Month: settembre 2014

Facile…difficile

Spesso si tende ad affermare nella vita che le grandi soddisfazioni, le quali danno il più alto senso di benessere alle persone, vengono dalla difficoltà delle azioni che si compiono. Più un’opera è difficile, maggiore è la soddisfazione che ne deriva.

Davvero è sempre così? Il discorso regge allorquando si tratta di creazioni materiali o competizioni sportive. Concludere una maratona è più difficile che correre per 5 o 10 chilometri; scrivere un libro è senza dubbio più impegnativo che scrivere un articoletto di giornale, e la soddisfazione che ne deriva cresce di conseguenza.

Ma se spostiamo il discorso su noi stessi e sui comportamenti che ci potrebbero portare enormi benefici, malgrado all’apparenza sia la cosa più facile del mondo, dipendendo dalla volontà, tutto invece si complica, e non poco. Pensiamo alle cattive abitudini di cui siamo consapevoli che faremmo bene a limitare o sopprimere, del tipo fumare, bere o mangiare troppo; pensiamo alla possibilità di perdonare quelli che ci hanno fatto soffrire a causa di gesti o parole che non ci sono piaciute; pensiamo al voler bene a noi stessi sempre e comunque invece che maledirci ogni volta che commettiamo un errore; pensiamo alla possibilità di essere ottimisti sul futuro invece di vedere il male in tutti ed in tutto.

E si badi che non è una questione puramente caratteriale che cambia da persona a persona, ma una costante autodistruttiva del nostro essere di cui non riusciamo a liberarci malgrado siamo consapevoli che una maggiore forza di volontà potrebbe eliminare tutti quei difetti che ci rendono la vita un inferno. Lao Tze diceva giustamente: “Chi conquista il prossimo è potente, chi domina se stesso è invincibile”.

Per la maggior parte di noi le cattive abitudini, radicatesi nell’intera società, sono quasi diventate dei rassicuranti gesti quotidiani e non bastano le infinite motivazioni che dovrebbero indurci a cambiare strada per ottenere gli enormi, conseguenti benefici. Invece di scegliere liberamente il percorso che ci porterebbe ad una vita più sana e più felice, insistiamo follemente su una via che siamo consapevoli essere quella sbagliata, ma non riusciamo a fare altrimenti. Come mai?

La risposta che mi sono dato è che ci manca una sufficiente consapevolezza, quella convinzione interiore e profonda che si armonizza con il nostro io più autentico.La consapevolezza non è come la conoscenza, non si può inculcare come un dato o una nozione qualsiasi, ma rappresenta quella “luce” che eleva la persona al di sopra dell’ignoranza e della massificazione. Consapevolezza è osservare senza giudicare, accettare che altri commettano errori come i nostri e perdonarli se ne siamo la vittima, seguire la nostra anima e non la nostra mente razionale. Abbiamo tutti gli elementi per poterlo fare e cambiare la nostra vita, allora perché non iniziare da subito?

“Oggi è il primo giorno del tempo che ci resta…un giorno buono per incominciare”

Serendipità

Mi sono imbattuto più volte in questo neologismo che non ha riscontri nella nostra lingua, infatti, altro non è che l’italianizzazione della parola anglosassone “serendipity”, il cui significato è quello di fare felici scoperte per puro caso, oppure trovare una determinata cosa mentre se ne stava cercando un’altra.

L’etimologia di questa strana parola deriva da “Serendip”, il nome che nell’antichità veniva dato allo Sri Lanka e che si trova appunto in una fiaba persiana, “I tre principi di Serendippo”, che narra dei tre figli di un re che intraprendono un viaggio, incontrando sul loro cammino una serie di indizi che li salvano da molte occasioni difficili. Prescindendo dall’etimologia della parola, trattasi di una di quelle esperienze con cui si ha a che fare più volte di quanto non si pensi.

Applicando il concetto ai grandi eventi potremmo, per esempio, dire che il più famoso dei “serendipitai” della storia sia stato Cristoforo Colombo, il quale, partito alla volta delle Indie con le sue caravelle, si trovò a sbarcare in un continente sconosciuto che avrebbe legato il suo nome alla futura storia del genere umano. Inoltre, la serendipità è all’ordine del giorno nel campo della ricerca scientifica, laddove è risaputo che le scoperte più importanti vengono fatte mentre si stava cercando altro. Basti pensare a Fleming che scoprì la penicillina disinfettando una provetta.

