
Un giorno il giovane Hermes, giunto con suo padre al mercato di Gaianaku da uno dei regni confinanti per vendere i loro miseri prodotti, sperando di ottenere un prezzo migliore, rimase molto colpito dalla bellezza del villaggio, delle sue case e dei vestiti dei suoi abitanti che vedeva per la prima volta nella sua vita. Hermes non conosceva il sentimento dell’invidia, ma sapeva apprezzare la bellezza e tutto in quel posto gli sembrava meraviglioso, tanto che la sua mente priva di malignità lo portò a pensare che anche la gente del villaggio dovesse essere altrettanto meravigliosa.
In una delle poche pause dal lavoro si sedette su di un muretto a mangiare una mela e si trovò a fare conoscenza con dei suoi coetanei che stazionavano li vicino a chiacchierare tra di loro, mangiando succulenti panini con la carne che si guardarono bene dall’offrirgli. All’inizio li trovò simpatici ed incuriositi per quello straniero così diverso da loro ma presto iniziarono a fargli domande su chi era, da dove venisse e ciò che possedeva, come se quello fosse tutto quello che gli interessava sapere. La povertà di Hermes fece cambiare atteggiamento ai ragazzi che iniziarono a schernirlo ed a definirlo “barbone” e “pezzente” prendendosi gioco di lui.
In quel momento un cane, in condizioni davvero penose, passò loro accanto, così magro che sembrava non mangiasse da giorni e quando si avvicinò al gruppo, malgrado l’odore della carne lo avesse attratto, si avvicinò ad Hermes che non potè che dividere metà della sua mela con la sventurata bestiolina.
I ragazzi iniziarono a ridere sguaiatamente tirando pietre alla povera bestia, urlando che un pulcioso aveva riconosciuto subito un suo simile e che insieme facevano certamente una bella coppia. Hermes si frappose tra la povera bestiola e quei ragazzi, trascinandola via con se fino ad arrivare al carretto di suo padre. Il genitore, appena vide il cane, inveì a sua volta contro Hermes urlando che non voleva quel sacco di pulci accanto al suo carro e che nessuno si sarebbe avvicinato a comprare le sue merci con quella bestia li vicino.
Hermes si perse negli occhi teneri ed imploranti di quello sfortunato cane dicendo al padre che non lo avrebbe abbandonato e che sarebbe rimasto con lui.
Allontanatosi con il cane che lo seguiva, si trovò ad attraversare le strade del villaggio mentre la gente si scansava al loro passaggio tirando bucce di patate ed ogni tipo di immondizia, deridendoli e chiedendosi ad alta voce chi avesse più pulci, se lui o il cane…
Hermes aveva solo seguito il suo cuore ed aiutato una creatura in difficoltà e, per questo, si trovava ad essere deriso e messo ai margini di quella opulenta società. Improvvisamente si trovò a riflettere come tutta quella felicità e quel benessere avessero inaridito l’animo delle persone e quel posto non gli appariva più il paradiso che aveva creduto che fosse.
Proprio in quel momento, mentre evitava l’ennesima pietra che gli lanciavano contro, udì l’avvicinarsi di una carrozza trainata da una schiera di cavalli bianchi e subito si fece da parte avvicinando a sè la povera bestiola.
Giunta alla sua altezza, la carrozza improvvisamente si fermò ed Hermes notò che tutti quelli che fino a poco tempo prima stavano insultandolo e lanciandogli oggetti, si inchinarono. Dalla carrozza ne discese quello che doveva essere il re, seguito da una misteriosa e bellissima fanciulla dall’aria molto triste. Il sovrano e la ragazza venivano proprio nella sua direzione ed Hermes ritenne che fosse opportuno inchinarsi al re ed a quella che, con ogni probabilità era sua figlia la principessa. Notò anche che il suo nuovo amico a quattro zampe stava dimenando la coda alla vista della ragazza che stava venendo loro incontro.
“Angel!” gridò la ragazza appena vide il cane, correndogli incontro ed abbracciandolo. La bellissima ragazza sembrò aver ritrovato un sorriso che doveva aver perso da tempo mentre ricopriva di baci il cane.
A quel punto avvenne una cosa strana. Sembrò che la bestiola stesse comunicando alla principessa che quell’incontro e la sua salvezza fossero dipesi da quel giovane male in arnese che il cane continuava a guardare.
“Come ti chiami, giovane straniero?” chiese ad Hermes la principessa.
“Hermes, vostra altezza. Sono venuto dal vicino regno di Soul per vendere con mio padre le nostre merci. Qui è tutto meraviglioso e ricco, ma l’unico amico che ho trovato è stato lui” fece indicando il cane.
“Se vorrai, giovane Hermes” disse il re intromettendosi nel discorso, “sarò felice di averti ospite d’onore a palazzo dove potrai avere un buon lavoro e tutte le ricchezze ed i privilegi che desideri perchè grazie a te mia figlia ha ritrovato il sorriso”.
Il ragazzo accettò volentieri, riflettendo sul morale di quella strana storia: La strada verso il paradiso passa attraverso l’amore per qualunque forma di vita bisognosa d’affetto piuttosto che nella ricerca affannosa dell’inutile riconoscimento sociale.

