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Storia di Peppe e Fritz, fratelli d’Europa

Gennaro Caccavella era il più simpatico e prestante bagnino della spiaggia di Cesenatico ai tempi del dopoguerra. Dal momento che era alto, moro e con gli occhi verdi, raccontava a tutti che era nato a Bolzano, nascondendosi a tal fine dietro il nomignolo di “Genny il bello”, con cui era solito farsi chiamare. Solo la completa visione della segretissima carta d’identità del nostro Genny avrebbe tradito le sue inequivocabili origini meridionali.
In un assolato pomeriggio settembrino, il nostro italico bagnino stava facendo l’ennesimo giro di perlustrazione della spiaggia romagnola, più per dare una interessata occhiata ai centimetri di pelle esposti dalle turiste tedesche che per verificare che nessuno fosse in pericolo di vita a causa del mare, visto che per morire nell’acqua di quel tratto di riviera doveva venirti un infarto piuttosto che essere travolto dagli inesistenti flutti di acqua salmastra non più alti di dieci centimetri che non avrebbero fatto paura neanche ad un gatto.
Sotto l’ultimo ombrellone a spicchi bianchi e blu del territorio di sua competenza, Genny notò due giovani ed avvenenti bionde che parlavano tra di loro distese sulle sdraio con una birra in una mano mentre con l’altra si schermavano gli occhi a protezione del sole che aveva iniziato la sua discesa verso l’orizzonte.
L’italico stallone fece scattare la reazione automatica tipica di quella situazione che consisteva nel “petto in fuori e pancia in dentro” con lieve contrazione dei muscoli addominali e si avvicinò con passo felpato alle due bellezze, pronto ad attaccare discorso attingendo al suo repertorio di rimorchio balneare e forte della sua posizione di autorità spiaggistica, sancita dalla bianca scritta “bagnino” su entrambi i lati della sua canottiera rossa.
“Buongiorno gentili signore, spero che vi stiate godendo una bella vacanza qui al nostro lido “bella Italia”. Se avete bisogno di qualsiasi cosa, io sono qui a vostra completa disposizione. Mi chiamo Genny, siete arrivate da poco? Non vi ho mai viste qui da noi.”
“Scusare noi” disse quella delle due che piaceva di più al nostro bagnino, “noi no italiane, venire da cermania e parlare poco vostra lingua, no capito”.
Genny, nel corso della sua esperienza sui litorali di quelle zone, aveva avuto spesso a che fare con i turisti tedeschi (sarebbe meglio dire “turiste tedesche”) ed aveva imparato quindi ad intavolare il minimo sindacale della conversazione che gli garantiva, il più delle volte, una conoscenza più “approfondita” delle sue interlocutrici. Con i suoi modi gentili e garbati che lo rendevano affascinante, si accovacciò sulle proprie gambe e scambiò un pò di chiacchiere con Erika e Brigitte (questi i loro nomi) che parvero gradire la sua compagnia, specialmente Brigitte che era stata la prima delle due a rispondergli. Dopo una decina di minuti, consapevole che stare lì a parlare non era conveniente né per il suo lavoro, né per le sue gambe che iniziavano ad intorpidirsi, né tantomeno per la rodata tecnica rimorchiatoria che consigliava un tempo il più possibile limitato durante il primo approccio per non apparire fin da subito troppo invadente, si congedò dalle due teutoniche bellezze non prima di essersi assicurato che sarebbero ritornate su quella stessa spiaggia anche il giorno successivo.
Da quel primo, fortuito approccio in un angolo di un mondo che stava cercando a fatica di dimenticare gli orrori di una guerra ancora troppo vicina nei ricordi di tutti, nacque una grande passione ed un grande amore tra il nostro italico Genny e la bionda tedesca Brigitte. Si era verificato un riallineamento di due figli appartenenti a due Paesi martoriati dalla scelleratezza dei loro folli governanti che avevano scoperto, qualora ce ne fosse stato il bisogno, che l’amore non conosce confini di nessun genere e che non si ferma davanti a nessuna delle barriere materiali o linguistiche frutto degli artifici del genere umano.
Italia e Germania si stavano risollevando insieme, così come i loro figli Genny e Brigitte stavano iniziando a costruire qualcosa insieme che, si sperava allora, sarebbe durato a lungo.
Dalla loro unione, inizialmente ricca di entusiasmo e di felicità, nacquero anche due gemelli belli ed intelligenti. Giuseppe, detto Peppe, tutto suo padre, e Fritz, più vicino come carattere e caratteristiche fisiche a mamma Brigitte.
Ma si sa che molto spesso l’amore di coppia è soltanto un inganno della natura inscenato per garantire la continuità della specie e Genny e sua moglie non sfuggirono a questa dura legge. Se poi ci si aggiunge anche una differenza di fondo dovuta a cultura ed ambiente di provenienza differenti, allora ecco che il piatto del fallimento matrimoniale è servito, cotto a puntino.
Con grande civiltà e con un senso di amicizia che si erano ripromessi di mantenere costante al posto del loro antico amore, decisero, di comune accordo, di proseguire il resto delle loro vite ognuno per la sua strada alla ricerca di nuovi stimoli quando i loro due figli erano ormai adulti e pronti ad affrontare tutti gli imprevisti che il mondo avrebbe messo loro di fronte.
Genny aveva lavorato duramente per offrire un solido futuro alla sua famiglia e, nel periodo di amore ed armonia che era durato abbastanza a lungo, era stato pienamente supportato dalla sua Brigitte che aveva saputo infondergli la tenacia e l’organizzazione germanica complementare all’estro ed alle idee, spesso geniali, del nostro italico Gennaro.
Fu così che l’azienda di servizi da loro fondata su innovative ed organizzate trovate commerciali, frutto del loro complementare ed efficace lavoro di squadra, si sviluppò a tal punto da arricchire in maniera considerevole la famiglia Caccavella. I rapporti con i clienti e le idee per lo sviluppo erano tutti made in Gennaro, mentre la contabilità ed i rapporti con fornitori e tutto ciò che riguardava i numeri e l’organizzazione dei dipendenti erano sotto la supervisione impeccabile di Brigitte. Tutto filò liscio per anni, con l’azienda che funzionava come un orologio, facendo lievitare il patrimonio e la soddisfazione di tutta la famiglia sfruttando i rispettivi punti di forza.
Ma quasi sempre il destino ha, per ogni essere umano, dei progetti completamente diversi dai desideri immaginati o espressi. Genny e Brigitte, allorquando il tempo logorò come una goccia d’acqua sulla roccia la loro unione, presero, di comune accordo, la decisione di separare le loro vite, per cui misero al corrente i loro due figli che quella sarebbe stata la decisione migliore per tutti e chiesero se entrambi avessero la voglia e l’intenzione di portare avanti l’azienda di famiglia.
Peppe e Fritz, che da ragazzini erano sempre andati molto d’accordo quando c’era da divertirsi e giocare, furono però concordi nel declinare la proposta dei loro genitori in quanto avevano altri progetti e desideri per il loro futuro personale e professionale. I loro genitori, quindi, divisero equamente l’intero patrimonio familiare tra i ragazzi e mantennero per ognuno di loro quanto bastava per vivere il resto della loro vita in modo libero e dignitoso.
Peppe era, tra i due, il più estroso, impulsivo, ai limiti dell’irrazionalità, e se c’era qualcosa di nuovo da sperimentare, lui era sempre in prima fila. Non molto accorto nell’uso del denaro, amava mettersi in mostra per i suoi bei vestiti o qualunque cosa fosse all’ultima moda. Dotato di una fervida fantasia, era sempre lui che trovava la soluzione a problemi all’apparenza irrisolvibili. Le donne e gli amici erano i suoi passatempi preferiti.
