Month: febbraio 2015

Pensieri e realtà

Tutto è energia. Il letto su cui dormiamo, la casa in cui abitiamo, il cibo che mangiamo. Noi stessi siamo forme di energia solo un pò più complessa. Lo ha dimostrato il grande Albert Einstein con la sua famosa e rivoluzionaria formula E=mc2. Quasi tutti la conoscono ma pochi sanno l’effettiva e sconvolgente portata di quella semplice formula. In parole semplici essa afferma che l’energia è equivalente alla massa contenuta o emessa da un corpo, laddove “c” è la costante determinata dalla velocità della luce.

Ogni massa può convertirsi in energia e, di converso, l’energia può trasformassi in massa anche se a noi umani questo poco importa dato che non abbiamo a che fare con nulla di questo nostro mondo fisico che viaggi alla stessa velocità della luce.

E se invece noi uomini avessimo esperienza quotidiana con qualcosa che può viaggiare a simili velocità senza rendercene conto? I nostri pensieri, per esempio. Chi ha mai calcolato la velocità di un pensiero? eppure sono decine di migliaia quelli che ci passano per la mente ogni giorno.

Ma se tutto è energia, perchè non possono esserlo anche i pensieri? Questo è poi quello che affermano anche molti scienziati di recente. Ne deriverebbe che essi possono per questo influenzare la materia, prima fra tutte, quella del cervello che li ha generati. Essi ispirano i sogni e le invenzioni, provocano attrazione o repulsione tra esseri umani, modellano i nostri livelli di consapevolezza e ci portano a prediligere certe cose a scapito di altre.

Edgar Cayce diceva che i pensieri sono cose e possono creare crimini o miracoli. Vero.

Credo quindi che la nostra realtà sia il risultato dei nostri pensieri, quell’energia che riusciamo, in qualche maniera misteriosa, a trasformare in massa sulla base dell’equazione einsteiniana.

Se pensiamo con la mente e le credenze di altri, che ci sono state trasmesse e che abbiamo appreso, formeremo una realtà che non è nostra, per questo è necessario andare il più possibile a fondo di noi stessi, della nostra più vera entità e dar libera espressione a quelli che sono i pensieri che sentiamo essere solo nostri, difenderli senza vergognarcene, anche se non sono “alla moda”, perchè solo allora saremo in grado di creare la nostra vera realtà e vivere più felici.

Il ventriloquo

Daniel era un noto ventriloquo. Si era esibito sui più famosi palcoscenici del mondo insieme al suo pappagallo di pezza a cui aveva dato il nome di Gonzalo e gli faceva dire tutto quello che voleva senza che nessuno si accorgesse che il suono delle sue parole veniva dal suo diaframma invece che dalla bocca di Gonzalo che si apriva e si chiudeva, ovviamente manovrata da lui.

Questo sdoppiamento del suo volere, tra atto fisico ed effettiva volontà, lo aveva sempre stupito ed affascinato, al punto che non si rendeva conto nemmeno lui di come fosse possibile questo tipo di dialogo scisso tra la sua mente ed i suoi pensieri da una parte e l’uccello finto dall’altra, che, suo malgrado, era diventato il protagonista di tutti i suoi spettacoli.

Fu durante la lettura di un libro di Alberto Moravia, ” Io e lui”, che gli avevano regalato ad un compleanno, che a Daniel venne un’idea balzana. Si chiese se questo tipo di dialogo potesse funzionare anche al contrario, sfruttando le sue capacità. Per sperimentare questa teoria doveva instaurare un dialogo con una parte di se stesso, non poteva essere altrimenti, e quindi se funzionava con Gonzalo che era il suo uccello finto, Daniel si chiese se poteva dar voce al suo uccello vero che fino ad allora lo aveva sempre in un certo senso guidato ma a cui non aveva mai dato voce autonoma.

