ironia

Storia di Peppe e Fritz, fratelli d’Europa

Gennaro Caccavella era il più simpatico e prestante bagnino della spiaggia di Cesenatico ai tempi del dopoguerra. Dal momento che era alto, moro e con gli occhi verdi, raccontava a tutti che era nato a Bolzano, nascondendosi a tal fine dietro il nomignolo di “Genny il bello”, con cui era solito farsi chiamare. Solo la completa visione della segretissima carta d’identità del nostro Genny avrebbe tradito le sue inequivocabili origini meridionali.
In un assolato pomeriggio settembrino, il nostro italico bagnino stava facendo l’ennesimo giro di perlustrazione della spiaggia romagnola, più per dare una interessata occhiata ai centimetri di pelle esposti dalle turiste tedesche che per verificare che nessuno fosse in pericolo di vita a causa del mare, visto che per morire nell’acqua di quel tratto di riviera doveva venirti un infarto piuttosto che essere travolto dagli inesistenti flutti di acqua salmastra non più alti di dieci centimetri che non avrebbero fatto paura neanche ad un gatto.
Sotto l’ultimo ombrellone a spicchi bianchi e blu del territorio di sua competenza, Genny notò due giovani ed avvenenti bionde che parlavano tra di loro distese sulle sdraio con una birra in una mano mentre con l’altra si schermavano gli occhi a protezione del sole che aveva iniziato la sua discesa verso l’orizzonte.
L’italico stallone fece scattare la reazione automatica tipica di quella situazione che consisteva nel “petto in fuori e pancia in dentro” con lieve contrazione dei muscoli addominali e si avvicinò con passo felpato alle due bellezze, pronto ad attaccare discorso attingendo al suo repertorio di rimorchio balneare e forte della sua posizione di autorità spiaggistica, sancita dalla bianca scritta “bagnino” su entrambi i lati della sua canottiera rossa.
“Buongiorno gentili signore, spero che vi stiate godendo una bella vacanza qui al nostro lido “bella Italia”. Se avete bisogno di qualsiasi cosa, io sono qui a vostra completa disposizione. Mi chiamo Genny, siete arrivate da poco? Non vi ho mai viste qui da noi.”
“Scusare noi” disse quella delle due che piaceva di più al nostro bagnino, “noi no italiane, venire da cermania e parlare poco vostra lingua, no capito”.
Genny, nel corso della sua esperienza sui litorali di quelle zone, aveva avuto spesso a che fare con i turisti tedeschi (sarebbe meglio dire “turiste tedesche”) ed aveva imparato quindi ad intavolare il minimo sindacale della conversazione che gli garantiva, il più delle volte, una conoscenza più “approfondita” delle sue interlocutrici. Con i suoi modi gentili e garbati che lo rendevano affascinante, si accovacciò sulle proprie gambe e scambiò un pò di chiacchiere con Erika e Brigitte (questi i loro nomi) che parvero gradire la sua compagnia, specialmente Brigitte che era stata la prima delle due a rispondergli. Dopo una decina di minuti, consapevole che stare lì a parlare non era conveniente né per il suo lavoro, né per le sue gambe che iniziavano ad intorpidirsi, né tantomeno per la rodata tecnica rimorchiatoria che consigliava un tempo il più possibile limitato durante il primo approccio per non apparire fin da subito troppo invadente, si congedò dalle due teutoniche bellezze non prima di essersi assicurato che sarebbero ritornate su quella stessa spiaggia anche il giorno successivo.
Da quel primo, fortuito approccio in un angolo di un mondo che stava cercando a fatica di dimenticare gli orrori di una guerra ancora troppo vicina nei ricordi di tutti, nacque una grande passione ed un grande amore tra il nostro italico Genny e la bionda tedesca Brigitte. Si era verificato un riallineamento di due figli appartenenti a due Paesi martoriati dalla scelleratezza dei loro folli governanti che avevano scoperto, qualora ce ne fosse stato il bisogno, che l’amore non conosce confini di nessun genere e che non si ferma davanti a nessuna delle barriere materiali o linguistiche frutto degli artifici del genere umano.
Italia e Germania si stavano risollevando insieme, così come i loro figli Genny e Brigitte stavano iniziando a costruire qualcosa insieme che, si sperava allora, sarebbe durato a lungo.
Dalla loro unione, inizialmente ricca di entusiasmo e di felicità, nacquero anche due gemelli belli ed intelligenti. Giuseppe, detto Peppe, tutto suo padre, e Fritz, più vicino come carattere e caratteristiche fisiche a mamma Brigitte.
Ma si sa che molto spesso l’amore di coppia è soltanto un inganno della natura inscenato per garantire la continuità della specie e Genny e sua moglie non sfuggirono a questa dura legge. Se poi ci si aggiunge anche una differenza di fondo dovuta a cultura ed ambiente di provenienza differenti, allora ecco che il piatto del fallimento matrimoniale è servito, cotto a puntino.
Con grande civiltà e con un senso di amicizia che si erano ripromessi di mantenere costante al posto del loro antico amore, decisero, di comune accordo, di proseguire il resto delle loro vite ognuno per la sua strada alla ricerca di nuovi stimoli quando i loro due figli erano ormai adulti e pronti ad affrontare tutti gli imprevisti che il mondo avrebbe messo loro di fronte.
Genny aveva lavorato duramente per offrire un solido futuro alla sua famiglia e, nel periodo di amore ed armonia che era durato abbastanza a lungo, era stato pienamente supportato dalla sua Brigitte che aveva saputo infondergli la tenacia e l’organizzazione germanica complementare all’estro ed alle idee, spesso geniali, del nostro italico Gennaro.
Fu così che l’azienda di servizi da loro fondata su innovative ed organizzate trovate commerciali, frutto del loro complementare ed efficace lavoro di squadra, si sviluppò a tal punto da arricchire in maniera considerevole la famiglia Caccavella. I rapporti con i clienti e le idee per lo sviluppo erano tutti made in Gennaro, mentre la contabilità ed i rapporti con fornitori e tutto ciò che riguardava i numeri e l’organizzazione dei dipendenti erano sotto la supervisione impeccabile di Brigitte. Tutto filò liscio per anni, con l’azienda che funzionava come un orologio, facendo lievitare il patrimonio e la soddisfazione di tutta la famiglia sfruttando i rispettivi punti di forza.
Ma quasi sempre il destino ha, per ogni essere umano, dei progetti completamente diversi dai desideri immaginati o espressi. Genny e Brigitte, allorquando il tempo logorò come una goccia d’acqua sulla roccia la loro unione, presero, di comune accordo, la decisione di separare le loro vite, per cui misero al corrente i loro due figli che quella sarebbe stata la decisione migliore per tutti e chiesero se entrambi avessero la voglia e l’intenzione di portare avanti l’azienda di famiglia.
Peppe e Fritz, che da ragazzini erano sempre andati molto d’accordo quando c’era da divertirsi e giocare, furono però concordi nel declinare la proposta dei loro genitori in quanto avevano altri progetti e desideri per il loro futuro personale e professionale. I loro genitori, quindi, divisero equamente l’intero patrimonio familiare tra i ragazzi e mantennero per ognuno di loro quanto bastava per vivere il resto della loro vita in modo libero e dignitoso.
Peppe era, tra i due, il più estroso, impulsivo, ai limiti dell’irrazionalità, e se c’era qualcosa di nuovo da sperimentare, lui era sempre in prima fila. Non molto accorto nell’uso del denaro, amava mettersi in mostra per i suoi bei vestiti o qualunque cosa fosse all’ultima moda. Dotato di una fervida fantasia, era sempre lui che trovava la soluzione a problemi all’apparenza irrisolvibili. Le donne e gli amici erano i suoi passatempi preferiti.
Fritz, in quanto ad intelligenza, non era certo inferiore a suo fratello gemello, ma emanava una diversità caratteriale profonda quasi quanto i caratteri somatici che contraddistinguevano i due. Alto, biondo e con gli occhi chiari come sua mamma, Fritz era un concentrato di razionalità. Grande analizzatore, sempre molto riflessivo quando c’era da prendere qualunque decisone, coltivava in maniera quasi maniacale il suo miglioramento personale badando agli altri solo in modo marginale, sia sotto il punto di vista fisico che quello intellettuale, andando in palestra quasi ogni giorno e leggendo avidamente i grandi autori letterari e filosofi della storia tedesca.
Quando ricevevano la paghetta o, in generale, regali in denaro per il compleanno o per Natale, Peppe quasi sempre dilapidava tutto nei locali o in feste con gli innumerevoli amici e nuove ragazze offrendo da bere a tutti oppure acquistando sneakers all’ultima moda o in genere capi di abbigliamento griffati. Fritz, al contrario, risparmiava tutto quello che poteva e si curava poco delle apparenze modaiole del momento. Preferiva “investire” i suoi guadagni giovanili in libri e palestra, il resto lo metteva da parte.
Era normale, quindi, che Peppe fosse sempre ricercato da tutti, mentre Fritz veniva guardato con più diffidenza e sospetto.
Non era infrequente che Peppe, a causa della sua indole spendacciona, rimanesse a secco di denaro per cui, se ne aveva bisogno per i suoi divertimenti e spese voluttuarie, lo chiedeva in prestito a suo fratello con la solenne promessa che glieli avrebbe presto restituiti. Qualche volta succedeva, ma il più delle volte i soldi non tornavano indietro.
Allorquando giunse il momento della separazione dei loro genitori, il rifiuto comune della prosecuzione dell’attività commerciale di famiglia, determinò di conseguenza anche la separazione delle strade dei due gemelli. Come i loro genitori, anche Peppe e Fritz decisero di andare ognuno per la sua strada.
Genny e Brigitte fecero in modo che il cospicuo patrimonio di famiglia venisse equamente suddiviso tra i gemelli, i quali avrebbero così potuto disporne a loro piacimento per il loro futuro personale e professionale.
Una ulteriore parte del patrimonio della famiglia Caccavella fu utilizzata nella creazione di un fondo patrimoniale intestato ad entrambi, una sorta di “salvagente” per casi di emergenza estrema che avrebbe funzionato da ammortizzatore patrimoniale nel caso in cui uno di loro, o entrambi, si fossero trovati, un domani, in cattive acque.
Il posato Fritz, dopo aver sposato una ragazza di Francoforte, si trasferì in quella stessa città, destinò gran parte dei suoi averi in oculati investimenti e, una volta conseguita la laurea in economia, ed un paio di master in gestione patrimoniale, ebbe, da solo, capacità e conoscenze per veder crescere il suo potere economico di anno in anno.
Il più frivolo Peppe, invece, rimase un single incallito, senza molta stabilità sentimentale e di idee, e preferì investire gran parte dei suoi averi in un ristorante di lusso ed uno stabilimento balneare per VIP su quella stessa riviera sulla quale la storia della sua famiglia aveva avuto inizio.
I due fratelli rimasero comunque in buoni rapporti negli anni che seguirono e certe volte, rispolverando l’antico vizio, Peppe, ogni tanto chiedeva aiuti economici a Fritz in quei casi in cui gli occorreva un pò di liquidità immediata, non volendo attingere al “Fondo salvafratelli” che restava vincolato ai casi di effettiva ed improrogabile emergenza. “Il tedesco”, questo era il nomignolo che Peppe aveva dato al fratello gemello, quasi mai negava il favore richiesto, non mancando però di fargli benevolmente la solita paternale sul suo stile di vita, invitandolo sempre a “mettere la testa (e le finanze) a posto”.
Durante un inverno che sembrava uno come tanti, il mondo intero fu colpito da una terribile pandemia che fece un gran numero di vittime tra la popolazione e colpì in maniera pesantissima l’economia internazionale, dando il colpo di grazia a certi settori produttivi, primi fra tutti, quelli della ristorazione e del turismo.
Facile immaginare quale, tra i nostri due fratelli, fu quello che subì le conseguenze più devastanti di questa inaspettata e tragica situazione.
Ristorante e stabilimento balneare fallirono e Peppe, già fortemente indebitato a causa dello stile di vita che aveva sempre tenuto, ben superiore alle sue effettive possibilità, fu costretto a svenderli per un prezzo di gran lunga inferiore al loro valore effettivo. I suoi folli progetti ed il desiderio sfrenato di una bella vita, lo avevano spinto ad accordi poco leciti anche con la malavita, a cui accettava di riciclare, con le sue attività commerciali, il denaro sporco, in cambio di visibilità e clientela VIP. Quella stessa malavita, nella condizione difficile del blocco forzato di mesi del Paese, non si lasciò sfuggire l’occasione di rilevare i terreni, gli edifici e le licenze che erano appartenute a Peppe in cambio della cancellazione di una parte dei suoi debiti.
Chissà perchè, il buon Peppe non si meravigliò neanche più di tanto quando venne a conoscenza che l’operazione appena descritta fu organizzata e gestita, per conto del crimine organizzato, da uno dei suoi più cari amici d’infanzia.
Il gemello “italiano” si ritrovò quindi in mezzo alla strada, senza un centesimo ed ancora fortemente indebitato con persone con cui non era molto salutare essere in debito.
L’unica alternativa per sopravvivere era quella di accedere al fino ad allora inutilizzato “fondo salvafratelli”, ma, per potere operare su quel fondo, aveva bisogno del necessario benestare di suo fratello Fritz.
Ancora una volta contattò il suo gemello “tedesco”, ed in una videochat dai toni drammatici gli disse che aveva bisogno non solo della sua parte della riserva disposta dai genitori a garanzia di entrambi, ma anche di un cospicuo prestito personale a fondo perduto o, in alternativa, che Fritz gli concedesse l’intero importo del fondo in questione per far fronte alla sua drammatica situazione economica.
Il suo gemello di Francoforte, con la flemma che lo aveva sempre contraddistinto, ascoltò impassibile le sfuriate di Peppe, che alternava ferventi implorazioni a neanche tanto velate minacce, rammentandogli continuamente che erano sempre una famiglia e che solo restando uniti avrebbero fatto felici i loro ormai vecchi genitori.
Fritz pensava che, pur essendo davvero figli degli stessi genitori biologici, per di più gemelli, non potevano esistere al mondo due persone più diverse tra loro non solo per l’aspetto fisico, ma anche e soprattutto per carattere, abitudini e temperamento. Questa volta decise di restare inflessibile e, pur acconsentendo allo scioglimento e conseguente divisione del denaro presente sul Fondo “salva fratelli”, non cedette di un millimetro e rifiutò ogni altra richiesta economica di suo fratello che avrebbe forse, solo in quell’occasione, imparato sulla sua pelle cosa significava essere accorto e previdente sotto il punto di vista patrimoniale, etico e morale.
Cinismo avveduto contro incosciente superficialità. Nasce come una storia di altri tempi ma potrebbe benissimo essere una storia dei nostri giorni…