Fritz, in quanto ad intelligenza, non era certo inferiore a suo fratello gemello, ma emanava una diversità caratteriale profonda quasi quanto i caratteri somatici che contraddistinguevano i due. Alto, biondo e con gli occhi chiari come sua mamma, Fritz era un concentrato di razionalità. Grande analizzatore, sempre molto riflessivo quando c’era da prendere qualunque decisone, coltivava in maniera quasi maniacale il suo miglioramento personale badando agli altri solo in modo marginale, sia sotto il punto di vista fisico che quello intellettuale, andando in palestra quasi ogni giorno e leggendo avidamente i grandi autori letterari e filosofi della storia tedesca.
Quando ricevevano la paghetta o, in generale, regali in denaro per il compleanno o per Natale, Peppe quasi sempre dilapidava tutto nei locali o in feste con gli innumerevoli amici e nuove ragazze offrendo da bere a tutti oppure acquistando sneakers all’ultima moda o in genere capi di abbigliamento griffati. Fritz, al contrario, risparmiava tutto quello che poteva e si curava poco delle apparenze modaiole del momento. Preferiva “investire” i suoi guadagni giovanili in libri e palestra, il resto lo metteva da parte.
Era normale, quindi, che Peppe fosse sempre ricercato da tutti, mentre Fritz veniva guardato con più diffidenza e sospetto.
Non era infrequente che Peppe, a causa della sua indole spendacciona, rimanesse a secco di denaro per cui, se ne aveva bisogno per i suoi divertimenti e spese voluttuarie, lo chiedeva in prestito a suo fratello con la solenne promessa che glieli avrebbe presto restituiti. Qualche volta succedeva, ma il più delle volte i soldi non tornavano indietro.
Allorquando giunse il momento della separazione dei loro genitori, il rifiuto comune della prosecuzione dell’attività commerciale di famiglia, determinò di conseguenza anche la separazione delle strade dei due gemelli. Come i loro genitori, anche Peppe e Fritz decisero di andare ognuno per la sua strada.
Genny e Brigitte fecero in modo che il cospicuo patrimonio di famiglia venisse equamente suddiviso tra i gemelli, i quali avrebbero così potuto disporne a loro piacimento per il loro futuro personale e professionale.
Una ulteriore parte del patrimonio della famiglia Caccavella fu utilizzata nella creazione di un fondo patrimoniale intestato ad entrambi, una sorta di “salvagente” per casi di emergenza estrema che avrebbe funzionato da ammortizzatore patrimoniale nel caso in cui uno di loro, o entrambi, si fossero trovati, un domani, in cattive acque.
Il posato Fritz, dopo aver sposato una ragazza di Francoforte, si trasferì in quella stessa città, destinò gran parte dei suoi averi in oculati investimenti e, una volta conseguita la laurea in economia, ed un paio di master in gestione patrimoniale, ebbe, da solo, capacità e conoscenze per veder crescere il suo potere economico di anno in anno.
Il più frivolo Peppe, invece, rimase un single incallito, senza molta stabilità sentimentale e di idee, e preferì investire gran parte dei suoi averi in un ristorante di lusso ed uno stabilimento balneare per VIP su quella stessa riviera sulla quale la storia della sua famiglia aveva avuto inizio.
I due fratelli rimasero comunque in buoni rapporti negli anni che seguirono e certe volte, rispolverando l’antico vizio, Peppe, ogni tanto chiedeva aiuti economici a Fritz in quei casi in cui gli occorreva un pò di liquidità immediata, non volendo attingere al “Fondo salvafratelli” che restava vincolato ai casi di effettiva ed improrogabile emergenza. “Il tedesco”, questo era il nomignolo che Peppe aveva dato al fratello gemello, quasi mai negava il favore richiesto, non mancando però di fargli benevolmente la solita paternale sul suo stile di vita, invitandolo sempre a “mettere la testa (e le finanze) a posto”.
Durante un inverno che sembrava uno come tanti, il mondo intero fu colpito da una terribile pandemia che fece un gran numero di vittime tra la popolazione e colpì in maniera pesantissima l’economia internazionale, dando il colpo di grazia a certi settori produttivi, primi fra tutti, quelli della ristorazione e del turismo.
Facile immaginare quale, tra i nostri due fratelli, fu quello che subì le conseguenze più devastanti di questa inaspettata e tragica situazione.
Ristorante e stabilimento balneare fallirono e Peppe, già fortemente indebitato a causa dello stile di vita che aveva sempre tenuto, ben superiore alle sue effettive possibilità, fu costretto a svenderli per un prezzo di gran lunga inferiore al loro valore effettivo. I suoi folli progetti ed il desiderio sfrenato di una bella vita, lo avevano spinto ad accordi poco leciti anche con la malavita, a cui accettava di riciclare, con le sue attività commerciali, il denaro sporco, in cambio di visibilità e clientela VIP. Quella stessa malavita, nella condizione difficile del blocco forzato di mesi del Paese, non si lasciò sfuggire l’occasione di rilevare i terreni, gli edifici e le licenze che erano appartenute a Peppe in cambio della cancellazione di una parte dei suoi debiti.
Chissà perchè, il buon Peppe non si meravigliò neanche più di tanto quando venne a conoscenza che l’operazione appena descritta fu organizzata e gestita, per conto del crimine organizzato, da uno dei suoi più cari amici d’infanzia.
Il gemello “italiano” si ritrovò quindi in mezzo alla strada, senza un centesimo ed ancora fortemente indebitato con persone con cui non era molto salutare essere in debito.
L’unica alternativa per sopravvivere era quella di accedere al fino ad allora inutilizzato “fondo salvafratelli”, ma, per potere operare su quel fondo, aveva bisogno del necessario benestare di suo fratello Fritz.
Ancora una volta contattò il suo gemello “tedesco”, ed in una videochat dai toni drammatici gli disse che aveva bisogno non solo della sua parte della riserva disposta dai genitori a garanzia di entrambi, ma anche di un cospicuo prestito personale a fondo perduto o, in alternativa, che Fritz gli concedesse l’intero importo del fondo in questione per far fronte alla sua drammatica situazione economica.
Il suo gemello di Francoforte, con la flemma che lo aveva sempre contraddistinto, ascoltò impassibile le sfuriate di Peppe, che alternava ferventi implorazioni a neanche tanto velate minacce, rammentandogli continuamente che erano sempre una famiglia e che solo restando uniti avrebbero fatto felici i loro ormai vecchi genitori.
Fritz pensava che, pur essendo davvero figli degli stessi genitori biologici, per di più gemelli, non potevano esistere al mondo due persone più diverse tra loro non solo per l’aspetto fisico, ma anche e soprattutto per carattere, abitudini e temperamento. Questa volta decise di restare inflessibile e, pur acconsentendo allo scioglimento e conseguente divisione del denaro presente sul Fondo “salva fratelli”, non cedette di un millimetro e rifiutò ogni altra richiesta economica di suo fratello che avrebbe forse, solo in quell’occasione, imparato sulla sua pelle cosa significava essere accorto e previdente sotto il punto di vista patrimoniale, etico e morale.
Cinismo avveduto contro incosciente superficialità. Nasce come una storia di altri tempi ma potrebbe benissimo essere una storia dei nostri giorni…