A molti il concetto potrà sembrare assimilabile a quello di caso o mera fortuna, ma il valore aggiunto della serendipità sta proprio nel fatto che il caso fortunato è legato a sagacia, intuito e coraggio, proprio come nella citata fiaba dei tre principi. In questo caso la fortuna non piove dal cielo mentre si sta fermi ad oziare ma ci assiste a condizione che noi si sia in grado di poterla afferrare, perché, come diceva Pasteur, “il caso favorisce solo la mente preparata”. Potremmo definirla “l’arte di trarre profitto”, da cui la capacità, non da tutti, di vedere la grandezza ed il disegno divino anche nelle piccole cose, affrontando la quotidianità con uno stato d’animo privo di paura ed insicurezza per tutto ciò che ci è nuovo.

Cerchiamo quindi, nella vita, di essere sempre più curiosi e meno frettolosi, giudicando tutti gli eventi, belli o brutti che siano, con lungimiranza ed attenzione invece che con risposte di ansia immediata. E’ vero che la fortuna premia gli audaci, ma è anche vero che l’esperienza ci insegna che quasi tutte le cose che desideriamo, le troviamo proprio quando smettiamo di cercarle. Più accanimento ci mettiamo e più sembrano sfuggirci.

L’aspettativa, accompagnata dall’ansia ci fa ottenere esattamente l’effetto opposto. Buona serendipità a tutti.

Tris d’assi

Girovagando su blog e siti vari della rete ci si imbatte spesso in varie “classifiche” di personaggi noti e meno noti, intellettuali e gente comune che esprime personali gradimenti in merito alle cose più disparate, dalle auto ai sentimenti, dagli sportivi ai difetti umani.

La cosa si fa soggettivamente interessante quando vengono analizzati argomenti che ci interessano. In tal caso è stimolante mettere a confronto le opinioni che ci conducono, spesso, ad incontrare personalità davvero molto affini alla nostra.

Nel caso di specie parliamo di libri. Ognuno di noi, nella vita, almeno alle scuole dell’obbligo, ha letto un libro. Approcciarsi ad una lettura è sempre qualcosa di particolare che coinvolge il nostro stato d’animo. Si può leggere per interesse, per ingannare il tempo, per distrarsi, per approfondire un argomento che ci sta a cuore, per andare a caccia di emozioni e sentimenti, per lavoro, insomma ognuno sfoglia le pagine di un libro per un motivo, ma in ogni caso un libro non delude mai. Entusiasmo, risveglio, noia, indignazione, amore, un libro lascia sempre una traccia nella vita di chi lo legge, un ricordo che può essere ripreso ed utilizzato in qualsiasi momento della nostra esperienza, tutto il contrario di quello che fa la televisione, con la qualità attuale delle sue programmazioni.

Un libro riesce, in maniera quasi magica, ad assumere una vita propria del tutto indipendente dal suo autore, di cui spesso non si ricorda neanche il nome, facendoci dimenticare che le sensazioni che ci provoca sono frutto di una mente come la nostra che ha avuto l’ardire (ed il tempo) di mettere nero su bianco il frutto di un’idea.

Ed ecco che, quando si vanno a stilare classifiche dei libri migliori che si sono letti, in base alle esperienze soggettive, si trova un panorama variegato di personalità, di pensieri e di idee oltre che di spunti per ampliare la propria esperienza di lettura. Dimmi cosa leggi e ti dirò chi sei.

Voglio farlo anche io, mettendo in cima alla mia lista 3 libri la cui lettura non impegna neanche tanto, visto che sono di poche pagine, nulla a che vedere, quindi con quei tomi la cui vista preoccuperebbe anche un lettore incallito.

Due di essi sono libri che si potrebbero definire “per ragazzi”, due favole allegoriche che hanno come protagonisti, rispettivamente, un gabbiano ed un bambino.

Il primo è “Il gabbiano Jonathan Livingston” di Richard Bach che racconta di un gabbiano emarginato dal suo gruppo perchè voleva inseguire il suo sogno.

Il secondo è “Il piccolo principe” di Antoine de Saint-Exupéry che narra del poetico incontro tra un bambino ed un pilota di aerei che è costretto ad un atterraggio di fortuna nel deserto.

Non posso non sottolineare, tra i primi due libri che ho menzionato, una incredibile coincidenza…entrambi gli autori (Bach e Saint-Exupéry) sono aviatori, persone abituate a volare…sarà davvero una coincidenza?

Il terzo è anch’esso una favola: “L’alchimista” di Paulo Coelho che parla della storia fantastica di un giovane pastore, Santiago, alla ricerca del suo cammino interiore.