Le “interviste impossibili”: Dialogo con l’orologio

“Gli uomini bianchi hanno gli orologi ma non hanno il tempo” (proverbio africano)

Eccoci arrivati al terzo appuntamento con le nostre “interviste impossibili”. Oggi abbiamo come gradito ospite un oggetto che si contende con il letto, già intervistato in precedenza, il primato di essere presente in tutte le case del pianeta ma anche, come egli stesso ama dire, “non solo mi trovate in tutte le case del mondo, ma in pochi di voi escono di casa senza che io li accompagni. Tutti escono con l’orologio, nessuno esce con il letto”.

D: “La prima cosa che mi viene da chiederle è quella di svelarci che cosa è il tempo, perchè credo che nessuno al mondo lo conosca meglio di lei”
R: “Questa è una domanda molto difficile persino per uno come me. Potrei dire che il tempo è un’idea, una percezione intima e personale che cambia da persona a persona, così come vi sono infiniti modelli di orologi, altrettanto infiniti sono i concetti di tempo. Non credo esista un’idea più diversa eppure uguale del tempo.
In effetti sembrerebbe uguale per tutti, sembra correre alla stessa maniera e non risparmiare nessuno. Ma chi ha bisogno di sapere che ore sono deve portare il tempo con sè e, di conseguenza, possedere un orologio. Ma anche noi orologi non segniamo mai la stessa ora, ognuno ha la sua ora diversa, quindi ha la sua stima personale del tempo ed in questo vi assomigliamo, di conseguenza c’è chi è già nel futuro e chi invece è rimasto un pò nel passato. Ognuno crede che il “suo tempo” sia quello giusto, quello a cui rifarsi per tutto ciò che ha da fare e fa dipendere la propria vita da quei ritmi. Ed infatti in un attimo si nasce ed in un attimo si può morire.
Il tempo è come il mercurio: se lo spargi, tende a ricompattarsi di nuovo, ritrovando la sua integrità.
L’uomo ha creduto di domare e possedere il tempo, rinchiudendolo nei suoi orologi. Qualcuno ha detto che conosciamo bene il valore di un orologio, ma non conosciamo affatto il valore del tempo che esso misura.
Se liberi il tempo scoprirai che scorre in maniera diversa a seconda delle persone. Per alcuni è lento e viscoso come pece, per altri fugge via ed è il metro con cui misurano la vita che passa. Ammazzare il tempo è un pò come suicidarsi quindi.
Le più grandi menti della storia, dagli antichi filosofi greci ai più moderni scienziati fino ad Einstein, hanno cercato di definirlo, di dargli una definizione, di imbrigliarlo in un concetto di fissità che fosse valido nel… tempo. Ma come si fa a fermare il concetto di tempo? Se non puoi fermare lui, come puoi fermare ciò che esso è? Noi possiamo fermarci, ma lui no.
Sant’Agostino diceva, a chi gli chiedeva cos’era il tempo, che se nessuno glielo domandava lo sapeva, ma nel momento in cui gli ponevano la domanda non lo sapeva più.
Il tempo ci rende socialmente accettabili se siamo puntuali, e riprovevoli se siamo ritardatari, il tempo è croce e delizia degli innamorati e cambia a seconda della sedia su cui sei seduto, se su una sdraio in spiaggia oppure sulla poltrona del dentista.
Il tempo passa? No, lui resta. Sono gli uomini che passano senza aver capito nulla del tempo.”

D: “Secondo lei, che valore viene dato al tempo che lei misura?”
R: “Personalmente credo che riserviamo, a ciò che vale davvero, solo gli avanzi della vita. Siamo sempre indaffarati, di corsa, ansiosi. Chi si ferma è perduto…è questo il motto della società di oggi. Niente di più sbagliato. L’uomo corre e si dimentica di vivere, come se fosse destinato a vivere per sempre.
All’uomo di oggi piace essere invischiato in mille occupazioni, impegni, appuntamenti, scadenze di lavoro…piace non avere tempo. Oggi, chi ha tempo viene considerato un fallito, ma io non credo che sia così. Il perdente è quello che è vittima del suo tempo.
La vita non è breve, siamo noi che ci affanniamo a renderla tale, sprecando quel dono prezioso che è il tempo che ci è stato assegnato. Lo diceva anche Seneca nel suo meraviglioso “De brevitate vitae”. Con ciò non voglio affermare che bisogna tralasciare i propri doveri per una presunta libertà, ma soltanto vivere la vita con una consapevolezza diversa.
Inevitabilmente, appena si ha la possibilità di aprire le porte al tempo, la vera essenza vola, libera di andare dove vuole, portandovi su quella che forse è la vostra vera strada; bisogna soltanto seguirla e potrebbe farvi scoprire realtà inimmaginabili.”