Storia di Stivalia

Nel Paese di Stivalia, un paradiso circondato dal mare, era sempre vissuto, fin dalla più remota antichità, un popolo che aveva capacità abbastanza superiori alla media mondiale. Agli inizi della storia aveva governato il mondo intero, aveva costruito opere maestose, creato opere d’arte invidiate da tutti, aveva fatto scoperte scientifiche frutto di ingegno e fantasia senza pari e tutti i regni della terra avevano cercato di accaparrarsi quelle menti geniali provenienti dalla magica terra di Stivalia. C’era una certa libertà di pensiero e le idee fiorivano libere ovunque; chiunque avesse avuto un’ideologia da promuovere, allora Stivalia era la sua casa. Così ci furono geni che fecero progredire il Paese ma anche loschi figuri che attecchirono anch’essi come la gramigna facendo da contrappeso alle idee di libertà.
Il guaio di un Paese troppo libero è che ci puoi trovare di tutto, dalle rose alle ortiche, alle piante velenose.
In questo clima arrivò un’orda di gentaglia che si era messa in testa di governare il mondo delle anime terrene… se arrivava anche del godimento materiale, bè sarebbe stato ancora meglio, chissenefrega di sti imbecilli del popolo, e quindi Stivalia vide proliferare la casta dei “vestaglioni portasfiga” una congerie di Papi, antipapi, vescovi e santi, e parroci pedofili e busoni che pretendevano di dettare “legge al gregge” (slogan molto in voga tra i vestaglioni) e dire cosa era giusto e cosa era sbagliato, tutto naturalmente a modo loro. Se si seguivano le regole, ci sarebbe stato il night club “paradise”, con figa eterea, pavimento nuvolato e passeggiate nei prati celesti dalla mattina alla sera senza fare un cazzo sotto il sole perché la notte non scendeva mai… essaichepalle… se si cagava fuori dalle regole si andava all’inferno… salvo non spiegare bene cosa fosse l’uno e cosa fosse l’altro perché nessuno c’era mai stato e probabilmente non gliene fregava un cazzo neanche a loro.
Iniziarono le leggi, i comandamenti… non trombare, non rubare, non desiderare, non farti le pippe, non leggere se non quello che ti diciamo noi, non peccare di gola, vai qui, vai lì, lavora come una bestia, onora questo, onora quello, prega sei ore al giorno, insomma dalla libertà assoluta dei vecchi tempi si era arrivati a non poter fare più un cazzo che ci piacesse.
Furono secoli bui, se non obbedivi non aspettavano che morissi per andare all’inferno ma ti ci mandavano loro da vivo, magari accendendo un bel falò e gettandoti sopra tanto per abituarti alle fiamme eterne fin da subito. Erano tutte creature del demonio…. poi abbiamo scoperto che il demonio è stato assolto da quelle accuse infondate perché lui non si sarebbe mai abbassato a tanto… ha una certa dignità che a quella gentaglia manca.
Ma le menti libere di Stivalia tennero duro ed un paio di secoli fa sfancularono i vestaglioni e li relegarono in un piccolo territorio da cui però continuano a scassare i maroni ancora oggi, anche se molto di meno perché non se li caga quasi più nessuno.
Ma il danno ormai era fatto, la grandezza di Stivalia era compromessa. Tutti quei secoli di oscurantismo avevano danneggiato la mente delle persone, avevano tolto brillantezza, libertà ed estro e reso tutti un po’ pecoroni.
Approfittando della desolazione cerebrale, una nuova casta Stivalica non si fece sfuggire l’occasione di sostituire il potere dei vestaglioni portasfiga, alleandosi con loro per razzolare il residuo potere che ancora restava ma che poteva essere usato non per gestire le anime bensì i portafogli delle persone.
Il capostipite di questa nuova casta nefasta fu un tale gobbo andre8, che appariva viscido e brutto come un prete mancato e che riuscì nell’intento di unificare i vestaglioni ed un altro club che andava forte in quel periodo. Costoro erano un po’ riservati e schivi e quindi si definivano “cosa nostra”, in altre parole “fatevi i cazzi vostri”. Il gobbo Andre8 regnò su Stivalia per decenni, si narra che avesse sconfitto a scacchi (barando) anche la nera signora e dunque non moriva mai. A lui si ispirò una congerie di nani politici che cercarono invano di emularlo senza riuscirci, riuscendo però a rubare abbastanza al povero popolo impecoronito di Stivalia. Comunque c’era ancora intelligenza e cervello (nel bene e nel male), poi sparirono anche quelli fino ad arrivare ai giorni nostri in cui trovare un governante col cervello e che azzecchi tre congiuntivi di fila è diventata un’impresa ardua.
E quindi siamo qui oggi, in un deserto cerebrale in cui il popolo aspetta Sanremo, le partite di calcio, la pensione e legge biografie di calciatori analfabeti. E’ ovvio che anche un lupo rincoglionito, zoppo e cieco riesce a mangiare pecore drogate…
Ma io spero sempre che Stivalia possa tornare ai fasti di un tempo perché ci sono tante persone a cui tutto questo non sta più bene… basta avere fiducia!

