Month: novembre 2015

Ciccio il riccio

Una bella serata di primavera, in una radura, al bar della quercia caduta, gli animali del bosco stavano discutendo dell’organizzazione di un party per celebrare l’inizio della bella stagione con danze e balli in quel largo spazio nascosto nel bosco delle 7 querce.

Zazà la volpe si propose subito come organizzatrice dicendo che avrebbe pensato lei a tutto facendo pagare un certo prezzo per i biglietti di invito, ma tutti gli altri animali, visti i precedenti di creste e maneggi vari che Zazà aveva fatto in precedenza, presentandosi con bosko cola sgasata e pasticcini rubati al discount, decisero che ognuno avrebbe portato qualcosa e la festa sarebbe stata ad ingresso libero…così le dissero di portare solo l’uva.

Tino lo scoiattolo avrebbe fatto preparare alla sua dolce metà dolci di mandorle e ghiande, Gegè la marmotta avrebbe pensato alla frutta con more, mirtilli ed altri frutti di bosco, Mimmo il cervo e Nico il daino ad insalata e pinzimoni, mentre Mario l’orso e Alberto il lupo avrebbero pensato a salsicce e prosciutti. Le bevande sarebbero state appannaggio di Teodoro il castoro che aveva un laboratorio clandestino di whisky ed acquavite sotto la sua diga sul fiume, oltre ad una discreta scorta di casse di birra.

La sera prefissata, Albertino il tasso, nel giro chiamato “il puttaniere” perchè pagava le tasse, montò il suo impianto stereo con l’aiuto di un coro di cicale che lo avrebbero accompagnato dal vivo nell’occasione.

Sotto l’effetto dei drink di Teodoro ben presto la festa entrò nel vivo. Pasquale il cinghiale faceva a gara con Mario l’orso a chi ballava più goffamente, mentre Selene la talpa andava a sbattere continuamente contro tutti e continuava ad invitare a ballare alberelli e cespugli non riuscendo a scorgere la differenza con gli altri invitati.

Luciano l’alce si era messo in disparte, affranto dall’ennesima storia d’amore finita male con una daina dalle curve mozzafiato che però gli aveva piazzato un paio di corna esagerate…era un vizio di famiglia…

Quando Tonino il gufo, guardando il cielo, disse che secondo lui stava per piovere gli arrivò dritta sul becco una ghianda tiratagli da Mirna la lince che gli urlò di non fare il solito menagramo.

In un angolo della radura stava, con un’aria molto triste, Ciccio il riccio, il quale non riusciva ad inserirsi nel clima di divertimento come avrebbe voluto. Con i suoi aculei non gli si avvicinava nessuno, aveva già distrutto un numero considerevole di piatti e bicchieri di plastica ed inoltre aveva bucato quasi tutti i palloncini che erano stati messi per la festa, tanto che ad ogni mossa o passo di danza ne esplodeva uno e tutti dovevano correre a nascondersi pensando che ci fosse qualche cacciatore nei paraggi.

Aveva provato ad invitare una bella leprotta a ballare qualche lento ma dopo la prima puntura lei si era allontanata di corsa. Persino Selene la talpa aveva rifiutato di ballare con lui, per cui il povero Ciccio era lì a rimuginare su cosa fosse passato per la testa del creatore per avergli fatto un fisico simile.

Ad un certo punto notò, al buffet, una splendida riccia che stava mangiando i lamponi portati da Gegè la marmotta e siccome pareva avesse sbevazzato qualche cocktail della cambusa di Teodoro, si stava divertendo a lanciarli in aria cercando di prenderli al volo con la bocca. Naturalmente ne centrava uno su dieci e gli altri si andavano ad infilzare sui suoi aculei che erano per questo motivo diventati di un fantastico rosso.

Ciccio ne restò colpito e si avvicinò alla bella riccia, deciso a fare la sua conoscenza. Nell’avvicinarsi a lei graffiò Casimiro il ghiro che stava beatamente ronfando seduto su un tronco e che gli lanciò una serie di bestemmione che avrebbero fatto impallidire un ultrà dell’Atalanta oltre ad una salsiccia che gli si infilzò tra gli aculei delle parti basse. Dal momento che non aveva intenzione di presentarsi alla bella riccia con un look alla Riccio Siffredi con quella salsiccia posticcia, chiese ad Alberto lupo di togliergliela e quest’ultimo acconsentì, estirpandogli però anche l’aculeo nel quale si era infilzata divorandola in un boccone stile spiedino.