Molti li avranno letti, magari non saranno nemmeno piaciuti, ma, come per le persone, il rapporto con i libri è una faccenda del tutto soggettiva…ma se non lo avete fatto, vale la pena provare.

Il valore del tempo

l tempo…un’entità indefinita, un concetto di importanza vitale nella vita di oggi ma altrettanto indefinibile se gli si vuole dare una valenza precisa…personalmente credo che riserviamo, a ciò che vale davvero, solo gli avanzi della vita. Siamo sempre indaffarati, di corsa, ansiosi. Chi si ferma è perduto…è questo il motto della società di oggi. Niente di più sbagliato. L’uomo corre e si dimentica di vivere, come se fosse destinato a vivere per sempre.

All’uomo di oggi piace essere invischiato in mille occupazioni, impegni, appuntamenti, scadenze di lavoro…piace non avere tempo. Oggi, chi ha tempo è un fallito. Allora ammetto di essere un fallito in base alla comune concezione, ma Io non credo che sia così. Il perdente è quello che è vittima del suo tempo. In questo periodo mi sono fatto il più grande regalo che potessi farmi: mi sono fermato. Ho lasciato il mio allucinante lavoro, fatto di scadenze, pressioni, responsabilità della libertà degli altri.

Automaticamente ho trovato il tempo per fare quello che più mi piace e mi sento rinato, libero dai vincoli che non sono più disposto ad accettare. Se trovi il coraggio di cambiare ti si apre un mondo…il tuo mondo. La vita non è breve, siamo noi che ci affanniamo a renderla tale, sprecando quel dono prezioso che è il tempo che ci è stato dato. Lo diceva anche Seneca nel suo meraviglioso “De brevitate vitae”. Con ciò non voglio affermare che bisogna tralasciare i propri doveri in onore di una presunta libertà, ma soltanto vivere la vita con una consapevolezza diversa.

Inevitabilmente, appena hai la possibilità di aprire le porte al tempo, la tua vera essenza vola, libera di andare dove vuole, portandoti su quella che forse è la tua vera strada; devi soltanto seguirla e potrebbe farti scoprire realtà che non immaginavi. All’inizio mi sono sentito un po’ in colpa, al pensiero di quello che gli altri avrebbero pensato di me e delle mie scelte, ma questo è l’altro grande errore che commettiamo…lasciarci influenzare dai giudizi, dalle convenzioni, da una realtà preconfezionata che non ci appartiene.

Ma questo sarà oggetto di un prossimo argomento…

Destino o libero arbitrio?

Credo che sia una domanda che tutti noi ci siamo posti almeno una volta nella vita ed è indubbio che la risposta sarebbe risolutiva sul nostro modo di affrontare l’esistenza che stiamo vivendo su questa terra. Quanto di quello che ci accade viene deciso da noi e quanto, invece, è frutto di casualità o di un destino prestabilito? Immaginate che importanza avrebbe conoscerne la risposta. In fondo tutti noi viviamo la nostra quotidianità come se puntassimo sull’esistenza del solo libero arbitrio, profondamente convinti di essere sempre noi a scegliere, in ogni momento, quello che ci va di fare in base a gusti, volontà e preferenze, con le dovute eccezioni, naturalmente, dettate dalle più radicate convenzioni sociali e dalla legge.

E se, invece, fosse proprio vero il contrario? Se questo “giro di vita” fosse preordinato proprio per farci vivere quelle esperienze, belle o brutte, che portano la nostra anima verso quel percorso di maturazione a cui tutti saremmo destinati in base alle convinzioni di molte ideologie mistiche orientali? Se fosse tutto frutto di quel “grande disegno” che a tutti sfugge ma che potrebbe senza dubbio essere possibile?

Personalmente non credo che quest’ultima ipotesi sia del tutto da scartare, anzi la ritengo la più plausibile. In questo caso dovremmo davvero rivedere il nostro stile di vita. A questo punto dannarsi l’anima e rovinarsi la vita per raggiungere dei propositi che ci siamo prefissati potrebbe risultare del tutto inutile. Incazzature, stress, delusioni, progetti naufragati…potrebbe tutto far parte di un destino che noi non conosciamo ma che ci appartiene inesorabilmente e contro cui non possiamo andare. Osho diceva: “Ciò che dovrà accadere accadrà. E tu hai una sola scelta: andarci insieme o andarci contro”.