Piano di rinascita (ultima parte)

Non senza difficoltà Makno riuscì a procurarsi un paio di dosi di flashback, grazie ad uno dei suoi vecchi amici “immuni”. Restava adesso da decidere se parlargliene, cercando di ottenere il suo assenso, oppure agire in maniera del tutto egoistica e procedere ad una somministrazione forzata.
Scelse la seconda alternativa, dal momento che la prima gli sembrava conducesse ad un vicolo cieco di reciproca comprensione, visto che non avrebbero parlato lo stesso linguaggio, quindi, in un pomeriggio soleggiato la condusse nel luogo in cui erano soliti incontrarsi ai tempi del loro amore ed attese il tramonto per iniettarle la dose di flashback con il cuore che gli batteva furiosamente nel petto al pensiero di ciò che sarebbe successo. Esitò più volte con mano tremante ed altrettante volte nascostamente la ritrasse; fu proprio nell’attimo in cui parve aver trovato quel coraggio necessario al gesto che si era prefissato che Yelna compì un gesto improvviso col braccio facendo deviare la mano con la siringa ipodermica verso la coscia di Makno che così finì per iniettarsi, suo malgrado, la dose di flashback.
In quel momento si fece una domanda che forse nessuno fino ad allora si era posto: visto che la sostanza era stata sintetizzata per far rivivere i sentimenti a coloro che ne erano stati privati dal “piano di rinascita” governativo ed era esclusivamente destinata a costoro, che effetti avrebbe avuto su una persona “immune”? Per quanto era dato sapere, nessuno aveva mai sperimentato un dato del genere…
Yelna si accorse a quel punto della siringa nella mano di Makno mentre quest’ultimo iniziava a provare un senso di asfissia, una mancanza di aria che gettava un’ombra di grigio sulla sua visione esterna ed interna del mondo. Immagini sfumate iniziarono a passargli davanti agli occhi mentre il microchip innestato all’epoca del piano di rinascita sembrava stesse diventando incandescente tanto gli bruciava.
Avendo timore di perdere completamente i sensi, Makno cercò allora di confessare a Yelna quello che aveva cercato di fare, parlandole del suo stato di “immune”, del flashback e delle due siringhe con le quali nutriva la segreta ed inconfessabile speranza di risvegliare i suoi addormentati sentimenti per poter rivivere con lei i momenti ancora vivi nei suoi ricordi mai sopiti. La donna lo ascoltava con immobile attenzione, senza interromperlo, quasi stesse disperatamente cercando da qualche parte, nel suo cervello, un senso logico al discorso che stava ascoltando. Al termine di quello che parve un incredibile sforzo, Makno perse i sensi, tendendo verso Yelna la seconda siringa ancora piena con il flashback.
Lei la prese, girando e rigirando l’oggetto come se fosse un qualcosa che potesse morderla da un momento all’altro, forse cercando di immaginare cosa sarebbe accaduto se l’uomo fosse riuscito nel suo intento di iniettarle la sostanza. Non si accorse di quanto tempo fosse trascorso a guardare lo strumento che Makno iniziò a compiere piccoli movimenti quasi fosse sul punto di risvegliarsi.
Fu in quel momento che lei prese una decisione che doveva averle attraversato la mente come un fulmine. Prese la seconda siringa di flashback e se la iniettò a sua volta prima che Makno si riavesse del tutto.
Yelna iniziò a sentire una strana sensazione di pizzicore in tutto il corpo, una sorta di formicolio che le attraversava la colonna vertebrale come una specie di serpente che iniziava a srotolarsi all’interno di essa fino ad arrivare alla base del cervello, proprio dove si trovava quel maledetto microchip che allora sembrò esploderle in testa in un turbinìo di colori, mentre i fantasmi colorati di tanti ricordi le attraversavano di nuovo la mente come un esercito che riprendeva posizione in una landa desolata. Fu una sensazione stupenda, adesso ricordava tutto, la luce nei suoi occhi era di nuovo accesa ed il suo sguardo era chino su Makno per incontrare il corrispondente sguardo negli occhi di lui.
Ma non lo vide. Lui riaprì un paio di occhi freddi e velati che esprimevano soltanto un interrogativo. “Che ci faccio qui?” le chiese.
Yelna capì allora che il flashback aveva ottenuto su Makno l’effetto opposto a quello che aveva sui “non immuni”, cancellando emozioni e sentimenti, quasi avesse riattivato quel microchip che inizialmente non aveva funzionato. “Che incredibile sfortuna!” le venne da pensare, un piccolo errore, un gesto sbagliato e ci siamo scambiati i ruoli proprio nel momento meno opportuno, così, quando l’amore, dopo tanto tempo, era stato vicino a sollevare l’ultimo velo che lo separava dalla sua anima gemella, proprio allora le loro strade avevano ripreso a divergere. La consolava il fatto che lui non si sarebbe arreso e ci avrebbe certamente riprovato e che almeno per qualche ora avrebbero potuto nuovamente essere felici.
Quello che Yelna ancora non sapeva era che l’effetto del flashback su Makno era stato irreversibile, aveva cioè, per qualche misteriosa ragione biomeccanica, riattivato per sempre le impostazioni emozionali previste dal microchip del “piano di rinascita” governativo.
Per un assurdo gioco del destino, Makno, il quale voleva che Yelna lo raggiungesse nel suo mondo per qualche ora, aveva ottenuto il risultato di raggiungere per sempre lei nel suo freddo mondo programmato, uccidendo definitivamente le sue emozioni, senza apparente speranza di poter tornare indietro.
Mentre calde lacrime le rigavano il viso, ancora sotto l’effetto del flashback, le venne in mente, in quella incredibile situazione, ed a terribile proposito, una frase di “Romeo and Juliet” di William Shakespeare: “Ahimè…perchè l’amore, di aspetto così gentile, è poi, alla prova, così aspro e tiranno?”