Libero dall’appendice posticcia, Ciccio si spruzzò un pò di eau de sottobosque…che portava sempre con sè e si avvicinò alla bella riccia che stava continuando a ricoprirsi di lamponi. Al lancio dell’ultimo in aria, le si avvicinò tanto che il frutto andò dritto nella bocca di Ciccio che lo masticò con gusto offrendo alla riccia uno sguardo languido e compiaciuto.

“Come ti chiami?” Le chiese.

“Rossella” rispose la riccia.

“Un nome che ti si addice molto, vuoi ballare?”

Con l’eleganza tipica del riccio, Ciccio la portò al centro della pista ed i loro aculei si intrecciarono dolcemente mentre partivano le note di “starway to heaven”…

Morale: anche se vivi una vita da solo, e ti sembra di essere fuori posto quando tutti intorno a te si divertono, ci sono momenti in cui è dolce anche stare sulle spine se c’è qualcuno con cui condividerlo…

 

 

Hai un momento, Dio?

Ciao Dio. Io non so pregare, nella mia vita l’ho sempre fatto poco e male. Ma vedo che intorno a me c’è chi prega uccidendo persone innocenti e allora mi chiedo come puoi consentire tutto questo.

Come posso credere, se a tutti è permesso di fare ciò che vogliono anche a scapito di altre vite?

Un modesto e laico scrittore a me caro una volta disse: “Non so se Dio esiste, ma se esiste non ci sta facendo una bella figura”. Ecco allora ti confesso che non capisco.

Per avere fede magari servirebbe almeno sapere il tuo nome anche se non è importante, sapere dove sei, anche se neanche questo importa ma ti vorrei fare una domanda: perchè?

Un senso almeno dovresti darcelo e sembra che tutto ciò non abbia senso. Ognuno di noi cerca un senso in tutto, ma se centinaia di anime vengono massacrate che senso può avere? Perdonami ma non lo capisco.

Forse non dobbiamo capirlo? Ma ci hai donato una mente che è arrivata a capire il concetto che ci sei, perchè non ci fai capire anche il perchè di tutto questo?

Siamo arrivati a meravigliarci della bellezza di un tramonto, perchè poi ci tocca inorridire al crepitare di un kalashnikov? Lo so che il tramonto lo hai fatto tu mentre il fucile lo abbiamo creato noi ma perchè una mente può creare un’opera d’arte ed un’altra uno strumento di morte? Perchè lo hai permesso? Noi non possiamo fermare un tramonto, spero che tu possa almeno fermare un mitra.

Credo che tu ci abbia dato un cuore perchè ci amassimo e non per odiarci l’un l’altro, ci hai dato delle mani non perchè ci sgozzassimo tra noi, facci credere almeno questo altrimenti diventa difficile, sai?

E’ già dura sopportare il peso di un’esistenza penosa e passeggera, le diversità dei nostri fragili corpi, dei nostri vestiti, delle nostre malattie e delusioni, del non capirsi per i nostri linguaggi diversi e limitati, i nostri ridicoli usi, le nostre leggi imperfette.

Se qualcuno ti venera con le mani giunte o con la fronte per terra che sia motivo per unirci, piuttosto che convincerci che uno è giusto e l’altro sbagliato, perchè questo dominio è solo su quel mucchio di fango sperduto che abbiamo qui e crediamo sia il centro di tutto.

Io non lo capisco ma ti chiedo di farcelo capire.

Caro Dio, se sei luce non possiamo scorgerti se ci precipiti nel buio, se lasci che pochi abbiano la meglio su tanti, se lasci che l’invocazione a te, O Dio, divisa in due parole, si riunisca in una sola, odio.

Ci hai dato tanta intelligenza ma poca memoria. Sappiamo fare cose meravigliose ma dimentichiamo il bene che ci è stato fatto mentre ricordiamo anche la più piccola offesa, che resta una ferita che mai si rimargina: Almeno rendici più stupidi ma con più memoria, perchè di guerre ne abbiamo fatte tante, abbiamo perso tutto, ma siamo ancora lì a difendere lo stupido nome di una nazione o di una religione che ci fanno credere “nostra” ma che non lo è affatto.

Adesso ti spetta l’ingrato compito di spiegare a tutti coloro che hanno perso tutto che è un tuo disegno…sai Dio, non vorrei essere nei tuoi panni.

Col pensiero a tutti quelli che ieri hanno perso la vita in modo assurdo. Prima di essere francesi, europei, occidentali erano uomini e donne come tutti quanti noi su questo misero pezzo di fango che chiamiamo Terra….