Il pianeta delle scimmie

C’era una volta l’uomo. Ancora oggi non sappiamo da dove sia venuta fuori questa strana creatura che ha monopolizzato il dominio del pianeta. Qualcuno si è messo in testa che discendiamo da animali chiamati primati, ma resta un mistero come mai quelle stesse scimmie siano rimaste tali e noi no. Non ha molto senso. Se così fosse, ogni scimmia sarebbe diventata uomo nel gioco lento ed inesorabile dell’evoluzione, invece in uno sputo di tempo (parlando in termini di tempistica universale) ecco apparire una razza che non si è accontentata di dormire, mangiare, bere, cagare e scopare, come farebbe ogni animale che si rispetti, bensì ha creato immense meraviglie alla pari di crudeltà ed atrocità inenarrabili.
Chiunque mastichi un pò di storia non farebbe difficoltà a cercare, a ritroso nel tempo, le origini di questa nostra strana razza. Quando saremmo scesi dagli alberi mangiando banane e ci saremmo messi a studiare le stelle e creare opere d’arte?
Il discorso deve necessariamente partire dalle civiltà più antiche che si conoscono e qui il discorso si complica perchè è chiaro che ci mancano dei pezzi.
A scuola ci fanno studiare le “leggende” dell’antico Egitto, con le loro misteriose piramidi ed i loro culti misterici. Più indietro non si va, ma in una terra chiamata Mesopotamia, quasi mille anni prima degli egizi vivevano popoli che avevano un grado di civiltà che non era da meno: I Sumeri, gli Assiri ed i Babilonesi.
Erano popoli che avevano una scrittura (cuneiforme), conoscevano perfettamente l’astronomia, l’astrologia e la matematica, avevano grandi città, opere architettoniche maestose e codici di leggi in una società che poteva dirsi di avanzata civiltà.
Viene da chiedersi da chi avevano appreso certe complesse cognizioni, visto che prima di loro avrebbero dovuto esserci proprio quelle scimmie che mangiavano banane sugli alberi.
Non è che il buon Charles Darwin ha sbagliato tutto? I misteri sulla provenienza di questa strana specie semiparassitaria sono tuttora aperti e non possono essere liquidati con le storielle che ci hanno insegnato a scuola. Certo, a scuola di cazzate ce ne hanno raccontate e continuano a farlo, per cui non sarebbe affatto strano mettere in dubbio anche questa.
Il Dott. Semir Osmanagich, uno degli antropologi più famosi al mondo ha di recente affermato: “La storia dell’umanità su questo pianeta è la più grande menzogna mai raccontata e scritta. Non vedo l’ora che la verità venga esposta e che i falsi libri di storia vengano bruciati! I mass-media sono complici di un insabbiamento di proporzioni epiche”.
La scoperta, avvalorata dalle analisi al radiocarbonio, di costruzioni piramidali in Bosnia, data la presenza di avanzate civiltà addirittura a 30.000 anni fa! E non sono certo le uniche. In Texas, in Gran Bretagna, in Turchia (Gobekli Tepe), sono state scoperte analoghe strutture databili almeno 20.000 anni addietro. Come mai nessuno ne parla? Forse abbiamo davvero sbagliato tutto e non ce la sentiamo di confessarlo perchè le conseguenze sarebbero enormi?
Dovremmo essere abbastanza aperti per scoprire che tutto è davvero possibile, ed a tale proposito c’è un filologo e scrittore italiano di nome Mauro Biglino che ha esposto, con precisa cognizione di causa, una teoria affascinante basata sullo studio della Bibbia ed in particolare dell’Antico Testamento evidenziando come lì, di Dio non si parli affatto… ma in questo caso si arriva a pestare i piedi anche alla chiesa cattolica ed a mettere in discussione tutto il suo impianto truffaldino che ci devasta da millenni.
Non credete che valga la pena approfondire il discorso senza dare tutto per scontato?

Piano di rinascita (2^ parte)

Ben presto si dovette riconoscere che il “nuovo ordine” aveva eliminato ogni causa di incomprensione ed attrito tra gli uomini, i quali si comportavano in modo del tutto prevedibile secondo le linee guida del “benessere globale” voluto dalla classe dirigente per garantire un futuro di prosperità e progresso all’intero genere umano. Certo, si era dovuto rinunciare a parecchie abitudini caratteristiche della vita sentimentale precedente, così, ad esempio, quasi più nessuno aveva in casa animali domestici ed i programmi televisivi ed i film al cinema erano stati svuotati di ogni sentimentalismo ed improntati al mero nozionismo, ma nessuno ci faceva caso in quanto anche la noia era scomparsa dai circuiti emozionali.
Come sempre accade, però, non tutte le ciambelle riescono col buco ed alcune persone, sottoposte al “piano di rinascita”, per qualche misteriosa ragione, risultarono refrattarie al trattamento imposto per legge, mantenendo in gran parte inalterati i sentimenti con cui erano nati in quel mondo che, per imposizione dettata dalla necessità, glieli aveva in seguito sottratti.
Evidentemente deve esistere qualche regola più grande e trascendente di quelle umane che afferma il fatto che la natura non gradisce che venga alterato il suo corso spuntando le armi del libero arbitrio, per cui queste persone, una volta che si erano rese conto del loro stato di privilegiati o di reietti, a seconda dei punti di vista, avevano iniziato ad incontrarsi in segreto, ben consapevoli che la loro attività, in quel preciso momento storico equivaleva ad un grave attentato all’ordine costituito.
Molti degli “immuni” avevano scelto di abbandonare le loro famiglie fingendosi dispersi (ogni tanto poteva capitare nel nuovo ordine) ed avevano costituito nuovi legami tra di loro, basati in clandestinità sui vecchi sentimenti banditi. Altri avevano scelto invece di continuare la loro vita di facciata con le persone di sempre, prestando attenzione naturalmente a non tradirsi. Ma vi erano anche coloro che ordivano per infiltrarsi nuovamente nel tessuto sociale così artificialmente perfezionato, piazzando i vecchi sentimenti “illegali”, una sorta di nuova droga sintetizzata in laboratori clandestini per mettere temporaneamente fuori uso i microchips governativi frutto del “piano di rinascita”.
Alcuni scienziati “immuni” erano riusciti a sintetizzare un composto, ribattezzato “flashback”, pochi milligrammi del quale, iniettato con una siringa ipodermica, avrebbe fatto riaffiorare i vecchi sentimenti ormai cancellati, consentendo alle persone di provare nuovamente passione, di baciare con affetto i propri figli e fare l’amore finalmente liberi da un’azione freddamente meccanica. L’effetto della “droga emotiva” aveva però una durata limitata e, terminato l’effetto, non restava altro che un vago sentore di sensazioni perdute. Inoltre, il suo utilizzo prolungato poteva avere effetti devastanti sul sistema nervoso provocandone addirittura la paralisi. Per questi motivi, e per la severità delle leggi vigenti, non erano molti quelli disposti a correre simili rischi.