D: “Nella società di oggi lei è diventato uno status symbol, può costare cifre esorbitanti e vanta collezionisti quasi pari a quelli delle opere d’arte. Come ci si sente ad essere così importanti?”
R: “Quello che dice è assolutamente vero, i miei antenati mai avrebbero immaginato la carriera che abbiamo fatto. C’è da dire che solo una parte di noi ha raggiunto lo stato di cui abbiamo parlato e mi riferisco agli orologi da polso. La nostra progenitrice, nonna meridiana, sarebbe orgogliosa dei suoi piccoli nipotini. Siamo diventati gli influencer di questo secolo. Oggi le persone, specialmente nelle grandi città di affari, prima ti guardano l’orologio e poi il viso. Non so se è un traguardo dell’umanità oppure il contrario, ma è comunque vero che se vuoi farti un’idea abbastanza azzeccata di chi hai di fronte per la prima volta, dovresti guardare il suo orologio e le sue scarpe, con questo metodo non sbagli quasi mai.”

D: “Una domanda provocatoria: come mai ci sono così tanti tipi di orologi per misurare qualcosa che invece è unico?”
R: “Come ho già detto nella prima risposta, il tempo non è unico. La fisica ha dimostrato che esso cambia a seconda dell’altezza in cui ci troviamo e della velocità a cui andiamo. Mi fa sorridere il pensiero che, se potessimo viaggiare alla velocità della luce, il tempo si fermerebbe. Noi orologi, in questo caso limite, saremmo inutili e disoccupati. Ma sulla terra voi uomini fate caso ai secondi ed addirittura alle frazioni di secondo ed ai millesimi. I vostri “cronometri” dimostrano quanto siete pignoli e sono loro che decidono, per esempio, a chi assegnare una medaglia d’oro olimpica che può essere il traguardo di una vita. Ma i cronometri ed i vostri record hanno vita breve, noi aspiriamo a misurare l’eternità ma neanche noi, per quanto possiamo essere sofisticati, riusciamo raggiungere quel risultato.”

Le “interviste impossibili”: dialogo con il gatto

“Se i gatti potessero parlare, non lo farebbero” (Nan Porter)

Eccoci qui con la seconda puntata delle nostre “interviste impossibili”. Questa volta abbiamo come gradito ospite sua maestà il gatto, un essere misterioso ed affascinante che ci tiene a non essere paragonato al suo collega cane e che abita le case di molti di noi umani.

D: ”Che effetto le fa vivere in compagnia degli esseri umani?”
R: “Iniziamo subito con una domanda difficile, eh? Guardi, l’interazione con gli umani è molto diversa da parte nostra come da parte loro. Mi spiego, quando un umano decide di condividere la propria dimora con un rappresentate del regno animale, parte dal presupposto errato che tutti gli animali siano uguali e, per il solo fatto che danno loro un tetto e un pò da mangiare, si aspettano in cambio amore incondizionato e soprattutto obbedienza alle loro stupide regole. Non andare qui, non fare questo, dammi la zampa, salutami, vieni qui quando ti chiamo e cose del genere. Noi gatti abbiamo una certa etica da difendere ed è ben diversa da quella degli umani. Mi chiedo perchè loro sono fatti così e quindi disposti a dare affetto solo alle persone che fanno quello che loro desiderano. E’ un principio che in natura è illusorio e del tutto sbagliato.
Non capisco poi perchè la maggior parte degli umani si lamenti del fatto che noi gatti, secondo loro, pensiamo soltanto a mangiare e dormire quasi tutto il giorno. In primo luogo, in questo tipo di affermazioni vi leggo una certa invidia nei nostri confronti, perchè quasi tutti loro vorrebbero fare le stesse cose ma gli risulta impossibile. Non esiste un solo umano che non abbia mai detto in vita sua “Il mio sogno sarebbe quello di starmene disteso in un bel posto a mangiare, dormire e non fare nulla tutto il giorno”. A noi viene naturale, loro non riescono a farlo nemmeno quando sono in vacanza e potrebbero, quindi temo che sia un loro problema di coerenza mentale.
In secondo luogo gli umani non hanno ancora capito che il nostro ruolo nelle loro vite non è tanto quello di “animale di compagnia”, a quello ci pensa il collega cane, noi siamo un pò i guardiani della loro anima e gli siamo vicini solo quando ne hanno davvero bisogno perchè noi percepiamo e vediamo cose che loro non possono percepire nè vedere. Siamo come muti insegnanti che comunicano con svariati suoni e intonazioni o sguardi di rimprovero, ma devo ammettere che i nostri allievi umani non sono molto intuitivi e, se potessi, li boccerei quasi tutti. Si credono la razza dominante del pianeta…ma è davvero così? (strizzata d’occhio)


D: “Non posso non chiederle quali sono i rapporti con l’altro animale con cui condividete la compagnia degli umani, il cane.”
R: “Malgrado le dicerie infamanti sul nostro rapporto, che le leggende vorrebbero conflittuale, devo dire che le nostre relazioni sono ottime e gli umani con la frase “come cane e gatto” dovrebbero indicare due persone che vanno d’accordo e non due persone in conflitto tra di loro, ma, come ho detto prima, gli umani sono poco perspicaci.
I rapporti sono buoni essenzialmente per il fatto che non siamo affatto in concorrenza ed operiamo in settori diversi, come ho accennato prima. Dai cani ci si aspetta che facciano la guardia, che accompagnino l’uomo a caccia, oppure che si specializzino nel salvataggio in acqua o guidino gli umani che hanno avuto la sventura di perdere la vista. Sono queste, essenzialmente le quattro categorie in cui operano i cani. Avete mai visto un gatto da guardia o uno da caccia? Oppure un gatto che guida un cieco? Certo potremmo farlo benissimo, visto che ci vediamo perfettamente anche di notte ma non fa per noi. Se penso a tuffarmi in acqua poi…non mi ci faccia pensare che mi sento già male.
Anche coi cani, però, gli umani hanno un pò stravolto i programmi e quindi, tengono i cani, che sono nati per i compiti attivi di cui ho parlato, fermi in appartamento come animali da compagnia e pretendono da loro cose che essi non sono nati per fare. Una volta ho avuto modo di scambiare quattro chiacchiere con un levriero che si lamentava del fatto che il suo “padrone” lo tenesse chiuso in 100 metri quadrati di casa e lo portasse solo sotto casa per qualche metro solo per fargli fare i bisogni. Era molto depresso. Ma si può essere più stupidi? Sarebbe come far correre Usain Bolt attorno al tavolo della cucina.
Per fortuna, a noi gatti tutto questo non viene richiesto, e forse per questo motivo gli umani non hanno ben capito che ruolo abbiamo. Noi, a differenza dei colleghi cani, manteniamo sempre il nostro carattere, per cui non troverà mai due gatti uguali, lo stesso non si può dire per il cane. Posso solo anticipare che noi abbiamo anche poteri diciamo così…particolari, ma non posso dire di più altrimenti violerei il segreto professionale.
Per riassumere le differenze tra noi ed i cani potrei dire che il cane vi insegna ad amare, noi vi insegniamo a vivere.


D: “Molti di voi sono di colore nero e si dice che in quel caso portiate sfortuna, che ha da dire?”
R: “Una simile affermazione è così stupida che non meriterebbe risposta alcuna, ma qualcosa in proposito mi sento di dirla. Come ho già accennato sopra, ci accusano di fannulloneria, di opportunismo, di indifferenza e adesso anche di portare sfortuna.
Forse molti ignorano che l’intera storia umana è costellata di favole, leggende e simboli che ci riguardano. Gli egizi, che poi tanto fessi non erano, ne hanno fatta una divinità di nome Bastet, guarda caso di colore nero. A quei tempi chiunque causasse la morte di uno di noi veniva punito con la pena capitale. E quando sempre uno di noi moriva di morte naturale, in casa ci si rasava le sopracciglia in segno di lutto e pensi che ci dedicarono un’intera città, chiamata Bubaste dove venivamo imbalsamati e seppelliti con grandi onori…eh già bei tempi, ma non vorrei sembrare troppo nostalgico.
Vede, quella diceria stupida sui gatti neri è il frutto della malsana influenza di quella che voi chiamate Chiesa. Ci hanno perseguitati per anni e messi sul rogo perchè credevano che fossimo creature del diavolo…ma si può essere più imbecilli? Intanto posso anticiparvi che il diavolo non esiste, noi lo sappiamo bene, e poi dopo che ci hanno perseguitati e sterminati si vestono loro di nero…mah!