Piano di rinascita (3^ parte)

Makno non aveva mai dimenticato ciò che aveva vissuto con Yelna, colei con cui aveva creduto e sperato di condividere una vita libera, amando alla luce del sole, lasciandosi cullare con lei dalle fantasticherie di una vita insieme…e non importa se si sarebbero avverati o no quei sogni, ma erano i suoi sogni, i loro sogni e non un paradiso artificiale dove non c’era posto per nessun errore umano e dove tutto era aridamente già programmato. Davvero credevano che il prezzo di un mondo sicuro, senza crimini e guerre, avrebbe potuto essere così elevato? Davvero credevano che un notiziario senza rapine, furti ed omicidi valesse la sensazione di un contatto di pelle e respiri su una spiaggia al tramonto con la persona amata?
In preda allo shock dopo l’evolversi degli eventi e la scoperta, ancor più sorprendente, che il microchip innestato alla base del suo cranio non funzionava come avrebbe dovuto, lasciandogli pressoché intatti tutti i sentimenti, Makno era fuggito dalla sua città, trovando rifugio in un altra zona del Paese dove era riuscito ad entrare a far parte di un gruppo di “immuni”. Aveva anche trovato un lavoro dignitoso e ben remunerato ma il suo cruccio più grande era quello di aver perso Yelna. Trascorso qualche mese, dopo che aveva a fatica metabolizzato la sua nuova condizione, si era determinato a cercarla e, senza grosse difficoltà, l’aveva finalmente ritrovata ma ormai non era più lei, non era la Yelna che conosceva, che aveva amato, con cui aveva condiviso speranze e progetti e con cui aveva litigato mille volte per tornare poi ad amarla più follemente ed intensamente di prima.
Lo aveva riconosciuto, questo si, il microchip non agiva sulla memoria ma solo sui sentimenti, ma per Makno ritrovarla fu quasi come morire; Un sorriso senza luce apparve sul volto di Yelna quando i loro sguardi si incrociarono dopo tanto tempo ed egli intravide qualcosa di simile ad un freddo neon rispetto alla luce del sole che era abituato a scorgere nei suoi occhi.
Un turbine di pensieri scosse la mente del ragazzo allorquando Yelna gli chiese di “registrare” il loro rapporto, istituzionalizzandolo davanti alla legge. Un brivido di paura iniziò a scorrere lungo la schiena di Makno e gocce di sudore freddo gli imperlavano la fronte malgrado il caldo estivo di quel periodo.
Era una decisone terribile. L’amava moltissimo, ma avrebbe sopportato di vivere una vita con lei in un amore a senso unico? Con chi o che cosa avrebbe dialogato il suo smisurato sentimento se dall’altra parte c’era un’anima “morta”? Come avrebbe potuto impedirsi di dirle “ti amo” tutte le volte che avrebbe voluto? Avrebbe potuto chiamarsi vita un’esistenza di questo genere, seppure a lei vicino?
Fu così che iniziò a farsi strada nella sua mente la folle idea di somministrare a Yelna il “flashback”, la sostanza di cui aveva tanto sentito parlare tra gli “immuni”, ma le complicazioni ed i rischi che questo avrebbe comportato egli li aveva ben presenti. I problemi sembravano insormontabili, primo fra tutti procurarsi la sostanza, e poi come avrebbe fatto a farla assumere a Yelna? Avrebbe cercato di convincerla spiegandole gli effetti? Lei avrebbe accettato? Oppure gliela avrebbe iniettata contro la sua volontà per poter rivivere finalmente qualche ora della felicità che avevano vissuto insieme? E cosa sarebbe successo dopo? Terminato l’effetto lei non avrebbe ricordato più nulla ed a lui sarebbe rimasto un dolore ancora più profondo…la droga l’avrebbe assunta lei, ma la crisi di astinenza, in fondo, l’avrebbe vissuta lui sulla sua pelle.
Ma non poteva rinunciare a provarci, non gli importava quello che sarebbe venuto dopo, doveva rivivere, anche se per poche ore, un frammento dell’unica cosa che fino ad allora aveva creduto potesse riempirgli la vita…

To be continued…

Piano di rinascita (2^ parte)