I cancelli del cielo

La dottrina cattolica, a mezzo di tutti i suoi esponenti più autorevoli, ha sempre propugnato la teoria che, dopo la vita terrena, se un uomo avesse osservato, durante quest’ultima, i precetti del cristianesimo alla lettera, avrebbe varcato i cancelli del paradiso, ivi guadagnandosi la vita eterna. In caso contrario, sarebbe marcito all’inferno.

Ora, siccome le chiavi del cancello sono affidate a San Pietro, lo stesso venne messo a capo del corpo di guardia in uniforme bianca a smistare i nuovi arrivi. Lui era l’unico residente in loco, in quanto gli altri due, uno addetto alla sbarra, l’altro di vedetta, erano due precari presi a tempo determinato dalle liste di collocamento del purgatorio.

Si iniziò quel giorno, al mattino, con l’arrivo di un pullman di bambini passati a miglior vita senza essere stati battezzati e qui il buon Pietro, romanaccio buontempone, va subito in crisi: “aho, basta a fà caciara, nun ve posso fare entrà, disse al più grandicello che sembrava il capo comitiva. “Qua le regole sò precise e poi rischio che me sfasciate tutto. Eh o’ sò che siete anime innocenti ma qua dobbiamo rispettà le regole altrimenti nun ce se capisce più gniente. Su su, annate a smaltì er peccato originale ner limbo, saranno una decina di anni luce…dopo Sirio, prendete la seconda stella a destra”… e i bimbi mestamente se ne vanno.

Ma ecco che arrivano due tizi vestiti con un sari bianco, quello davanti è magro, calvo ed ha degli occhialini di metallo cerchiati. Quando arrivano al gabbiotto dice a Pietro: “Siamo indù” E Pietro sghignazzando: “Eh o vedo che siete indù, so contare… Ma tu chi sei?”

“Sono il mahatma Ghandi, l’apostolo della non violenza”.

“Ah, apostolo? Però all’ultima cena der fijo der capo mica t’ho visto sa? Ma te sei battezzato?”

“Cos’è il battesimo?”

“Ok a Ghà stai a fa o spiritoso? Nun te posso fa passà a te e l’amico tuo…ho già mannato ar limbo un pulman de pischelli, figurate se faccio passà a voi”…nnnamo va…”

Subito dopo arrivano altri due anziani con capelli bianchi in tunica che camminano con aria solenne. Giunti al cancello, Pietro li ferma e chiede chi siano secondo procedura.

“Siamo Socrate e Platone, ci hanno dato questo indirizzo dove avremmo trovato tutte le risposte ai nostri interrogativi”

“Questo è er paradiso dei cattolici, ah belli…siete battezzati?”

“Cattolici? E che roba é? Una squadra nuova? Mai sentiti nominare… ai nostri tempi non esistevano”

“Annamo bene… allora ve ne dovete annà…qua, se non siete soci, nun se – pò – entràààà… ma che ve pensate che stamo a pettinà i cherubini qua?”

E così mestamente anche i due filosofi tornano indietro.

Ed ecco che si avvicina un uomo in armatura e veste crociata.

“Ahhhh” fa Pietro, “finalmente un socio. Come te chiami?”

“Sono Goffredo di Buglione, capitano della prima crociata contro gli infedeli musulmani e ne uccisi a migliaia!”

“Uccisi? Tu hai ucciso? Allora a morè nun te posso accettà… er comannamento dice non uccidere, quindi aria… anvedi questo, uccide migliaia de persone e c’ha pure la faccia de presentasse qua!” E si allontanò fischiettando “Un capitanoooo c’è solo un capitanoooo” chiaramente inneggiando ai colori giallorossi ed a Francesco Totti per il quale i tempi non erano ancora maturi.

Ma ecco che si avvicinano due uomini, di cui uno un pò sovrappeso avvolto in un alone di luce con una fiamma che gli ardeva in testa… “Salve Pietro, sono Siddharta Gautama, il Buddha, il risvegliato e colui che mi sta accanto è il saggio Confucio”.

” Con…chi? O’ vedo che sei sveglio, ma siete anche battezzati?”

I due restano un attimo interdetti non comprendendo di cosa stesse parlando, per cui cercano di spiegargli le filosofie del Tao e dell’ottuplice sentiero ma Pietro, che a sua volta non capisce, non vuole sentire ragioni e li liquida: “Io l’ottuplice sentiero o’ vedo quanno me spacco de vino…tacci tao… Annate a provà ar Purgatorio che là se entra a coppia… ma pensa te… che gente”.

Ecco quindi arrivare tutta una schiera di persone in abiti talari che, con passo spavaldo, stanno per entrare salutando Pietro ed ignorando il blocco. Il primo scavalca la sbarra e fa “Ciao Collega, come va?”