D: “Se dovesse eleggere la sua dote principale, quale sarebbe?”
R: “Senza dubbio la curiosità, siamo terribilmente curiosi e forse l’unico detto umano che potrebbe avvicinarsi ad una verità sul nostro conto è quello che recita “la curiosità uccise il gatto”. Ma, del resto, come si fa a non essere curiosi in questo mondo? La curiosità tiene vivo chiunque e, per quanto ci riguarda, voi umani siete così buffi che è impossibile non essere curiosi per osservare quello che combinate…

Le “interviste impossibili”: dialogo con il letto

“Il letto è il luogo più pericoloso del mondo; vi muore l’ottanta per cento della gente” (Mark Twain)

Buonasera a tutti, cari lettori, oggi inauguriamo una serie che credo risulterà molto interessante: intervisteremo alcuni oggetti, animali o piante con cui abbiamo a che fare tutti i giorni e che non immagineremmo mai che possano parlare.
A dire il vero se provate a farlo e scoprite che in effetti vi parlano, allora mettete giù subito la bottiglia di vodka e smettetela con gli stupefacenti. In realtà non parlano, ma se avete abbastanza fantasia e perspicacia vi renderete conto che hanno cose da dire che non avreste mai potuto immaginare.
Oggi inizieremo da sua maestà il letto.

D: “Come ci si sente ad essere così famoso?”
R: “Sono un tipo semplice ed in effetti non mi sarei mai aspettato di essere probabilmente l’unico oggetto presente in tutte le case del pianeta. Nessun altro mio “collega” può vantare questo primato, a parte la mia collega tazza del gabinetto, ma io sono un tipo che presta molta attenzione alla pulizia, mentre lei non si può dire che faccia altrettanto. Di solito siamo sempre ben distanti…ma non vorrei sembrare troppo snob…certo i neonati non hanno ancora ben capito la differenza ma, quando crescono, col tempo, mi apprezzano molto”
D: “Dicono di lei che è il “confidente” di tutti, è vero?”
R: “Certamente! Io posso affermare tranquillamente che conosco i segreti inconfessabili di tutte le persone che su di me si distendono. Chi parla nel sonno, chi confessa qualcosa in punto di morte e che non ha mai detto a nessuno, chi sussurra parole d’amore vere o false (me ne accorgo il giorno dopo) o grida sconcezze irripetibili, io vengo a conoscenza di tutto ma non chiedetemi altro perchè ho una reputazione da difendere e sono molto riservato”.
D: “Le piace questa sua condizione?”
R: “Devo confessare che spesso mi trovo in difficoltà. La mia etica di signor letto mi imporrebbe di mettere in guardia tutti gli ospiti che passano per le mie lenzuola sugli inganni che il proprietario spesso mette in scena per portare ospiti sul mio palcoscenico, ma sono costretto a tacere per un accordo tacito che ho con lui/lei perchè i nostri abbracci notturni mi portano ad affezionarmi a chi mi accoglie in casa ed io non sono un traditore.”
D: “Può raccontarci qualche aneddoto simpatico che le è capitato?”
R: “Me ne sono successi tanti, ma quelli più comuni riguardano certi gesti che sono caratteristici a seconda di quando il mio proprietario è solo oppure in compagnia. Guardi, quando sono con me, come nella vita di tutti i giorni, le persone hanno atteggiamenti diversi. Se siamo da soli, il mio proprietario/a non esita ad essere se stesso, si compiace di fare rumori col sedere e seppellirsi sotto le lenzuola ad annusare la propria opera e questo mi fa molto ridere, ma mi fanno parimenti ridere gli sforzi che fa quando è in compagnia, dissimulando inesistenti attacchi di tosse per coprire il rumore…per i disturbi olfattivi certi geni sono soliti agitare dal verso loro le coperte manifestando improvvisi attacchi di caldo che si rivelano inesistenti e questo mi diverte molto.”
D: “Le sue tipologie, o meglio diverse personalità che anche lei vanta, differenziano le esperienze che si trova a vivere?”
R: “Certamente. Quando sono singolo di solito percepisco tristezza e solitudine, il mio proprietario vorrebbe allargarsi ed è particolare come l’ambizione ad essere più grande delle persone è legata a me. Da singolo vorrei dare di più, così come le persone che accolgo vorrebbero di più. Preti e ragazzini hanno ambizioni di crescita. Per i secondi ci penserà la vita, per i primi non va bene che poi vadano a cercare quei ragazzini che hanno la loro stessa dimensione di letto. Poi c’è quella diabolica invenzione umana dei letti a castello, una specie di metafora della vita umana, politica e non. Chi è sopra ha una posizione privilegiata ma corre sempre il rischio di cadere e farsi male; chi è sotto si sente oppresso e tende a guardare chi è sopra di lui. So bene che è un’esigenza di spazio per sistemare due materassi dove ce ne andrebbe uno solo ma sono convinto che gli esseri umani non amino molto dormire e camminare a troppa distanza dal suolo, ho imparato che queso li inquieta un pò.
D: “Quali sono le principali doti o virtù di cui lei va fiero?”
R: “Non credo di aver bisogno di farmi pubblicità, quindi rispondo volentieri. In primo luogo ritengo di essere l’oggetto più democratico che esista, ogni bandiera di stato democratico dovrebbe inserirmi nella sua effige al posto di stelle, scudi, croci, lune e soli. Tutta roba triste come le croci o inarrivabile come stelle, luna e sole. Io sono molto più concreto, inoltre accolgo su di me chiunque. Quando si distendono sul mio socio materasso sono tutti uguali, indistintamente, e più o meno fanno tutti le stesse cose. Un povero, come anche il Papa, vanno a letto tutte le sere senza alcuna differenza. Poi li ho visti tutti nudi o almeno in mutande, anche il Papa o il presidente USA.
Poi direi che sono versatile. Le mie forme e dimensioni diverse mi consentono di adattarmi ad ogni angolo della casa; ad una o più piazze, un posto per me si trova sempre.
Inoltre sono anche molto paziente. Non ha idea di certi “pesi” che sono costretto a sopportare. Sono vecchio quanto il mondo ed in quei casi le mie vecchie molle cigolano doloranti. Ma la stessa cosa succede quando saltano i bambini grassocci oppure quando qualche amante che si sente un pornoattore cerca di compiacere la sua partner dando botte da martello pneumatico credendo che quello sia il modo per far godere una donna. Questa verità l’ho imparata dalle donne quando poi, magari sullo stesso letto dormono con qualche amica…se gli uomini sapessero quanto li prendono per il culo, gli passerebbe la voglia di fare i patetici playboy…
D: “Per concludere, qual’è il messaggio che il letto vuole lanciare al mondo intero?”
R: “Siate leggeri, in tutti i sensi, farete molta meno fatica a vivere e farò molta meno fatica io nel sopportarvi. Su di me liberate sereni i vostri pensieri, perchè bisogna essere distesi per vedere o soltanto immaginare il cielo.”

Annunciazione…

Scrivo questo post solo per comunicare che, nella vita, oltre alle cose serie che ho fin qui scritto (bè non proprio tutte serie), ho iniziato a scriverne di così cazzare che ho deciso di aprire un blog tutto nuovo ad esse dedicato.

Dal momento che l’oggetto riguarda una rivisitazione in chiave molto umoristica delle terzine dantesche della Divina Commedia, ho ribattezzato il nuovo blog “Dante Alighioggi”.