Ben presto si dovette riconoscere che il “nuovo ordine” aveva eliminato ogni causa di incomprensione ed attrito tra gli uomini, i quali si comportavano in modo del tutto prevedibile secondo le linee guida del “benessere globale” voluto dalla classe dirigente per garantire un futuro di prosperità e progresso all’intero genere umano. Certo, si era dovuto rinunciare a parecchie abitudini caratteristiche della vita sentimentale precedente, così, ad esempio, quasi più nessuno aveva in casa animali domestici ed i programmi televisivi ed i film al cinema erano stati svuotati di ogni sentimentalismo ed improntati al mero nozionismo, ma nessuno ci faceva caso in quanto anche la noia era scomparsa dai circuiti emozionali.
Come sempre accade, però, non tutte le ciambelle riescono col buco ed alcune persone, sottoposte al “piano di rinascita”, per qualche misteriosa ragione, risultarono refrattarie al trattamento imposto per legge, mantenendo in gran parte inalterati i sentimenti con cui erano nati in quel mondo che, per imposizione dettata dalla necessità, glieli aveva in seguito sottratti.
Evidentemente deve esistere qualche regola più grande e trascendente di quelle umane che afferma il fatto che la natura non gradisce che venga alterato il suo corso spuntando le armi del libero arbitrio, per cui queste persone, una volta che si erano rese conto del loro stato di privilegiati o di reietti, a seconda dei punti di vista, avevano iniziato ad incontrarsi in segreto, ben consapevoli che la loro attività, in quel preciso momento storico equivaleva ad un grave attentato all’ordine costituito.
Molti degli “immuni” avevano scelto di abbandonare le loro famiglie fingendosi dispersi (ogni tanto poteva capitare nel nuovo ordine) ed avevano costituito nuovi legami tra di loro, basati in clandestinità sui vecchi sentimenti banditi. Altri avevano scelto invece di continuare la loro vita di facciata con le persone di sempre, prestando attenzione naturalmente a non tradirsi. Ma vi erano anche coloro che ordivano per infiltrarsi nuovamente nel tessuto sociale così artificialmente perfezionato, piazzando i vecchi sentimenti “illegali”, una sorta di nuova droga sintetizzata in laboratori clandestini per mettere temporaneamente fuori uso i microchips governativi frutto del “piano di rinascita”.
Alcuni scienziati “immuni” erano riusciti a sintetizzare un composto, ribattezzato “flashback”, pochi milligrammi del quale, iniettato con una siringa ipodermica, avrebbe fatto riaffiorare i vecchi sentimenti ormai cancellati, consentendo alle persone di provare nuovamente passione, di baciare con affetto i propri figli e fare l’amore finalmente liberi da un’azione freddamente meccanica. L’effetto della “droga emotiva” aveva però una durata limitata e, terminato l’effetto, non restava altro che un vago sentore di sensazioni perdute. Inoltre, il suo utilizzo prolungato poteva avere effetti devastanti sul sistema nervoso provocandone addirittura la paralisi. Per questi motivi, e per la severità delle leggi vigenti, non erano molti quelli disposti a correre simili rischi.

Piano di rinascita (1^ parte)