“Ahò ahòòòòòòò… Collega? Ma chi te conosce….. ndo nnate? Chi siete?”

“Ma come chi siamo? Siamo i Papi del passato e siamo i rappresentanti sulla terra del Capo Supremo”.

“Tu aspetta qua e voi nun ve movete!” Pietro resta un attimo interdetto quindi si reca nel gabbiotto e chiama Dio chiedendo lumi su cosa fare alla luce di quello che gli era stato detto. Dopo un pò riattacca il ricevitore e si rivolge a quel folto gruppo: “Er principale ha detto che nun ha mai nominato nessun rappresentante perchè ce mancherebbe che deleghi a qualcuno il da farsi sulla terra coi casini che state a fà, quindi aria! Sciò…smammare!”

Alla fine del turno Pietro raggiunge Dio nelle sale del paradiso sconsolatamente vuote, senza nemmeno un’anima che fosse una, mette su il solito DVD “Il paradiso può attendere” e gli fa:

“Capo, sò millenni che arrivano ai cancelli miliardi di anime e non facciamo entrà nessuno, nun sarà er caso de cambià un pò le regole?”

Ho ragione io…

Forse sono moltissime le persone che hanno una visione idealizzata di come il mondo dovrebbe essere. Questo dovrebbe andare così… tu dovresti essere…sarebbe meglio che…

Stiamo solo manifestando come le cose dovrebbero adattarsi al nostro modo di vedere perchè siamo convinti che il mondo giri meglio se si adattasse a come noi lo vogliamo o come ci aspettiamo che vada. Se non gira come diciamo noi, “nel modo giusto”, allora va tutto a rotoli.

Quante volte sentiamo dire che il mondo dovrebbe andare così o colì, e per quanto possa essere un’idea meravigliosa, bisognerebbe comprendere che, affinchè il mondo sia così o colì, gli idealisti dovrebbero “imporre” le loro credenze agli altri a costo di sottomettere tutti quelli che si rifiutano di uniformarsi alla loro immagine “perfetta” del mondo stesso.

Pensiamo, insomma, che l’unico modo per rendere migliore una persona e migliorare, di conseguenza, il mondo, sia convincere gli altri a vedere le cose a modo nostro.

Ma il mondo e le persone non si comportano mai come vorremmo e sprechiamo un mare di energie nel tentativo di convincerle a diventare qualcosa che non sono e non possono essere, invece di lasciarle libere.

L’attaccamento ad alcune credenze spesso diventa più importante del messaggio, sino a corrompere il rispetto e la libertà degli altri. E senza questi presupposti, anche se gli ideali sono giusti, la pace non sarà mai possibile.

Costringere qualcuno al cambiamento non cambierà mai nulla. Sulla terra vivono sette miliardi di persone e quindi ci sono sette miliardi di punti di vista diversi. Se ognuno pensasse che solo il proprio è quello giusto, avremmo sette miliardi di scontri.

Libertà di scelta non significa voler affermare la propria ragione a tutti i costi, ma apertura e rispetto. Voler bene a qualcuno significa anche e soprattutto rispettare le sue scelte senza porre condizioni, anche se pensiamo che siano sbagliate.

Se qualcuno non condivide le nostre idee non prendiamola come un fatto personale scendendo sullo scontro, ma impariamo ad ascoltare senza replicare. Ognuno deve pretendere ed offrire rispetto per le idee.

Quando parlo con mia madre, ad esempio, mi rendo conto che lei ha una impenetrabile fede nelle sue convinzioni religiose e che non esiste altra via oltre a quella che lei ritiene giusta, e se provo a parlarle di altri modelli mistici che potrebbero essere altrettanto apprezzabili ed orientati al bene non vuole sentir ragioni. La via è solo una, ed quella che lei ha scelto.

In fondo ha ragione, è la sua via, chi sono io per cercare di farle cambiare idea?

Il discorso potrebbe essere trasportato su tutti i piani della nostra esistenza, la politica, la religione, il tifo sportivo, la musica, l’arte e così all’infinito.

Se arriviamo a difendere con veemenza la nostra posizione o la nostra causa senza ascoltare il punto di vista altrui e senza dare potere alle loro parole, allora l’attaccamento prende il posto della consapevolezza.

In fondo la verità esiste indipendentemente dal fatto che ci crediamo o no, mentre una credenza esiste soltanto fin quando ci si crede. E molto spesso si tende a confondere la ricerca della verità con il tentativo di avere ragione…