E’ in fase di sviluppo ma mi sto divertendo molto a scrivere…

Per chi avesse qualche minuto da perdere lo trovate qui: Dante Alighioggi

Facebook people

Se ci fate caso, ognuno, sul social per antonomasia, ha un suo stile, come è normale che sia del resto, allo stesso modo come lo si ha nel vestire, nel parlare e nelle abitudini e gusti della vita di ogni giorno.
L’approccio ai profili altrui si può suddividere in due categorie: quelli che abitualmente, come passatempo preferito, si fanno i cazzi degli altri (quasi la totalità) e quelli invece che vanno oltre l’apparenza del postato per cercare di capire meglio il carattere e la personalità di chi frequenta, virtualmente o nella vita di tutti i giorni.
E’ chiaro che la prima categoria di persone si fermerà a discutere sull’abito indossato da “quella”, mettendo un bel “like” e commentando “stai benissimo tesoro” mentre in realtà pensa (e magari scrive a qualcun altro) “ma non si vergogna? con quei leggins sembra una mortadella, ndo cazzo va?”. E così via sui giudizi di case (“mamma mia che cafonata quel divano!”), fidanzate/i (“ma con che cesso si è messa/o?”), viaggi (“figurati…la crociera l’avrà vinta coi punti dell’Esselunga”), e chi più ne ha più ne metta.
La seconda categoria, quella dei veri “studiosi” social, va invece oltre la mera apparenza dei post presi singolarmente e si concentra su una visione di insieme, guardando da un’ottica più elevata che può fornire una incredibile mole di informazioni sul carattere e la personalità di chi posta. Chissenefrega se ha la camicia macchiata nella foto profilo o il divano a fiori viola e verdi a casa.
Le persone postano le foto che ritengono migliori e scrivono ogni genialata che gli viene in mente, credendo di mostrare il loro lato migliore senza accorgersi che nel complesso, caratterialmente, si mettono più a nudo di una pornostar al lavoro. E se inizi a ragionare così, chiudi il profilo e ti rifugi sulla luna. Per la fortuna di Facebook non lo fa nessuno…
Passando ad una categorizzazione molto generale dei tipi social, ecco che spiccano su tutte, alcune categorie:
1) L’INDIGNATO
Questa comunissima specie facebookiana si suddivide a sua volta in due sottocategorie:
– l’indignato sociopolitico: è quello che se la prende puntualmente con il governo di turno, coi politici di tutto il mondo, coi migranti, con i cacciatori, con la moda, con fantomatici terroristi, con le scie chimiche, con le meduse, con i terratondisti, con i preti pedofili, insomma con tutto quello che non va come dice lui, postando, a fondamento delle sue invettive, sondaggi, citazioni e filmati che certe volte sono bufale così evidenti che farebbero sorridere anche un bambino, ma lui non se ne accorge nemmeno, e posta senza ritegno aggiungendo commenti incazzati del tipo “basta! Questa situazione deve finire…ognuno a casa sua! Bastardi! Ladri! Il presidente tizio vada a schiacciare i ricci col culo, il governatore caio deve andare in esilio a Tripoli, ci stanno manovrando gli alieni, mio fratello è figlio unico, ecc, ecc”. E la cosa peggiore è quella che si trascina dietro una mandria di commentatori che lo appoggiano pure.
– L’indignato sportivo: qui si creano di solito due grandi blocchi: gli juventini e gli antijuventini. E giù fotoframe di VAR, commenti tecnici degni del peggior Bergomi fumato, rosicate di qua, godo di la, CR7 contro H2O, abbiamo preso Abedì Pobà dal Castrocaro terme, il Pippita è ingrassato come un bue ma la mette dentro e la moglie di quello ha le tette più grosse della fidanzata di quell’altro. E così si va avanti all’infinito perchè nessuno cambia idea (come se queste prese di posizione sul nulla cosmico si potessero chiamare idee) e l’unico risultato è quello di una devastazione cerebrale che non conosce confini nè colori.
2) L’AFORISMICO
Anche questa è tra le categorie più comuni su FB, laddove si cerca di far passare per prodotti del proprio pensiero frasi dette magari secoli fa da menti illustri che, per questa ragione, si rivoltano nella tomba. Alcuni onesti temerari hanno il coraggio di aggiungere le tre lettere magiche “cit” perchè sanno che non è farina del loro sacco ma neanche sanno chi cazzo è che l’ha detta, perchè magari Stendhal gli sembra il nome del centravanti della Norvegia.
3) IL/LA SELFISTA
Altra categoria inflazionata sui social (in generale tra i più giovani) e quindi anche su FB è quella di chi si ostina a pubblicare compulsivamente autoscatti fatti con o senza bastone. Al contrario della tipologia del “fotografo” in missione, che ammorba la sua pagina con tonnellate di giga di eventi tra i più disparati quali compleanni della nonna o vacanze a Sharm di cui non frega un cazzo a nessuno, il selfista gira con il cellulare sempre in mano ed ogni tanto lo vedi che inizia ad avere tremori alla mano, sbatte un pò le palpebre, mette la bocca a culo di gallina, atteggia uno sguardo da triglia lessa e parte con una raffica di scatti che nemmeno Rambo col mitra e decine di bandoliere di proiettili riusciva ad eguagliare. La location non conta nulla, quando parte l’embolo il selfista deve scattare. Il numero minimo di scatti è sul centinaio, poi deve guardarli tutti attentamente per decidere quale postare, che è sempre quello che lui/lei ritiene il migliore e non è affatto detto che lo sia davvero.
Lo sguardo selfoso nelle foto che appestano FB è sempre uguale e puoi essere anche Brad Pitt o Charlize Teron, ma l’aria da ebete si nota lontano un miglio.
4) LA ROMANTICA
Categoria comunissima nella popolazione femminile di FB, stracolma di vittime di guerre d’amore che sembra di essere al cimitero Monumentale, dove è possibile leggere epitaffi graffianti nei confronti dell’infame passato e dichiarazioni ottimistiche sull’imminente futuro. A chi è “andato via” si dedicano velate maledizioni degne del peggior Darth Vader di guerre stellari ma, in una contraddizione parossistica, si tende una mano e si lascia comunque la porta aperta al prossimo malcapitato di turno perchè le condizioni poste sono peggio delle clausole di un contratto capestro: “deve amarmi, capirmi, seguirmi, far la penitenza, far la riverenza…” e lo scrivono pure! poi si lamentano che non riescono a trovare nessuno e postano foto nude su Tinder.
5) LO/A CHEF
Non importa se vai a mangiare da McDonald o da Cracco, il facebookkiano chef posta foto di quello che si magna persino se ha aperto una scatoletta di tonno a casa da solo. Con i filtri delle app e sagaci inquadrature, riesce miracolosamente a far apparire la miserabile scatoletta come un piatto gourmet preparato a Masterchef definendolo “stasera filetti di tonno pinne gialle su letto di rucola con contorno di fagioli cannellini e misticanza orientale”. Il socialchef posta foto dell’ingresso del ristorante anche se si tratta della pizzeria kebab “Er zozzone”, i più infidi rubano foto dal web e postano trionfi di astici ed aragoste facendo credere che stanno ingozzandosi di cibi raffinati quando invece sono al cinese sotto casa avvelenandosi con il menu “all you can eat” a 10 euro.
6) IL CALENDARIO UMANO
Facebook, si sa, nasce come social laico e quindi, almeno per coloro che sono stati onesti sulla data del compleanno, ricorda ai suoi iscritti di fare gli auguri a tizio o a caio “rendendo la sua giornata indimenticabile”. Ora, prescindendo dal fatto che questa cosa spinge chiunque a fare auguri anche se non ci si saluta per strada perchè avete accettato amicizie tanto per fare numero ma poi vi chiedete: “Ma questo/a chi cazzo è?”. Ricevere gli auguri da un semisconosciuto non mi rende certo la giornata indimenticabile, piuttosto non me ne frega un cazzo, anzi devo anche perdere tempo a rispondergli.
Ma ecco che il novello frate indovino iscritto a FB, ogni mattina posta su sfondo rosa shocking gli auguri di onomastico a chi si chiama come il santo del giorno. Che, fino a quando si parla di Franceschi o di Paoli si può anche perdonare, ma cosa cazzo fai gli auguri a “tutte le Ermengarde” o a “tutti gli Elpidi” di Facebook?
7) IL GIOCHERELLONE
E’ risaputo che Facebook sforna in continuazione una serie di giochini talmente demenziali che si fa fatica a pensare che qualcuno ci possa perdere anche un solo minuto della vita. Ed ecco che puoi “scoprire” chi eri nella vita precedente, che attore di Hollywood saresti, come sarà il tuo futuro, come ti chiamavi nell’antica Roma, che divinità dell’Olimpo sei stato, sino ad arrivare a che animale saresti…ecco su quest’ultimo test conosco già tutte le risposte, che poi è una sola: l’asino. Capisco che quasi nessuno prende sul serio queste cose ma davvero non avete di meglio da fare?
Per ora mi fermo qui ma l’elenco potrebbe continuare…stay tuned…

Storia di Gnigno e Gnagno

Gnigno fa l’operaio nella grande industria, “tiene” famiglia (moglie e due figli) e guadagna 1.200 euro al mese lavorando come un forsennato. Gnigno però fa parte delle centinaia di migliaia di persone in Italia affette da una strana malattia, riconosciuta e diagnosticata anche in ambito clinico: si chiama “ludopatia”. In pratica, il povero Gnigno non può fare a meno di scommettere su tutto, ormai il semplice risultato di un incontro di calcio non lo eccita più, cerca emozioni più forti e l’ultima scommessa piazzata è stata su quando il suo idolo calcistico si sarebbe grattato la prossima volta le palle in campo, se in casa o fuori casa, e sul colore del perizoma della sua fidanzata velina nell’ultima foto su Instagram. Ha giocato 50 euro e se azzecca l’accoppiata ne prende 1.250. Indovina la grattata di palle dell’idolo ma, siccome la fidanzata su Instagram non porta le mutande, “il gratta e vinci” dell’idolo non basta, la scommessa non viene pagata e Gnigno perde, come quasi sempre succede, i suoi sudati 50 euro. In preda a rabbia e sconforto e tirando bestemmioni irripetibili all’indirizzo della fidanzata dell’idolo, chiamata nel più gentile dei casi “sorcia smutandata” (il termine sorcia non è quello esatto ma potete ben immaginare come l’abbia definita Gnigno), tira un ceffone al figlio che piagnucola e piazza un calcio in culo (non così perfetto come quello della fidanzata dell’idolo) alla moglie che gli ha portato il caffè troppo freddo. Ed ecco che, laddove altri si sarebbero ingrifati come facoceri alla vista del rotondo culo della velina, lui gli bestemmia dietro.
Quindi esce sbattendo la porta e scende sotto casa nel bar tabaccheria dove, per smaltire l’incazzatura, fuma un pacchetto di Enfisem senza filtro, inizia a bere alcolici giocando ipnotizzato alle macchinette di videopoker “hot casinò pippòn” e “tette & culi a Las Vegas” che lo istupidiscono ancora di più, provocandogli svariate erezioni quando riesce a beccare tris e poker di tette e culi. Dopo un paio d’ore alienanti passate a premere un pulsante e dopo sette calici di tavernello realizza che ha perso altri 50 euro oltre al conto del bar.
Sale a casa, schiaffo di default al figlio e calcio in culo automatico alla moglie. Pensa che probabilmente in settimana si sarà bruciato tutto lo stipendio e si getta vestito a dormire sul letto che domani si lavora… Gnigno è considerato un lavoratore, buon padre di famiglia, è molto rispettato ed ha anche la tessera del partito dei lavoratori e lo stato se lo coccola, insieme a tanti altri come lui, gli ha dato anche l’attestato di gran lavoratore italiota però gli trattiene tutte le tasse sullo stipendio e gli strizza quello che può strizzare in aggiunta. Poi investe quel denaro incentivando il gioco d’azzardo, concedendo licenze a società che martellano Gnigno con pubblicità ovunque su quanto sia bello scommettere, quanto sia bello il gioco d’azzardo, perchè loro sono giocatori e ci tengono ai giocatori come loro, perchè con loro salti, esulti, vinci e vai ai caraibi in un baleno, sei circondato da strafighe in bikini e Gnigno, ormai completamente strafatto ci crede…se lo dice la TV deve essere così…è possibile…domani vincerò, me lo sento, gioco al lotto, enalotto, politic corrotto e gratta il biscotto e scopri se è cotto che farai il botto…
Povero Gnigno, lui neanche immagina che i giochi pubblici, gestiti dallo stato, sono vere e proprie truffe legalizzate, trappole dove il margine che l’amato stato trattiene non è mai al di sotto del 30%, spesso arriva al 60% e nel caso della cinquina al Lotto arriva al 90%…non a caso, infatti, il lotto veniva definito “tassa sull’ignoranza”. Non parliamo poi di bet strabet, bet a mammeta, bet a soreta, planet bet, bet sopra il let e sotto al tet, e via dicendo che non certo sono onlus che fanno beneficenza…