Anno 2196, primo centenario dell’era della libertà dai sentimenti. Si vive finalmente in un mondo libero dalla schiavitù della dipendenza dai rapporti con gli altri. Amore, amicizia, affetto, compassione, gratitudine… ma anche odio, avversione, tradimento e vendetta… tutto è stato bandito dalla società che stava scivolando verso l’ultima e più devastante guerra che avrebbe annientato una volta per tutte il genere umano dalla faccia del pianeta che pazientemente lo aveva ospitato fino a quel momento.
I governanti dell’epoca, resisi conto dell’inevitabile declino che i sentimenti stavano causando ai popoli, avevano deciso di intervenire con un provvedimento drastico ma, a loro insindacabile giudizio, inevitabile: l’azzeramento delle coscienze e l’obbligo di sottoporsi, da parte di tutti i cittadini, ad una riprogammazione neurale che li avrebbe portati ad un ordine di priorità prestabilito che prevedeva di anteporre a tutto la sopravvivenza del pianeta e le regole che dovevano preservare la conservazione pacifica forzata dei rapporti tra gli individui.
L’amicizia sarebbe diventata “convivenza”, l’affetto si sarebbe trasformato in “sopportazione”, la gratitudine in una sorta di obbligo di “ripagamento” sancito per legge, la compassione doveva diventare un “obbligo di solidarietà verso i bisognosi” e l’amore una mera scelta selettiva di un partner con cui garantire la continuità della specie, sottoposto al vaglio ed all’autorizzazione del potere costituito.
I sentimenti negativi, invece, sarebbero stati tutti azzerati e cancellati dai circuiti neurali, ma, dal momento che non si potevano cancellare le emozioni negative lasciando spazio solo a quelle positive, e non si sarebbe potuto azzerare tutto senza creare una società di vegetali, queste ultime erano state riprogammate nel modo appena descritto.
Quando il “piano di rinascita” era stato varato e reso pubblico al mondo, c’era stata una sollevazione popolare da parte di coloro che temevano di perdere una parte importante della loro anima nei confronti delle persone più care, ma la teoria che i rapporti già esistenti sarebbero continuati senza screzi, litigi ed incomprensioni nell’armonia più assoluta ed inattaccabile aveva finito per piegare anche i più riottosi, che, alla fine, si sottoposero al “brainstorming” medico-istituzionale che avrebbe impiantato nelle loro menti, in modo del tutto indolore, un microchip che avrebbe riprogammato i loro sentimenti.
Ed in effetti, i primi anni di applicazione di questa storica rivoluzione nella storia dell’essere umano sembrarono dare i frutti sperati: cessazione di tutti i conflitti su scala mondiale, azzeramento di tutti gli omicidi ed in genere di tutti i reati violenti nella società, niente più divorzi e separazioni, era scomparso ogni litigio in casa, nei locali e nelle strade. Persino il tifo sportivo fu regolamentato, i club calcistici, di basket o di ogni altro sport di squadra diventarono a numero chiuso e, alla fine di ogni match, che si vincesse o si perdesse, tutti quanti, sportivi e tifosi delle rispettive fazioni, si stringevano la mano alla fine della competizione.
Furono aboliti gli sport ritenuti “violenti”, il pugilato e tutte le arti marziali divennero illegali in base ad un ben preciso articolo di legge che definiva “disumana” ogni attività che prevedesse la possibilità di “mostrare al pubblico sangue umano”…