Biografie

Chi non è mai stato affascinato dalle biografie? Chiunque sappia leggere ha sicuramente voluto saperne di più sulle personalità che hanno fatto la storia, coloro che, nel bene o nel male, hanno cambiato il mondo ed il corso della vita della gente. Menti illuminate, profeti, eroi, generali e presidenti di nazioni, imperatori o gente comune che in qualche maniera ha lasciato il segno su miliardi di persone.
Fino a qualche tempo fa nel settore biografie di una libreria o biblioteca che si rispettasse potevi trovare libri che raccontavano le debolezze e gli aspetti nascosti della vita di Napoleone, Marco Aurelio, Giulio Cesare, Aristotele, Alessandro Magno, sino ad arrivare ai giorni nostri attraversando i secoli ed arrivare a JFK, Steve Jobs, Nelson Mandela, Hitler, Stalin, Einstein e così via.
Di recente il livello è un pò scaduto ed anche le biografie hanno iniziato a rispecchiare il decadimento dei tempi. Non più generali di armate, feroci dittatori, martiri o Presidenti di nazioni. Hanno iniziato a farsi avanti le star dell’effimero, coloro che non hanno letteralmente fatto un cazzo per cambiare il mondo ma che rispecchiavano l’abisso di ignoranza e pochezza in cui il mondo stesso è precipitato.
Niente più martiri, santi, eroi… il popolo bue ha perso interesse per certe icone, le quali, a dire la verità, sono anche scomparse dal panorama storico per lasciare il posto ad attori, attrici, calciatori e sportivi in generale.
Ok, non c’è nulla di male per chi ha voglia di scoprire come è morta Marilyn Monroe, a chi vuole conoscere il carattere di John Mc Enroe o Andre Agassi, in fondo anche loro sono state leggende nel loro settore di competenza anche se non hanno cambiato il mondo.
Poi arriviamo ai tempi odierni ed ecco che l’orrore delle biografie libresche tocca un fondo che non può essere superato.
Gente che neanche sa parlare la sua lingua (parlo dell’italiano per appartenenza etnica) si cimenta nella scrittura che è cosa sacra. Scrivere un libro è comunicazione, trasmissione di concetti e pensieri che raggiungono un numero infinito di persone, è una responsabilità che va usata con cautela.
Oggi in testa alle classifiche di vendita chi ci trovate? le biografie di Totti, Marchisio, Buffon, insomma carneadi che non hanno molto di più da raccontare che se scrivesse una biografia la signora Immacolata, portinaia di uno stabile di Bari.
Eppure vendono, le persone li leggono anche se è chiaro che non li hanno scritti loro perchè neanche azzeccano due congiuntivi di fila.
Lo spunto mi è venuto perchè proprio oggi ho letto che un calciatore strapagato dell’Inter ha scritto a 23 anni una biografia che ha scatenato critiche tra tifosi forse più ignoranti di lui.
Mi chiedo e vi chiedo? Ma come cazzo si fa a scrivere una biografia a 23 anni quando sei nessuno e la vita ancora deve iniziare? Ma il peggio è per i poveracci che spendono soldi per questo…per certa gente è sicuro che non c’è alcuna speranza di evoluzione.
Aridatece baffone….

L’uomo delle monetine

La piccola Bosa sembrava una di quelle bambine venute fuori dalla copertina di un libro, bionda con le treccine e due occhioni azzurri in cui sembrava che si specchiasse il cielo. La sua allegria e la risata erano contagiose, faceva letteralmente innamorare tutti coloro che avevano la fortuna di conoscerla, pareva quasi che non appartenesse a questo mondo, tanta era l’allegria e serenità che riusciva ad infondere alle persone con cui riusciva a parlare con quel suo linguaggio da piccola filosofa in erba sorridente. “Bosa, come mai sorridi sempre?” E lei di rimando “Perché non dovrei? Non ti accorgi di quanto è bella la vita?”. Se riuscivi a scambiare qualche parola con lei ti dava risposte disarmanti a cui non si riusciva a dare risposte “da grandi” e ti costringevano a riflettere su quello che era il suo punto di vista, così lontano dai problemi che ti affliggono nel corso di una giornata come tutte le altre.

Un giorno, in una meravigliosa mattina di primavera, Bosa era a passeggio con la sua mamma in una via del centro, quando la sua attenzione venne attratta da un uomo che faceva roteare in aria una monetina. Con l’attenzione tipica dei bambini alle cose banali, si accorse che quella monetina, a volte, scompariva in aria, provocando un soddisfatto sorriso sulla faccia di quell’uomo, che provvedeva a sostituirla con un’altra che prendeva dalla sua tasca.

Bosa sciolse la sua mano, stretta a quella della mamma, e corse verso quell’uomo guardandolo dal basso verso l’alto. “Come riesci a farlo?” Gli chiese.

“Semplicemente le mando da un’altra parte” rispose lo sconosciuto, per nulla disorientato dalla domanda che gli aveva posto a bruciapelo quella bambina dagli occhi azzurri come il cielo che li sovrastava in quel momento.

“E tu sai dove vanno a finire le monetine che stai lanciando in aria?” chiese Bosa pendendo dalle sue labbra.

“In un mondo vicino…ma troppo lontano per chi non riesce a vedere” rispose enigmaticamente l’uomo.

“Tu vieni da quel mondo?” insistette la piccola.

“Adesso sono qui perché mi vedi e sono con te, ma se volessi potrei andare anche lì”.

“Com’è il mondo dall’altra parte?” gli chiese Bosa.

“Esattamente uguale a questo, cambiano soltanto i pensieri delle persone, solo che esistono persone nuove, mentre altre non ci sono più. Vedi, questa non è l’unica realtà possibile, ce ne sono infinite altre proprio come tu le vuoi ed altrettante come tu invece temi, tutto dipende dalla tua volontà e dalle tue scelte”.

Le mise in mano una monetina e si allontanò per la sua strada cantando uno strano motivetto:

“Non c’è ieri, non c’è domani…solo il presente è nelle tue mani…”

Favola della buonanotte

Era una irrinunciabile tradizione per Adam quella di leggere la favola della buonanotte a suo figlio Jack prima che si addormentasse. Ma quella sera era troppo stanco ed aveva dimenticato gli occhiali di sotto, quindi si trovò costretto ad improvvisare, andando a braccio.

“C’era una volta una nazione potentissima che governava il mondo ed aveva fatto dei suoi valori di libertà il simbolo di tutto il pianeta. Era una grande nazione piena di eroi e paladini con spade o pistole che andavano in giro per la terra a scovare e ad uccidere tutti i cattivi che sfruttavano la gente, e le gesta di questi eroi erano tutte documentate nei film che tutto il mondo poteva vedere al cinema.