Gnagno è un giovane precario che ha fatto molti lavori, ne sta cercando ancora uno che gli consenta di arrivare a fine mese per pagare le spese, ha una fidanzata che ama e che ricambia il suo amore, non beve, non fuma, non gli interessa la politica, non vota, non segue il TG e non ha nemmeno la tv, non paga il canone, non guarda il calcio, legge libri di filosofia e spiritualità, ha lo stesso cellulare da 10 anni e la stessa vecchia auto da 20 e si rilassa facendo passeggiate nella natura con la sua fidanzata Gnagna. Il perfetto stereotipo, insomma, del ribelle sociale, del parassita da perseguitare, del dissociato disadattato che non riesce ad inserirsi nel gregge dell’apparato statale, un nemico della patria e della nazione.
Gnagno ha il pessimo difetto di pensare con la propria testa e non segue le mode e, sotto questo punto di vista, è più pericoloso del peggior terrorista.
Una bella domenica di primavera, Gnagno e Gnagna decidono di fare una gita al lago con la vecchia auto. Gnagna si sarebbe occupata dei panini e delle birrette mentre Gnagno avrebbe portato un libro di poesie di Baudelaire da leggere insieme ed un pò di erba da fumare per rendere ancor più piacevole la giornata.
Proprio mentre stavano per raggiungere la loro meta una pattuglia della stradale li ferma per un controllo di routine. Ecco che scoprono nel vano portaoggetti dell’auto una bustina con l’erba di Gnagno. Immediata la reazione dei rappresentanti dell’apparato statale di fronte a tale crimine tremendo. Sequestro, segnalazione all’autorità giudiziaria, processo, alcol test, droga test, pippa test e programma di recupero obbligatorio in centri specializzati per due giovinastri scapestrati chiare vittime della dipendenza da stupefacenti perchè è risaputo che la droga crea forte dipendenza, annebbia il cervello e ti spinge a commettere le peggiori nefandezze. Giustizia è fatta!
La gita ormai era rovinata ma Gnagno e Gnagna, consapevoli della situazione del paese in cui vivevano, non se la presero più di tanto, tornarono a casa e fecero l’amore fumandosi l’erba che era rimasta a casa per consolarsi.
Mentre erano a letto abbracciati, sentirono le solite urla dall’appartamento a fianco, quello del signor Gnigno che urlava all’indirizzo di qualcuno in televisione a tutto volume ed appellava con epiteti irripetibili la propria moglie mentre i figli piangevano…chissà perchè…è una così brava persona…

Missione extraterrestre

RZXY234 era un’unità esploratrice del lontano mondo di Mentalia. Situato nella galassia GD (goldendream), a 15 milioni di anni luce dalla Via Lattea, RZXY234, che per comodità terrestre chiameremo d’ora in poi Filù, vezzeggiativo usato dai suoi amici più cari, aveva individuato, nelle sue ricerche, in quella galassia lontana lontana un mondo curioso, i cui abitanti sembravano avere comportamenti davvero strani.
Filù, in quanto emerito capitano esploratore di Mentalia, aveva contatti con miliardi di mondi dell’infinita sfera dell’Universo, ma le caratteristiche di quel piccolo pianeta che i suoi abitanti chiamavano Terra lo avevano incuriosito a tal punto che aveva deciso di farci un salto per rendersi conto di come si strutturasse la vita laggiù.
Ottenuto il benestare dal consiglio dei saggi di Mentalia per il viaggio, Filù preparò la sua astronave a curvatura spaziotemporale che gli consentiva di viaggiare ad una velocità superiore mille volte a quella della luce e selezionò altri due membri del suo equipaggio, i suoi collaboratori più fidati e curiosi che lo avrebbero accompagnato in questa missione esplorativa dall’altra parte dell’Universo.
Si mise in contatto telepatico con Dipiù e Cucù con cui aveva sempre effettuato la gran parte dei suoi viaggi esplorativi e li convocò per il giorno dopo alle 20 ora di Mentalia allo spazioporto.
Approntarono provviste ed una buona scorta di “strizzù”, un liquore tipico del posto che faceva fare sogni felici e rendeva ottimista anche il più burbero dei mentaliani.
Sull’astronave aveva approntato mezzi di contatto con le rudimentali tecniche comunicative della Terra per studiare, durante il viaggio, le usanze ed il linguaggio degli strani terrestri.
Quindi, durante il viaggio, Filù, Dipiù e Cucù, fecero scorpacciata dei programmi televisivi terrestri. Scoprirono ben presto che se non si facevano una buona dose di strizzù, le trasmissioni terrestri erano una palla incredibile, tranne quelle in cui apparivano le indigene un po’ nude. Ben presto si accorsero, dall’alto della loro perspicacia mentaliana, che più un programma aveva tette e culi in vista, più era scarso di contenuti, come se i terrestri prediligessero il senso della vista a quello della comprensione mentale.
Durante la visione di uno di questi programmi, Cucù svenne. Gli altri due membri dell’equipaggio compresero che era accaduto mentre osservava una puntata di una comunicazione che si chiamava “Porta a porta”, condotta da un essere orripilante che sorrideva parlando di disgrazie di suoi simili. Il poverino non aveva retto alla cattiveria di quel mutante che si nutriva della tristezza e delle disgrazie altrui. Intervistava governanti che parlavano un linguaggio incomprensibile e pure sgrammaticato, pensando ai cazzi loro (i mentaliani leggono nella mente) e fantasticando sulle porcherie sessuali che avrebbero voluto fare sulla giovane e truccata psicologa di turno ospite della trasmissione.
Ad un certo punto si sintonizzarono su un breve programma che andava in onda ad ogni ora del giorno e della notte, che i terrestri chiamavano TG.
I mentaliani pensarono che fosse un acronimo per Terra Girevole, vista l’orbita del pianeta in questione e considerato il fatto che si spaziava su notizie che avvenivano ovunque sul pianeta. Ben presto si accorsero che era un qualcosa di molto più subdolo che loro definivano “generatore di paura”, un sottile mezzo per diffondere notizie tendenti a creare un clima appunto di paura ed insicurezza per dominare le deboli menti dei terrestri che, udendo di un attentato avvenuto a migliaia di chilometri di distanza, senza sapere da chi e come, decidevano di non uscire la sera a farsi una pizza sotto casa per paura che il pizzaiolo egiziano gli mettesse una bomba nei pomodori o un veleno nella mozzarella.
I mentaliani continuavano a cambiare frequenza, trovando trasmissioni di uno sport che i terrestri chiamavano calcio in cui 22 giovani in mutande rincorrevano un pallone mentre sugli spalti si accoltellavano e si odiavano profondamente. Poi quiz demenziali dove anche il cane di Filù avrebbe vinto un sacco di soldi terrestri, concorsi di canzoni imbecilli, programmi in cui ingabbiavano qualche decina di coglioni e li spiavano, programmi in cui facevano sfilare giovani femmine terrestri e le numeravano come al mercato delle vacche e tanta altra roba simile.
Avevano appena curvato verso Alfa Centauri (quindi erano quasi arrivati) quando Filù, tracannando l’ultimo sorso di strizzù, disse ai suoi compagni di viaggio: “Oh ragazzi, ma che cazzo ci andiamo a fare su questo pianeta? Qui sono tutti scemi, non c’è nulla da salvare”.
Dipiù e Cucù convennero con il loro comandante e, gettando un occhio fugace sul culo di tale Belèn, che era apparsa come ospite a porta a porta, si riempirono di nuovo il bicchiere di strizzù ed invertirono la rotta…