To be continued…se siete curiosi di sapere come va a finire….

Ti leggo nel pensiero

Alan aveva deciso quella mattina di recarsi al lavoro a piedi, godendosi i tiepidi raggi del primo sole primaverile tagliando per il parco, invece di ingolfarsi nel caotico e snervante traffico dei lavoratori mattinieri che mettevano a dura prova cuore e polmoni, incolonnati nelle loro scatole metalliche a perdere il tempo più inutile e controproducente di tutta la giornata.

Mentre transitava, assorto nei suoi pensieri, sotto uno degli enormi alberi del parco, un ramo per fortuna non troppo grande, forse indebolito da qualche recente temporale, si staccò dal tronco e precipitò colpendo Alan esattamente al centro della testa.

L’uomo si portò istintivamente le mani al capo mentre la vista gli si annebbiava per un attimo e fece in tempo a raggiungere una panchina vicina per sedersi, temendo di svenire.

Credeva di essersi aperto la testa e continuava a tastarla accorgendosi poi, con gran sollievo, che non c’era niente di rotto, nessuna ferita sanguinante, solo l’accenno di un bozzo che sarebbe diventato, con ogni probabilità un notevole ematoma.

Dopo qualche minuto in cui aveva preferito restare in posizione seduta, dopo aver fatto un paio di tentativi di mettersi in posizione eretta senza nessun effetto particolare, decise di riprendere il cammino verso l’ufficio, dove, una volta arrivato, avrebbe subito messo del ghiaccio per tamponare gli effetti della botta.

Si sentiva stranamente rinvigorito, l’unica cosa particolare era un certo brusio che percepiva in sottofondo, come una serie di voci che si sovrapponevano sussurrando nella sua testa. “Sicuramente sono gli effetti della botta che ho appena preso…passerà” pensò Alan mentre procedeva a passo spedito verso il suo luogo di lavoro.

Giunto all’ingresso dello stabile in cui si trovava lo studio di architettura in cui lavorava, salutò il custode augurandogli il buongiorno e mentre riceveva analogo saluto, dalla stessa direzione percepì, in maniera sovrapposta, ma chiaramente udibile la frase “buongiorno un cazzo”.

Alan si arrestò di colpo guardandosi attorno, non riuscendo a capire la fonte di quello che aveva ben udito, visto che nel portone erano presenti soltanto lui ed il custode. Non vedendo nessuno scosse il capo e si avviò verso l’ascensore credendo che fosse stato uno strano effetto dovuto alla botta da poco ricevuta.

Giunto in ufficio salutò la segretaria avviandosi verso la sua stanza, udendo stavolta distintamente una voce che gli sussurrava “non sopporto questo posto e gli stronzi che ci lavorano”. Ancora una volta Alan si bloccò voltandosi di scatto verso la segretaria che gli indirizzò un sorriso che sembrò falso come un Rolex thailandese.

Ancora una volta non c’era nessun altro e quindi non riusciva a spiegarsi da dove provenisse quella voce che egli aveva ancora una volta nettamente percepito.