Ma esisteva, in un posto sperduto e molto lontano, un uomo molto cattivo che voleva distruggere questa nazione perchè odiava la ricchezza e la bontà della sua gente. Era un vecchio ammalato con una lunga, ispida barba ed un turbante bianco in testa che viveva sepolto nelle caverne di uno sperduto paese dove anche le capre facevano fatica a sopravvivere.

Era nato in una famiglia molto ricca ed aveva moltissimi soldi ma in quel posto sperduto in mezzo al nulla non sapeva proprio cosa farsene, dato che non c’era nemmeno un negozio e tantomeno un supermercato pieno di cazzate come ci sono qui. Aveva provato anche a comprarsi delle belle macchine ma nel paese in cui viveva non c’erano neanche le strade e quindi le auto si rompevano subito e la sua rabbia crebbe sempre di più nei confronti di tutti quelli che avevano a disposizione delle belle strade asfaltate su cui far correre le loro macchine.

Provò ad ordinare su internet alcuni bei costosi vestiti di stilisti famosi ma era troppo magro e poi la polvere glieli sporcava subito; inoltre non c’erano mai feste in quello sfortunato paese quindi lasciò perdere i vestiti e tornò ad indossare la sua camicia da notte ed il turbante.

Siccome era appassionato di calcio provò, con i suoi soldi, ad acquistare una squadra di calcio del suo paese, che chiamò la Kabullentus e contattò persino Messi e Cristiano Ronaldo perchè andassero a giocare nel suo paese, ma lo mandarono tutti a cagare, compresi i giocatori della serie C turca, quindi abbandonò anche il sogno del calcio.

Allora decise che avrebbe utilizzato tutte le sue risorse per vendicarsi del simbolo della ricchezza, che lui pure aveva ma che non poteva sfruttare.

Acquistò molte armi per compiere una serie di attentati contro quell’odiosa nazione e, quando ereditò tutta la fortuna di famiglia, decise che avrebbe sferrato il grande attacco al centro del potere di quel grande Paese.

Organizzò le cose per dirottare tre grandi aerei che si sarebbero abbattuti sui simboli del potere di quella nazione, uccidendo migliaia di persone e perforando le invalicabili difese per cui quel grande Paese era famoso in tutto il mondo. Una specie di videogame dal vivo, visto che non c’era neanche un negozio dove comprare una Playstation 4.

Perforò quelle difese come burro, i suoi soldati passarono indenni tutti i controlli e si misero al comando di quegli aerei che abbatterono due enormi grattacieli e distrussero un’ala dell’edificio più sicuro del pianeta ed il suo nome divenne famoso, dandogli infinita soddisfazione. Adesso poteva morire felice. E così fu.”

Jack aveva ascoltato la favola con l’attenzione rapita che solo un bambino può avere, ci riflettè un attimo poi, sorridendo, disse al suo papà: “Che bella favola fantasiosa! Ma è impossibile compiere tutto questo da parte di un vecchio sepolto nelle caverne di uno sperduto Paese!”

“Infatti, Jack”, rispose suo padre. “Ma pensa che tutto il mondo se l’è bevuta”.

Dixie

Io sono Dixie e sono una bambola di pezza. In effetti non ho un nome, non ne ho mai avuto bisogno nel mio mondo delle bambole, ma la piccola Agnese, la bambina a cui sono stata affidata, mi ha chiamata così. Certo prima mi ha chiesto se il nome potesse piacermi ed a me è andato bene, breve e simpatico.

Avete mai visto i bambini come sono concentrati quando parlano con noi? Voi credete che stiano fingendo? Ah, no di certo! Tra di noi sappiamo bene come comunicare. Voi adulti avete perso il contatto col mondo della fantasia, quel mondo dove tutto è possibile e dove le vostre stupide regole non contano nulla. Le nostre sono altrettanto valide ma voi non lo capite perchè siete pieni di voi stessi. Non riuscite a vedere oltre la punta del vostro naso, anzi, spesso, non riuscite a vedere neanche quello, infatti vi fate fessi tra di voi tutti i giorni e non ve ne accorgete neppure.

Credete di avere compreso le regole del mondo e ridete dei bambini che parlano con noi, li vedete come creature ingenue ed immature che hanno bisogno di essere guidati ed istruiti secondo le vostre consuetudini che però continuano a causarvi sofferenze e dolore. La riprova è che nessun bambino poi scampa a quella sofferenza e dolore che gli verrà da quello che gli avete insegnato.

La cosa peggiore è che anche voi siete stati bambini ma non ve ne ricordate mai. Anche voi, un tempo, parlavate con noi e ci capivamo. Abbiamo provato a mettervi in guardia ma avete la memoria così intrisa di carriera, di conti, invidia ed arrivismo appresi che avete scordato la meraviglia di stupirsi davanti ad un tramonto o a seguire le mutevoli forme delle bianche nuvole nel cielo.

La piccola Agnese non dorme mai senza di me e tutte le notti le resto abbracciata vegliando sui suoi sogni innocenti che al mattino commentiamo. Voi dormite sempre da soli anche se avete qualcuno di fianco e passate notti buie e senza sogni e quelle volte che ve li ricordate, li avete dimenticati un attimo dopo perchè non date loro nessuna importanza. Noi bambole invece lo sappiamo bene che i sogni sono messaggi dell’anima quando vaga fuori dal corpo e fa esperienze nuove per dirvi qualcosa, ma per voi sono soltanto stupide fantasie e quasi vi vergognate a parlare di loro, incatenati come siete ad una realtà che neanche vi appaga.

Avete fretta che i vostri figli crescano per avere alleati fidati nel vostro mondo limitato, a cui insegnare qualcosa che altri hanno insegnato a voi prima e così sempre nei secoli senza rendervi conto che l’infanzia è quanto più vicino ci sia al paradiso come voi lo intendete.

Agnese presto sarà grande e si dimenticherà di me. Se sarò fortunata mi conserverà in una buia cassapanca che un giorno riaprirà, e, nel vedermi le affiorerà un sorriso. Sarà tutto ciò che mi resta del ricordo di uno splendido periodo che abbiamo vissuto insieme. Ma va bene così.

In fondo è così che va la vostra vita.