Andarci insieme significa accettare, razionalizzare e capire che il destino sceglie spesso strade tortuose per condurci alla meta, che non sono quasi mai quelle che noi abbiamo scelto. A questo proposito c’è una storia zen molto significativa: “C’era una volta un contadino cinese il cui cavallo era scappato. Tutti i vicini quella sera stessa si recarono da lui per esprimergli il loro dispiacere: “siamo così addolorati di sentire che il tuo cavallo è fuggito. E’ una cosa terribile”. Il contadino rispose: “Forse.” Il giorno successivo il cavallo tornò portandosi dietro sette cavalli selvaggi, e quella sera tutti i vicini tornarono e dissero: “Ma che fortuna! Guarda come sono cambiate le cose. Ora hai otto cavalli!” Il contadino disse: “Forse.” Il giorno dopo suo figlio cercò di domare uno di quei cavalli per cavalcarlo, ma venne disarcionato e si ruppe una gamba, al che tutti esclamarono:“Oh, poveraccio. Questa e’ una vera disdetta” ma ancora una volta il contadino commentò: “Forse.” Il giorno seguente il consiglio di leva si presentò per arruolare gli uomini nell’esercito, e il figlio venne lasciato a casa per via della gamba rotta. Ancora una volta i vicini si fecero intorno per commentare: ”Non è fantastico?” ma di nuovo il contadino disse: “Forse.”

Noi tutti facciamo delle libere scelte (libero arbitrio), o almeno pensiamo di farle, ma è anche vero che ci accadono spesso cose che non scegliamo (destino). Ciò potrebbe essere dovuto al nostro karma, quel bagaglio pesante ed invisibile che tutti ci portiamo dietro come risultato di tutte le esperienze della nostra anima immortale. La chiave di tutto, quindi, sta nella consapevolezza, per cui, in tutto ciò che ci accade, bisogna essere consapevoli e semplicemente accettare imparando la lezione. Ma non in modo passivo affermando “è il mio karma e non posso farci niente”, ma scegliere come reagire, usando quell’evento come stimolo per migliorare noi stessi esteriormente ed interiormente. Un karma negativo può essere mitigato dalla nostra consapevolezza o dalle nostre buone azioni, o semplicemente dalla nostra consapevolezza.

Neale Donald Walsh, nel suo libro “Conversazioni con Dio”, afferma che l’anima sceglie tavolozza, colori e tela, indirizzando la vita in diversi modi, ma siamo noi, alla fine che dipingiamo il quadro. Destino e libero arbitrio possono quindi coesistere in questi termini. Possiamo fare alcune scelte ma solo con il materiale che ci è stato dato a disposizione. Se siamo nati alti 1,60 non possiamo lamentarci di non poter diventare delle stelle del basket. Peraltro, l’indirizzo e gli apprendimenti della nostra esistenza, ci si ripresenteranno tante volte quante ne serviranno per capirli ed accoglierli, dapprima in modo dolce, successivamente, poi, se ci ostiniamo ad ignorarli, in modo sempre più severo attraverso attriti e sofferenza. Sta a noi avere l’intelligenza di comprendere i segni distintivi del cammino ed accettarli per quello che sono.

Scrolliamoci di dosso quella visione limitata che continua a caratterizzare ed avvelenare le nostre esistenze, ed impariamo a guardare oltre l’orizzonte. Quando vedete un’isola viene da dire: “Ecco un’isola!”, ma vi sbagliate. Togliete l’acqua, e vedrete che l’isola è collegata alla terraferma.

L’era del geco

L’ammirazione e la simpatia per questo animaletto le ho riscoperte di recente. Al contrario di lucertole ed altri animali simili, il geco non mi ha mai provocato sensazioni di repulsione o paura quando lo vedevo arrampicarsi agilmente sui muri dei posti di campagna in cui mi sono trovato, anzi mi incantava osservarlo compiere quegli strani scatti in traiettorie che solo lui poteva inventare, restando il più delle volte immobile quasi a ricambiare il mio sguardo.

Credo di non essere il solo ad essermi figurato una scena come questa, dato che un grande filosofo/scrittore contemporaneo come Jostein Gaarder (i suoi libri sono meravigliosi…), nel suo libro “Maya” racconta, in un lungo capitolo, un divertente dialogo tra il protagonista ed un geco che, nella sua stanza, si era piazzato sulla sua bottiglia di gin rischiando di farla cadere.

Il geco ha sempre avuto una forte carica simbolica, è un piccolo rettile, una specie di coccodrillo bonsai, che preferisce climi caldi, del tutto innocuo per l’uomo, che sta a significare, per molte popolazioni, il valore dell’adattabilità, rigenerazione, forza e capacità di sopravvivenza, tutti valori necessari all’uomo per poter sopravvivere ed andare avanti anche quando sulla strada si frappongono ostacoli all’apparenza invalicabili.