Si sedette alla sua scrivania un po’ confuso e frastornato, non capendo se la sensazione derivasse dalla botta presa nel parco oppure da quelle voci a cui non sapeva dare una spiegazione razionale.

In quel momento entrò nella sua stanza Erik, il responsabile con cui aveva un progetto importante in condivisione che dovevano consegnare di lì a breve.

“Ciao Alan, a che punto sono i disegni del progetto?”

“Quasi completati Erik, prima della fine della mattinata ci vediamo per verificare il lavoro ed oggi pomeriggio andremo sul cantiere fuori città”, rispose Alan.

“Sarà il solito lavoro fatto col culo…e dovrò restare in ufficio sino a notte fonda per correggere le cagate che hai combinato”. La voce giunse fin troppo nitida ai sensi di Alan per non fargli pensare che fosse uno scherzo della sua percezione. Aveva osservato Erik che non aveva mosso le labbra per esprimere alcuna parola ma era assolutamente convinto che quei suoni che gli erano giunti erano una specie di pensiero ad alta voce che il suo collega aveva espresso a livello mentale.

“Scusami Erik, devo fare una telefonata urgente, ti spiace se ci aggiorniamo più tardi per parlarne?”.

“Non c’è problema Alan, passa da me appena puoi”.

Non riusciva a capacitarsi di quello che stava accadendo, sembrava che…per qualche misteriosa ragione, riuscisse a sentire con i sensi comuni quello che la gente attorno a lui pensava senza esprimerlo…ma non poteva essere possibile…a meno che…ma si…la botta in testa che ho appena ricevuto, chissà, deve avermi misteriosamente attivato un’area del cervello che mi consente di udire sensibilmente i pensieri della gente che mi sta attorno.

Euforico, ma allo stesso impaurito per questa teoria inverosimile che aveva partorito, aveva bisogno di sperimentare se la sua idea era corretta e non il frutto di una patologia mentale nascosta che aveva iniziato a manifestarsi proprio in quel momento.

Uscì dalla sua stanza e si recò da Alicia, la responsabile dell’amministrazione, che sapeva essere da tempo invaghita di lui ma che non aveva voluto mai frequentare ed illudere.

“Ciao Alicia, come va stamattina, passato una bella serata ieri?”

“Niente di che Alan, l’ho passata a casa a guardare la TV. A te tutto bene?”. “Si, grazie, anche io nulla che valga la pena raccontare”, rispose. Alle parole uscite dalle labbra di Alicia si sovrapposero altre, parimenti udite da Alan altrettanto chiaramente… “Se fossi venuto a casa mia ci saremmo divertiti entrambi…”.

Stavolta la meraviglia e lo shock iniziarono a lasciare il posto ad una sottile e strana soddisfazione, poiché stava avendo la conferma che si stesse verificando esattamente quello che pensava: riusciva a sentire i pensieri degli altri.

Prese congedo dalla ragazza adducendo ancora la scusa di una telefonata importante che aveva ricordato di fare e tornò a sedersi nella sua stanza per riflettere su quello che gli stava capitando. Le cause erano certamente legate al colpo ricevuto in testa nel parco ma a quel punto era inutile riflettere sul perché, piuttosto sulle implicazioni che da quello ne sarebbero derivate. Forse era sempre stato il sogno di tutti riuscire a leggere i reconditi pensieri della gente ma davvero era una cosa positiva? Voleva davvero sapere cosa gli altri pensassero di lui? A cosa sarebbe servito mettere a nudo l’anima di chi gli stava di fronte? Iniziava a sentirsi come un ladro che, senza volerlo, si insinuava nella stanza più segreta della casa rovistando negli angoli più nascosti.

Questi pensieri iniziarono a dargli un certo mal di testa, per cui decise di avvisare che non si sentiva bene e che sarebbe tornato a casa.

Rientrando si imbattè in Jason, il suo amico e vicino di casa a cui disse appunto di star rientrando dal lavoro perchè non si sentiva troppo bene. “Sarà certamente per quelle schifezze che cucina tua moglie”. Alan percepì quello che doveva essere il pensiero di Jason tra le parole di circostanza che invece stava esprimendo ad alta voce e gli venne da sorridere. Anche lui sapeva che Jane non era una gran cuoca.