Storia zen

C’era una volta un contadino cinese il cui cavallo era scappato. Tutti i vicini quella sera stessa si recarono da lui per esprimergli il loro dispiacere: “siamo così addolorati di sentire che il tuo cavallo è fuggito. E’ una cosa terribile”. Il contadino rispose: “Forse.” Il giorno successivo il cavallo tornò portandosi dietro sette cavalli selvaggi, e quella sera tutti i vicini tornarono e dissero: “Ma che fortuna! Guarda come sono cambiate le cose. Ora hai otto cavalli!” Il contadino disse: “Forse.” Il giorno dopo suo figlio cercò di domare uno di quei cavalli per cavalcarlo, ma venne disarcionato e si ruppe una gamba, al che tutti esclamarono:“Oh, poveraccio. Questa e’ una vera disdetta” ma ancora una volta il contadino commentò: “Forse.” Il giorno seguente il consiglio di leva si presentò per arruolare gli uomini nell’esercito, e il figlio venne lasciato a casa per via della gamba rotta. Ancora una volta i vicini si fecero intorno per commentare: ”Non è fantastico?” ma di nuovo il contadino disse: “Forse.”

Una favola qualunque

Nel regno di Gaianuaku i cittadini godevano di una certa ricchezza dovuta alla bontà e munificenza del loro re, il quale non vessava la gente con tasse e balzelli ma permetteva che tenessero per loro la maggior parte dei raccolti e delle loro ricchezze.

L’agio dei cittadini di Gaianuaku era unico rispetto a quello dei regni vicini che dovevano invece sottostare a tiranni ingordi e disinteressati al benessere dei loro sudditi.

Un giorno il giovane Hermes, giunto con suo padre al mercato di Gaianuaku da uno dei regni confinanti per vendere i loro miseri prodotti, sperando di ottenere un prezzo migliore, rimase molto colpito dalla bellezza del villaggio, delle sue case e dei vestiti dei suoi abitanti che vedeva per la prima volta nella sua vita. Hermes non conosceva il sentimento dell’invidia ma sapeva apprezzare la bellezza e tutto in quel posto gli sembrava meraviglioso, tanto che la sua mente priva di malignità lo portò a pensare che anche la gente del villaggio dovesse essere altrettanto meravigliosa.

In una delle poche pause dal lavoro si sedette su di un muretto a mangiare una mela e si trovò a fare conoscenza con dei suoi coetanei che stazionavano li vicino a chiacchierare tra di loro mangiando succulenti panini con la carne che si guardarono bene dall’offrirgli. All’inizio li trovò simpatici ed incuriositi per quello straniero così diverso da loro ma presto iniziarono a fargli domande su chi era, da dove venisse e ciò che possedeva, come se quello fosse tutto quello che gli interessava sapere. La povertà di Hermes fece cambiare atteggiamento ai ragazzi che iniziarono a schernirlo ed a definirlo “barbone” e “pezzente” prendendosi gioco di lui.

In quel momento un cane, in condizioni davvero penose, passò loro accanto, così magro che sembrava non mangiasse da giorni e quando si avvicinò al gruppo, malgrado l’odore della carne lo avesse attratto, si avvicinò ad Hermes che non potè che dividere metà della sua mela con la sventurata bestiolina.

I ragazzi iniziarono a ridere sguaiatamente tirando pietre alla sventurata creatura, urlando che un pulcioso aveva riconosciuto subito un suo simile e che insieme facevano certamente una bella coppia. Hermes si frappose tra la povera bestiola e quei ragazzi trascinandola via con se fino ad arrivare al carretto di suo padre. Il genitore, appena vide il cane, inveì a sua volta contro Hermes urlando che non voleva quel sacco di pulci accanto al suo carro e che nessuno si sarebbe avvicinato a comprare le sue merci con quella bestia li vicino.

Hermes si perse negli occhi teneri ed imploranti di quello sfortunato cane dicendo al padre che non lo avrebbe abbandonato e che sarebbe rimasto con lui.

Allontanatosi con la bestiola che lo seguiva, si trovò ad attraversare le strade del villaggio mentre la gente si scansava al loro passaggio tirando bucce di patate e deridendoli chiedendosi ad alta voce chi avesse più pulci, se lui o il cane…

Hermes aveva solo seguito il suo cuore ed aiutato una creatura in difficoltà e, per questo, si trovava ad essere deriso e messo ai margini della società. Improvvisamente si trovò a riflettere come tutta quella felicità e quel benessere avessero inaridito l’animo delle persone e quel posto non gli appariva più il paradiso che aveva creduto che fosse.

Proprio in quel momento, mentre evitava l’ennesima pietra che gli lanciavano contro, udì l’avvicinarsi di una carrozza trainata da una schiera di cavalli bianchi e subito si fece da parte avvicinando a sè la povera bestiola.

Giunta alla sua altezza, la carrozza improvvisamente si fermò ed Hermes notò che tutti quelli che fino a poco tempo prima stavano insultandolo e lanciandogli oggetti, si inchinarono. Dalla carrozza ne discese quello che doveva essere il re, seguito da una misteriosa e bellissima fanciulla dall’aria molto triste. Il sovrano e la ragazza venivano proprio nella sua direzione ed Hermes ritenne che fosse opportuno inchinarsi al re ed a quella che, con ogni probabilità era sua figlia la principessa. Notò anche che il suo nuovo amico a quattro zampe stava dimenando la coda alla vista della ragazza che stava venendo loro incontro.

“Angel!” gridò la ragazza appena vide il cane, correndogli incontro ed abbracciandolo. La bellissima ragazza sembrò aver ritrovato un sorriso che doveva aver perso da tempo mentre ricopriva di baci il cane.

A quel punto avvenne una cosa strana. Sembrò che la bestiola stesse comunicando alla principessa che quell’incontro e la sua salvezza fossero dipesi da quel giovane male in arnese che il cane continuava a guardare.

“Come ti chiami, giovane straniero?” chiese ad Hermes la principessa.

“Hermes, vostra altezza. Sono venuto dal vicino regno di Soul per vendere con mio padre le nostre merci. Qui è tutto meraviglioso e ricco, ma l’unico amico che ho trovato è stato lui” fece indicando il cane.

“se vorrai, giovane Hermes” disse il re intromettendosi nel discorso, “sarò felice di averti ospite d’onore a palazzo dove potrai avere un lavoro e tutte le ricchezze ed i privilegi che desideri perchè grazie a te mia figlia ha ritrovato il sorriso”.

Il ragazzo accettò volentieri, riflettendo su come la strada verso il paradiso passasse attraverso l’amore per qualunque forma di vita bisognosa d’affetto piuttosto che nella ricerca affannosa dell’inutile riconoscimento sociale.

La straordinaria storia di una foca

Al quinto giorno della faticosa creazione della Terra e di tutti gli esseri che l’avrebbero abitata, Dio si trovò a dover organizzare la dislocazione delle sue creature, come se dovesse appiccicare le figurine su un album completamente vuoto. Si convinse che un compito del genere poteva essere affidato ad un software del suo computer che aveva appositamente creato con il simbolo del primo frutto da Lui ideato, la mela, che però quell’ingordo imbecille di Adamo aveva morsicato malgrado il suo espresso divieto, sobillato dalla sua dolce metà, tale Eva che fin da subito gli stava creando problemi di ordine e disciplina. Si appuntò che avrebbe dovuto correggere quelle sbavature creative, ma in seguito gli passò di mente.