Sapersi adattare ad ogni situazione, ed andare sempre avanti senza mai arrendersi, è l’insegnamento che ci deriva da quasto piccolo rettile tenace e tranquillo. Alcuni attribuiscono al geco poteri soprannaturali, guardandolo con un senso di timore e riverenza. Alla pari delle tartarughe, infatti, vengono visti come animali che fanno da tramite tra il mondo dei vivi e quello dei defunti, silenziose sentinelle del passato.

E’ anche simbolo di salute e protezione dei sognatori, oltre che di amicizia, forse a causa delle sue incredibili ventose che gli permettono di attecchire su qualunque superficie, al punto che la conformazione delle sue zampe è oggetto di studio anche da parte degli scienziati della NASA. Inoltre il geco si nutre di moscerini e zanzare, insetti a noi fastidiosi, simboleggiando la liberazione da tutto ciò che non ci piace. Ha inoltre una specie di voce, un suono che ricorda il suoi nome…ge-ko…ge-ko.

Insomma il geco ha infinite connotazioni positive e per me ha anche significati particolari, quindi ho deciso di prenderlo come ispirazione ed augurio per una nuova vita…

Chi sa non parla. Chi parla non sa

Nel Tao Te Ching, il vangelo del Taoismo, opera del grande maestro Lao-Tze, vi è un concentrato di saggezza che ad una lettura superficiale potrebbe apparire un insieme di parole prive di significato. Ma una attenta riflessione, insieme ad una predisposizione ad avere un’anima illuminata, possono scoprire segreti assoluti della nostra vera esistenza, che vanno ben al di la della vita che “subiamo” tutti i giorni. Quest’ultima è solo la superficie del mare su cui navighiamo, e può essere calma o in tempesta, ma sotto, per chi non ha paura di immergersi, si trova il silenzio. Se penso al termine “mare”, quindi, cosa intendo? ciò che vedo? La sua superficie, le sue onde, il fatto che sia calmo, mosso o burrascoso? Oppure vado oltre, ad un concetto molto più vasto che comprende tutto quanto, sia ciò che appare e che posso vedere con i miei sensi, sia a quello che la superficie nasconde e che è la vera essenza del mare stesso con tutti i suoi misteri celati? Quanti di noi hanno voglia di mettere la testa sotto ed esplorare quegli abissi? Credo pochi perché la paura di avventurarsi in un elemento misterioso dove ci mancherebbe l’aria che respiriamo non alletta il genere umano. Siamo abituati alla quotidianità, alle nostre rassicuranti, piccole abitudini, creandoci una gabbia, a volte dorata, altre volte infernale, da cui abbiamo paura di mettere il naso fuori per il timore che possa accaderci qualcosa di imprevisto. Ma così facendo, nel corso dei secoli ci siamo addormentati, abbiamo perso del tutto la capacità di percepire i segnali più profondi. Ci accontentiamo di un microcosmo isolato da difendere ad ogni costo, bello o brutto che sia, e questo fa incredibilmente comodo a chi muove le fila della nostra società ai livelli più alti. Mi sono sempre chiesto, fin da quando ero ragazzo: “ma la vita della gente, compresa la mia, che senso ha su questo pianeta?” Ci sono persone che nascono, crescono e muoiono facendo tutti i giorni le stesse cose: alzarsi al mattino per andare a lavorare, pranzare, lavorare ancora ed alla sera, stanchi, cena a casa, TV oppure serata con gli amici prima di andare a dormire. E il giorno dopo si ricomincia… Nel weekend ci si riposa e ad agosto due settimane di vacanza magari da 20 anni nello stesso posto. Giorni tutti uguali, alcuni belli, altri meno che mi riportano alla mente una frase alquanto cinica del grande Ennio Flaiano, il quale diceva che “i giorni indimenticabili nella vita di un uomo sono cinque o sei al massimo. Tutto il resto fa volume”. Ma se ci riflettete bene, avere sotto controllo una società piatta ed uniformata che sgobba per acquistare quello che il sistema propina come status symbol per essere qualcuno, tipo macchine, cellulari all’avanguardia o altre stronzate griffate è un vero gioco da ragazzi, una mandria addormentata che non si pone alcuna domanda a condizione che ogni tanto gli si lucidi e pulisca la gabbia. Per fortuna, però, credo che qualcosa stia cambiando. Il sistema è entrato in crisi e ci sono sempre più persone che stanno aprendo gli occhi, chiedendosi se la vita non sia in effetti qualcosa di più rispetto a quella che intendiamo oggi. Stiamo procedendo verso una nuova era spirituale?