Una volta a casa decise di dormirci sopra. Con la mente riposata da un paio di ore di sonno avrebbe forse visto tutto più chiaro… o chissà… quello strano fenomeno sarebbe scomparso così come era apparso.

Si risvegliò proprio mentre sua moglie Jane stava rientrando a casa dal lavoro e fu alquanto stupita di trovarlo a letto a riposare. Alan le raccontò che era rientrato prima dallo studio per un malessere cercando di decidere se metterla al corrente anche di quello strano fenomeno che gli stava capitando. La baciò e si stava recando in bagno mentre udì distintamente un pensiero di sua moglie che lo bloccò. Dovette appoggiarsi al mobile accanto per non perdere l’equilibrio e metabolizzare il pensiero di Jane che aveva appena udito.

“Accidenti, oggi non potrò vedermi con Patrick…devo avvisarlo subito”. Patrick era il suo amico dai tempi dell’università ed aveva sempre avuto un debole per Jane e adesso stava realizzando che i due avevano una relazione. Fece dietrofront e si avvicinò in silenzio verso la cucina dove, in un angolo, Jane stava sommessamente parlando al cellulare, era sin troppo ovvio con chi.

Tornò in camera da letto dove si rivestì in fretta e, senza profferire parola, raccolse chiavi e portafoglio precipitandosi fuori di casa nel tiepido sole di quel pomeriggio. Aveva bisogno di pensare, riflettere su tutto, il lavoro, il suo matrimonio, e quel maledetto e sconosciuto “potere” che gli stava mandando a monte tutta la vita…ed erano passate solo poche ore da quando era successo. Chissà cos’altro lo aspettava. Si sarebbe trovato ben presto da solo, senza amici, senza moglie e senza lavoro…tutto per colpa di uno stupido ramo che gli era caduto sulla testa.

Giunto nel parco, si sedette sulla stessa panchina dove poche ore prima aveva avuto origine l’evento che gli stava rivoluzionando l’esistenza. Alan si trovò a riflettere sul fatto che si riteneva che il cervello utilizzasse solo il 7% delle proprie capacità e, tra il non trascurabile 93% rimanente, c’era sicuramente la facoltà di leggere i pensieri che in lui si era attivata in maniera del tutto fortuita. Ma lui non era pronto per un dono del genere, essere dotati in un mondo livellato verso il basso nello sviluppo cerebrale riusciva a generare solo una indicibile sofferenza, come quella che stava sperimentando Alan in quel momento.

Non era mai stato un cattolico convinto, ma in quel preciso istante si trovò a pregare con fervore Dio perché lo liberasse da quell’inferno, restituendogli la sua vita normale.

Dopo un tempo indefinibile trascorso su quella panchina, Alan si alzò per proseguire il suo cammino, non avendo intenzione di tornare a casa perché non sapeva ancora come far fronte alla situazione.

Mentre attraversava la strada all’uscita del parco, immerso del tutto nei suoi pensieri, non si avvide di un’auto che, sbucata dalla curva alla sua destra, lo centrò in pieno. Il buio lo avvolse.

Stava riaprendo gli occhi a fatica sotto una forte luce al neon che gli dava fastidio. Aveva un gran mal di testa e si rese ben presto conto di essere disteso in un letto di ospedale.

In quel momento avvertì la presenza di alcune persone accanto a lui che entrarono nel suo campo visivo oscurando quella fastidiosa luce che gli feriva gli occhi.

Riconobbe subito il suo amico Patrick e sua moglie Jane visibilmente sollevati che gli stavano sorridendo mormorandogli parole del tipo “andrà tutto bene”, “sei stato investito da un’auto”.

Tutto il resto era pace e silenzio.

Alan, stringendo con amore la mano di Jane disse le sue prime parole da quando ebbe ripreso conoscenza: “Tesoro, ma che mi è successo? Non ricordo nulla”. Lei e Patrick si guardarono per un attimo poi gli sorrisero benevoli. La sua preghiera era stata esaudita, l’effettiva realtà è un peso troppo gravoso da sopportare…