Guardò con disappunto il suo PC con la mela morsicata e studiò un’app che sistemasse tutti gli esseri viventi nelle zone del globo più adeguate alle loro caratteristiche.

Sarebbe bastato inserire il nome e la foto di ogni singolo essere nel riquadro dell’app, che ribattezzò “Animal house”, per ottenere la zona più appropriata in cui far nascere i primi esemplari di quella specie.

Ai suoi esseri prediletti, uomo e donna, aveva riservato un posto privilegiato nel resort a 5 galassie extralusso che aveva chiamato “Eden”, da cui aveva bandito i due maggiori flagelli, le malattie e la politica, ma la loro bravata d’esordio alla sua mela lo aveva fatto veramente incazzare, al punto che si era riproposto, per i prossimi 20 milioni di anni, di non farli mai più entrare e di sistemarli invece sul pianeta insieme a tutti gli altri, con annessi di malattie, cataclismi e politici dementi così avrebbero imparato a vivere. “Tra qualche milione di anni vediamo come si comportano e poi eventualmente deciderò se ammetterli nell’Eden”, si disse (da fonti autorevoli si è venuto a sapere che, in base alla situazione attuale, ciò non avverrà mai).

Volendo comunque mettere alla prova le loro abilità in condizioni differenti, sparse gli uomini un pò a caso su tutto il globo, mandando quelli dalla carnagione più chiara nei posti con poco sole e quelli dalla pelle più scura laddove il sole batteva implacabile tutto l’anno, in modo tale che l’abbronzatura non diventasse uno status symbol e si sentissero tutti uguali, per il resto si sarebbero arrangiati.

Poi prese ad inserire i dati di tutti gli animali nell’app “animal house” e distribuì questi ultimi in base alle zone in cui le loro caratteristiche avrebbero trovato facile adattamento per la sopravvivenza.

Non si accorse che, per un bug nel programma, la foca, la quale avrebbe dovuto essere mandata principalmente ai poli per le sue evidenti caratteristiche, venne invece spedita in Africa.

Subito la foca si rese conto che qualcosa non andava. Quasi tutti gli animali che vedeva intorno avevano lunghe zampe con cui correvano come matti, chi inseguiva e chi era inseguito, uno in particolare la stupì. Aveva il collo così lungo che la foca, che invece il collo non lo aveva neanche, non riusciva neanche a vedere dov’era la testa…pensava che avesse la testa fra le nuvole. Poi si rese conto che a lei piaceva un sacco il pesce, ma di pesce lì intorno neanche l’ombra…poi con quel maledetto caldo si sarebbe accontentata anche soltanto dell’ombra senza il pesce.

Quindi fece di necessità virtù e si fece vegetariana. La prima volta che provò a mangiare verdure stette malissimo.

Una volta si trovò a tu per tu con un leone. Il bestione aveva un fare minaccioso ma la guardava con stupore. Lui evidentemente aveva concluso che le prede commestibili bisognava catturarle correndo, insomma il pane se lo doveva sudare, invece quella foca stava lì immobile che lo fissava coi suoi occhioni senza muoversi. Pensò che sicuramente non era buona da mangiare.

Ben presto tutti si accorsero che la foca, per quanto simpatica e carina, in quell’ambiente combinava soltanto disastri. Gli animali, nelle loro folli corse, inciampavano su di lei, o venivano schizzati dal fango quando trovava qualche pozzanghera con un pò d’acqua dove cercava di sguazzare e la intorbidiva tutta. E poi quel dannato caldo…

Un giorno decise di spingersi un pò oltre quell’ambiente inospitale ed arrivò alle porte di una missione dove una monaca la trovò che saltellava con difficoltà e visibilmente provata. La monaca realizzò che dovesse trattarsi di quell’animale strano di cui tutti parlavano nella savana, che faceva fare uno strano verso a tutti gli animali quando se la trovavano tra le zampe… “fo-ka” “fo-ka”, probabilmente era un abbreviativo per “fo kasino” e quindi la foca venne accolta nel villaggio e le venne dato il nome di Reicel.

Si trovò ben presto più a suo agio in quel nuovo contesto e tutta la gente del villaggio, principalmente i bambini, le si affezionarono moltissimo. Faceva versi buffi ed aveva doti che tutti iniziarono ad apprezzare col tempo. Aveva uno splendido carattere ed anche uno straordinario senso dell’equilibrio, dentro e fuori, infatti una volta che un bambino aveva provato a lanciarle una palla, Reicel era riuscita a tenerla sul muso immobile senza farla mai cadere, sintomo di grande intelligenza e concentrazione. Ogni bambino del villaggio voleva stare con lei a giocare e la foca trascorreva le ore con loro molto volentieri.

Un bel giorno Dio, facendo una verifica della situazione degli esseri viventi sulla Terra, si accorse di aver commesso un imperdonabile errore: aveva mandato la foca in Africa! Ma anche lui forse commise un secondo errore e rimandò la foca nel suo habitat preassegnato.

Una volta arrivata al polo la foca si rese conto di essere una delle tante, di non essere più apprezzata per le sue doti e qualità e, anche se c’era un sacco di pesce da mangiare ed acqua a volontà, faceva un pò troppo freddo per i suoi gusti. A quel caldo ci aveva ormai fatto l’abitudine. E poi non c’erano nè palle nè il sorriso dei bambini con cui giocare, niente risate, niente divertimento, la notte durava mesi interi ed il sole non scaldava. L’unica caratteristica che aveva conservato era quella di combinare casini nuotando ed andando a sbattere contro tutti quelli del branco di cui faceva parte. Poi c’erano tanti animali, in acqua e fuori che volevano mangiarsela.

La foca, quindi, ben presto finì con l’intristirsi, non si sentiva apprezzata, non riusciva a trovare un ruolo nel branco che le desse soddisfazione, quindi chiese a Dio di farla ritornare dai suoi bambini in Africa, dove aveva conosciuto la felicità e l’amore per le cose semplici.

“Ma una foca che si rispetti deve stare nel mare” disse Dio allorquando udì la supplica della sua creatura. Però, resosi conto che la foca era molto triste, nella sua benevolenza l’accontentò, e lei potè tornare finalmente a sorridere tra i suoi bimbi.

Non è detto che il luogo in cui nasci, con le regole e le comodità che vengono ritenute le migliori, sia il posto adatto a te. Il tuo posto è ovunque sorride il tuo cuore.