Storia di Stivalia

Nel Paese di Stivalia, un paradiso circondato dal mare, era sempre vissuto, fin dalla più remota antichità, un popolo che aveva capacità abbastanza superiori alla media mondiale. Agli inizi della storia aveva governato il mondo intero, aveva costruito opere maestose, creato opere d’arte invidiate da tutti, aveva fatto scoperte scientifiche frutto di ingegno e fantasia senza pari e tutti i regni della terra avevano cercato di accaparrarsi quelle menti geniali provenienti dalla magica terra di Stivalia. C’era una certa libertà di pensiero e le idee fiorivano libere ovunque; chiunque avesse avuto un’ideologia da promuovere, allora Stivalia era la sua casa. Così ci furono geni che fecero progredire il Paese ma anche loschi figuri che attecchirono anch’essi come la gramigna facendo da contrappeso alle idee di libertà.
Il guaio di un Paese troppo libero è che ci puoi trovare di tutto, dalle rose alle ortiche, alle piante velenose.
In questo clima arrivò un’orda di gentaglia che si era messa in testa di governare il mondo delle anime terrene… se arrivava anche del godimento materiale, bè sarebbe stato ancora meglio, chissenefrega di sti imbecilli del popolo, e quindi Stivalia vide proliferare la casta dei “vestaglioni portasfiga” una congerie di Papi, antipapi, vescovi e santi, e parroci pedofili e busoni che pretendevano di dettare “legge al gregge” (slogan molto in voga tra i vestaglioni) e dire cosa era giusto e cosa era sbagliato, tutto naturalmente a modo loro. Se si seguivano le regole, ci sarebbe stato il night club “paradise”, con figa eterea, pavimento nuvolato e passeggiate nei prati celesti dalla mattina alla sera senza fare un cazzo sotto il sole perché la notte non scendeva mai… essaichepalle… se si cagava fuori dalle regole si andava all’inferno… salvo non spiegare bene cosa fosse l’uno e cosa fosse l’altro perché nessuno c’era mai stato e probabilmente non gliene fregava un cazzo neanche a loro.
Iniziarono le leggi, i comandamenti… non trombare, non rubare, non desiderare, non farti le pippe, non leggere se non quello che ti diciamo noi, non peccare di gola, vai qui, vai lì, lavora come una bestia, onora questo, onora quello, prega sei ore al giorno, insomma dalla libertà assoluta dei vecchi tempi si era arrivati a non poter fare più un cazzo che ci piacesse.
Furono secoli bui, se non obbedivi non aspettavano che morissi per andare all’inferno ma ti ci mandavano loro da vivo, magari accendendo un bel falò e gettandoti sopra tanto per abituarti alle fiamme eterne fin da subito. Erano tutte creature del demonio…. poi abbiamo scoperto che il demonio è stato assolto da quelle accuse infondate perché lui non si sarebbe mai abbassato a tanto… ha una certa dignità che a quella gentaglia manca.
Ma le menti libere di Stivalia tennero duro ed un paio di secoli fa sfancularono i vestaglioni e li relegarono in un piccolo territorio da cui però continuano a scassare i maroni ancora oggi, anche se molto di meno perché non se li caga quasi più nessuno.
Ma il danno ormai era fatto, la grandezza di Stivalia era compromessa. Tutti quei secoli di oscurantismo avevano danneggiato la mente delle persone, avevano tolto brillantezza, libertà ed estro e reso tutti un po’ pecoroni.
Approfittando della desolazione cerebrale, una nuova casta Stivalica non si fece sfuggire l’occasione di sostituire il potere dei vestaglioni portasfiga, alleandosi con loro per razzolare il residuo potere che ancora restava ma che poteva essere usato non per gestire le anime bensì i portafogli delle persone.
Il capostipite di questa nuova casta nefasta fu un tale gobbo andre8, che appariva viscido e brutto come un prete mancato e che riuscì nell’intento di unificare i vestaglioni ed un altro club che andava forte in quel periodo. Costoro erano un po’ riservati e schivi e quindi si definivano “cosa nostra”, in altre parole “fatevi i cazzi vostri”. Il gobbo Andre8 regnò su Stivalia per decenni, si narra che avesse sconfitto a scacchi (barando) anche la nera signora e dunque non moriva mai. A lui si ispirò una congerie di nani politici che cercarono invano di emularlo senza riuscirci, riuscendo però a rubare abbastanza al povero popolo impecoronito di Stivalia. Comunque c’era ancora intelligenza e cervello (nel bene e nel male), poi sparirono anche quelli fino ad arrivare ai giorni nostri in cui trovare un governante col cervello e che azzecchi tre congiuntivi di fila è diventata un’impresa ardua.
E quindi siamo qui oggi, in un deserto cerebrale in cui il popolo aspetta Sanremo, le partite di calcio, la pensione e legge biografie di calciatori analfabeti. E’ ovvio che anche un lupo rincoglionito, zoppo e cieco riesce a mangiare pecore drogate…
Ma io spero sempre che Stivalia possa tornare ai fasti di un tempo perché ci sono tante persone a cui tutto questo non sta più bene… basta avere fiducia!

Storia di un Cristiano Qualunque

Ohi, soy espanol, me gusta el futbòl, e aquí in Italia es la patria del futbòl: yo soy Cristiano Qualunque y quiero far feliz todos los tifosos que adoro. Es un suegno estar aquí…me danno una paquada de dinero por tirar calci al balón y soy feliz… (questa la tagliamo…parole dell’intervistatore)
“Queste le prime parole in italiano stentato che il bomber fenomeno Cristiano Qualunque ha pronunciato al suo arrivo alla Grullentus, che ha sborsato ben 4000 fantastiliardi per assicurarsi le prestazioni del fenomeno catalano”.
Al suo arrivo all’aereoporto di Pensamal c’erano 5000 idiot…ehm tifosi in delirio che hanno accompagnato con urla estatiche le parole del Qualunque.
“Señor presidente, gracias por la fiducia (y por el dinero), dígame donde estás una discoteque que tengo gran voglia de trombàr”.
“Ehm..Cristiano, vabbè che siamo in Italia ma almeno inizia a giocare e poi magari pensi a divertirti”…
“Ah, ma mi compañeros me dicen che aquí prima se tromba poi se trabaja”.
“Vabbè, vabbè ma non lo devi dire in pubblico, qui abbiamo preso tutti per il culo e credono che bisogna lavorare prima di divertirsi, altrimenti come faremmo a darti 4000 fantastiliardi se non avessimo preso per il culo milioni di tifosi? Mica so soldi nostri, altrimenti col cazzo stavi qua, eri a pascolare las pecoras in Catalogna”….
“Puerca vaca, tienes rajon, es mejor que me estoy silente y non dico più cazadas…ma donde se tromba aquí?”
“No te preocupe, tu primero de todo tienes que decir che ami los tifosos, que son toda la tu vida, que el mister es especial ed el presidente es magico, son todas cazzatas ma se non le dici qua non magnamos nè noi né tu…del resto te avemos acquistado por tu fulgida intelligenza….ehm”
“allora dedico mi gollazos a los tifosos che me amano”
“cazzo, questo è più intelligente degli altri, ha capito subito…gli altri ci mettono anni”
“Tu mi dici quello che devo fare ed io lo faccio”
“Merda, ha già imparato l’italiano e parla come Pino la lavatrice, questo vince il pallone d’oro”.
“Chiedo l’adeguamento del contratto, una villa al mare e zoccolas a go go”
“Ok, chiama quel ciccione ingordo del suo agente, questo lo rifiliamo agli sceicchi per la prossima stagione, non sappiamo se è davvero bravo…ma è intelligente e di uno così non sappiamo che farcene”…

Metatron

Sul pianeta Metatron, a più di 10.000 anni luce dalla Terra, si continua a monitorare il preoccupante sviluppo di questo piccolo ma prezioso astro, necessario all’equilibrio dell’intera galassia ed il consiglio dei 100 saggi di quel pianeta, preoccupato dell’andazzo degli affari terrestri di cui erano incaricati, di concerto con l’Assemblea intergalattica, decide di mandarci alcuni inviati. L’insediamento al potere di certi personaggi in alcuni Paesi chiave, tra cui l’Italia, era un campanello d’allarme che non poteva più essere ignorato.

Il governo di un Paese è cosa seria e quindi all’ennesima pornostar, mafioso di quartiere e cantante neomelodico ad aver conquistato uno scranno in parlamento, si era deciso di prendere provvedimenti.

Metatron, strutturalmente quasi un gemello della Terra, a parte le dimensioni maggiori e due continenti e tre oceani in più, è un pianeta tra i più all’avanguardia nello sviluppo interstellare, ed i suoi abitanti, quasi del tutto simili agli umani, ma molto meno cazzoni, hanno rinunciato da milioni di anni alla politica ed alle bassezze inutili e distruttive di cui ancora soffre la Terra, la quale, invece, è agli inizi della sua evoluzione, per cui il suo invisibile controllo è stato affidato proprio a Metatron, allo stesso modo in cui un bambino piccolo viene sorvegliato dai suoi genitori.

Su Metatron gli abitanti, per comunicare tra loro, usano la mentalica, una scienza che ha affinato doti innate quali la telepatia, per cui non c’è più bisogno di comunicazione verbale che per millenni ha dato luogo a fraintendimenti, guerre, menzogne e clamorosi vaffanculo ed apprezzamenti sulle rispettive sorelle ai semafori. Su Metatron non esistono neanche più i semafori.

Fu così che si decise di inviare il saggio Ysingrinus a mettere un pò d’ordine su quel pianeta, accompagnato dal suo fido collaboratore Olotacovva. Non sapendo come iniziare a comunicare con i terrestri, i due Metatroniani decisero di regredire alle conoscenze tecniche di quel pianeta ed iniziare la loro opera correttiva attraverso un blog, da cui avrebbero poi espanso la loro opera nel tempo, tanto quello non gli mancava, perchè su Metatron un anno equivaleva a 50 anni terrestri.

Per un errore nelle impostazioni delle coordinate spazio-temporali dell’astronave, i due, la prima volta finirono abbastanza indietro nel tempo, all’epoca dei faraoni.

Il buon Ysin quasi si fece ammazzare perchè, materializzatosi nelle stanze di Amenophi III, dandogli amichevoli pacche sulle spalle come tra colleghi, cercò di vendergli alcuni disegni di rosafante, cercando di convincerlo che fosse più potente del Dio Ra e che quindi stava sbagliando le sue strategie di marketing col popolo.

Olotacovva si rese conto che Ysin si stava un pò allargando, e cercò di dissuaderlo, ma egli con le sue affermazioni lapidarie, fece un certo effetto sul faraone il quale, non capendoci un cazzo, promise di convocare il gran sacerdote Minchiothep a cui avrebbe chiesto consulto leggendo le budella di Olotacovva in una casseruola che il malcapitato portava al posto delle mutande.

I due, giunta la notte, decisero saggiamente di non restare in quel luogo e corressero la rotta verso la Terra del 2015.

I due, sulla base delle nuove coordinate inserite, sbarcarono in Puglia in una calda mattinata di agosto, davanti all’abitazione di tale Niphus, un abitante di Orione che da circa sette secoli stava facendo una tesi e degli studi su quegli strambi terrestri.

Dopo aver provato la Germania ed i suoi Wurstel, l’Inghilterra ed i suoi pancakes, la Spagna e la sua paella, il saggio Niphus aveva deciso di stabilirsi in Puglia, rapito da un tegame di riso, patate e cozze al forno preparatogli da una procace indigena, tale Miss Tresso che lo aveva accolto dopo un viaggio di 15 anni luce allorquando era affamato come un puma e stava iniziando a mangiare cavi elettrici e bere cherosene.

Il suo dolce benvenuto (“Mò…ci cazz iè cuss?) gli suonò come una melodia e da allora il buon NIphus non ha più abbandonato le coste pugliesi a cui è ancora molto affezionato, ci si fa il bagno a mezzanotte con la cravatta, anche se continua a bere come un orioniano.

Il saggio Ysingrinus ed il fido Olotacovva svegliarono Niph con una tempesta di rutti e bestemmie mentali alle 3 di notte, per cui l’uomo centenario originario di Orione rispose in terrestre con una sfilza di contumelie da fare la permanente ad un levriero afghano.

Una volta chiarito l’equivoco si salutarono calorosamente e si diedero appuntamento al ristorante di tale Vinvivendus, altro emigrato dalla lontana galassia definita “Masterchef” a causa delle sue prelibatezze culinarie quali mazzancolle al plutonio ed arrosticini “supernova”, cotti alla luce di una nana gigante…

Dopo una ricca abbuffata di specialità intergalattiche, innaffiata da una damigiana di primitivo di Plutone, i due Metatroniani riferirono a Niphus delle preoccupazioni del consiglio dei saggi in ordine agli affari terrestri mentre Olotacovva faceva pure apprezzamenti sulla mise di Miss grattandosi la casseruola con noncuranza.

Il cibo ed il primitivo non permisero di prendere decisioni drastiche quella sera, per cui si decise soltanto di iniziare a sondare il terreno aprendo ognuno un suo blog, sulla base delle direttive ricevute, su cui sarebbero state selezionate alcune persone degne di promuovere una rivoluzione culturale sul pianeta Terra. Comunque il tempo non mancava e quella era ancora una missione esplorativa.

E così fu fatto, aggiornandosi ogni mese terrestre a casa di Miss che ogni volta deliziava i visitatori con la sua personale interpretazione di danze pugliesi in ciabatte e burqua, inframezzate da espressioni (“Auuuuzzzz”) di un personaggio locale, tale Leone di Lernia, del tutto sconosciuto ai nostri alieni…

Pare che i saggi di Metatron, al momento, siano seriamente preoccupati dalla piega che stanno prendendo gli eventi, non tanto per gli affari terrestri, ma per lo sbarellamento dei loro Metainviati, testimoniato dalle letture dei rispettivi blog, che hanno causato vari mancamenti negli anziani di quel pianeta che li seguono sotto mentite spoglie…

Bar Sport I parte: la colazione

Vorrei iniziare questo piccolo esercizio di stile chiedendo umilmente perdono al vate Stefano Benni, uno dei più grandi scrittori italiani in circolazione secondo il mio modesto parere, che ha saputo inventare capolavori divertenti ma, al contempo, dalla profondità incredibile.

Ricordo di aver letto Bar Sport parecchi anni fa e non c’è stato mai nessun altro libro che mi abbia fatto ridere da solo come uno scemo al pari di quello.

Ogni città, ogni quartiere ha il suo “Bar Sport”. Forse ogni gruppo di persone ha i suoi personaggi caratteristici. Li trovi nelle assemblee condominiali, nei circoli, a scuola, insomma dappertutto.

Nei piccoli centri il bar non è altro che il luogo di ritrovo di comitive e gruppi di persone di ogni età che si sono suddivisi territorio e tavolini come un giocatore di Risiko farebbe sul tabellone, anche con riguardo all’arco temporale della giornata.

Si inizia al mattino con l’ondata isterica dei “colazionisti”, che giocano col tempo, ed in dieci minuti di colazione, 5 li perdono a guardare l’orologio. Sono i “riassuntivi” della giornata appena iniziata. Contano i minuti, cercando di condensare il tempo a disposizione per accontentare tutti. Un saluto al barista, che all’ora della colazione è il protagonista assoluto di quella commedia dell’assurdo che si svolge davanti ai suoi occhi, poi una rapida occhiata in giro per individuare i conoscenti a cui regalare parole mangiate tra i morsi al cornetto ed i sorsi al cappuccino. Quando il tempo a disposizione è scaduto, tracannano il caffè o il cappuccino a 6000 gradi in un sorso solo, provocandosi paurose ustioni e spesso devono aggiungere qualche minuto al ritardo, dal momento che non hanno considerato l’effetto cagarella che quello sconsiderato gesto inevitabilmente innesca. Ciò porta allo spiacevole inconveniente che il cesso del bar, alle 9,30 di mattina, è peggio di quello della stazione di Calcutta a fine giornata.

I dialoghi durante la colazione al bar hanno lo stesso umorismo di una convention di becchini, che va sfumando mano a mano che si avvicina il fine settimana. Quindi, se ti scappa qualche battuta, vedi di accertarti che sia di venerdì, perchè se commetti un simile errore al lunedì mattina (magari pure con la pioggia), ci sono due sole possibilità: o hai vinto al superenalotto o fai il barbiere.

Nel bar ogni categoria umana sceglie la sua fascia oraria per impossessarsi dei locali e delle vettovaglie e dettare le sue regole, quindi al mattino non troverai mai bottiglie di vino, carte e pensionati che ammazzano il tempo. Al mattino è il tempo che ammazza la gente per una sorta di vendetta ricorrente.

Un pensionato col giornale, in un bar alle 8, si nota come Marilyn Manson in smoking bianco ad un ballo di beneficienza o come un pipistrello disteso al sole a mezzogiorno ed il poverino si guarda bene di frequentare luoghi che non offrono il minimo indispensabile per sopravvivere.

Troviamo quindi “l’avvoltoio”, il quale cerca improbabili approcci broccoleschi a quell’orario impossibile, magari sperando in un numero di telefono da poter utilizzare in momenti più calmi e proficui. Costoro sono quelli che ordinano il caffè, scelgono la posizione strategica al bancone e tentano approcci privi di fantasia alle povere avventrici semiaddormentate, nella speranza di trovare a quell’ora la guardia abbassata. Nei vari tentativi (tutti miseramente falliti) il caffè è diventato imbevibile, per cui tale patetico elemento viene in genere definito il “Rocco Sifredda” del bar di mattina.

Poi abbiamo “lo scroccone”, colui che finge di leggere il giornale davanti al bar in attesa dell’attimo in cui individua la sua vittima potenziale. Saluto ipocrita (Ehilà carissimo-magari non si ricorda neanche il nome-) e domanda di prassi (come va?) con lisciatina che suona falsa come una banconota da 150 euro (stamattina ti trovo in gran forma!). Poi si blocca e resta in attesa della fatidica controdomanda: “prendi qualcosa?” Nel caso questa non arrivi, si rimette in postazione a leggere il giornale. Questo elemento di solito lo smascheri perchè la Gazzetta che ha in mano è quella del mese prima ed è un mero strumento di lavoro.

Non è infrequente incontrare quello che viene definito “la gazza ladra” che, altri non è che colui il quale, con ostentata nonchalance, si fotte puntualmente la “Gazza” a disposizione dei clienti del bar, facendola sparire, con abile ed incurante gesto, nella borsa da lavoro. A volte si spinge addirittura a sfilare un pacchetto di caramelle dall’espositore ed è convinto che ti abbia fregato solo perché il barista lo lascia perdere.

Altro tipo da bar mattutino è “l’esigente”, la disperazione di tutti i baristi. Quando entra si crea un’ondata di panico dietro il banco e si racconta di baristi che si sono strappati grembiuli ed abiti in preda alla disperazione. L’esigente è quello che ordina il caffè nel modo più complicato possibile ed ogni vota aggiunge una variante, per cui diventa impossibile memorizzare i suoi gusti. Il caffè può essere ristretto, decaffeinato, in tazza grande, macchiato freddo, schiumato, al ghiaccio, shakerato, doppio, con panna e l’esigente gioca svariate combinazioni di questi elementi ed è pronto a fare un cazziatone al barista che ne sbaglia anche uno come se il suo caffè fosse la formula alchemica per trasformare il piombo in oro. E’ facile che chieda, come accompagnamento, un cornetto alla marmellata di fragoline di bosco ma, a quel punto, rischia un cazzotto in faccia dal barista, quindi, di solito, se ne guarda bene.

Ma, al mattino il più stressato è proprio il barista, che vorrebbe avere sei braccia come la Dea Kalì ed infatti sempre più spesso adesso si notano baristi extracomunitari che così possono tranquillamente bestemmiare nella loro lingua che tanto non li capisce nessuno, ed anche se ti danno dello stronzo, lo fanno col sorriso e quindi tu lo prendi per un complimento, mentre il titolare del bar perderebbe indubbiamente buona parte dei clienti se desse aria ai pensieri nella sua madrelingua.

To be continued….