Aveva sempre avuto sane ed irrefrenabili pulsioni sessuali con le molte donne con cui aveva avuto a che fare, niente di anormale, ma quando gli si paravano davanti sperimentava, a livello inconscio, quella sensazione di sdoppiamento che era solito mettere in scena nei suoi spettacoli dando voce a Gonzalo. Si rendeva conto che i suoi pensieri e desideri non corrispondevano affatto a quello che veniva espresso dalle sue parole nei dialoghi con il gentil sesso, così mentre si trovava a pensare ” hai delle tette da urlo, ci perderei le ore a toccarle”, si trovava a parlare di situazioni familiari o del senso della vita cercando frasi ad effetto che potessero colpire la sua interlocutrice. A volte funzionava, altre volte no.

Fu così che un bel giorno decise di effettuare un esperimento, forte delle sue doti professionali, e quindi si concentrò nel dar voce al suo uccello nel dialogo che gli fosse capitato con la prossima ragazza con cui sarebbe uscito. Per entrare completamente nel ruolo, si vide costretto a dare un nome al suo pisello. Se funzionava con Gonzalo, avrebbe dovuto senz’altro funzionare con lui, e chissà cosa sarebbe successo.

Era curioso ed emozionato, quindi decise di ribattezzarlo Cirillo, in nome del suo bisnonno che gli avevano raccontato fosse morto durante una scopata con una donna inglese in tempo di guerra…non aveva mai saputo se fosse verità o solo una leggenda familiare, ma gli faceva comunque piacere dedicare quella nuova impresa al suo sconosciuto e leggendario parente.

Dato che non poteva arrivare impreparato all’appuntamento, si esercitò per intere giornate a dar campo libero a Cirillo senza che i di lui pensieri fossero filtrati dalla mente conscia di Daniel. Con sua incredibile sorpresa scoprì che Cirillo aveva in effetti un cervello, una volontà, o comunque lo si voglia chiamare, tutto suo che dialogava in qualche modo con l’effettivo cervello razionale di Daniel, solo che quest’ultimo, per consolidata abitudine, poneva una stretta censura a tutto quello che veniva fuori dai pensieri lascivi di Cirillo, i quali, inevitabilmente, non avevano voce propria, ma restavano confinati nell’inconscio di Daniel confusi con quelli della sua coscienza.

Finalmente arrivò la sera tanto attesa per il rivoluzionario esperimento, in cui il ventriloquo aveva imparato a lasciare campo libero a Cirillo senza frapporre i filtri automatici della ragione derivanti dai suoi pensieri dettati dalle regole su come ci si dovesse comportare in determinate situazioni.

Se funzionava avrebbe scoperto un mondo, se non fosse andata bene avrebbe fatto un buco nell’acqua ed avrebbe preso un bel due di picche. Non sarebbe stata la prima nè l’ultima volta, quindi…pazienza.

Proprio per non avere rimpianti su un’occasione sprecata decise di tentare con una ragazza che aveva conosciuto qualche anno prima e che aveva incontrato saltuariamente senza che fosse mai successo nulla. A dire il vero non era proprio niente di speciale ma quella sera si sentiva come Enrico Fermi quando doveva dimostrare che anni di studi sulla bomba atomica potevano funzionare veramente per cambiare il mondo.

Prese contatti con la cavia prescelta, Agnese, e fissò un appuntamento a cena utilizzando ancora la testa di Daniel quantomeno per l’organizzazione logistica dell’incontro. Una volta di fronte alla sua interlocutrice, avrebbe lasciato campo libero a Cirillo e sarebbe stato a vedere cosa sarebbe successo.

L’appuntamento era alle 20,30 al ristorante “Sakamoto”, il miglior giapponese della città. Cirillo, come location, non si sarebbe accontentato di nulla di meno per il suo esordio nell’approccio con una donna. Si salutarono con circostanza e presero posto a sedere. In quel preciso istante, Daniel iniziò a ad usare la sua bocca, oltre che per gustare l’ottimo cibo, anche per dar campo libero e voce a Cirillo. La sua mente, almeno per quella sera, poteva essere compiaciuta spettatrice di tutto quello che sarebbe successo.

Il buon Cirillo non poteva certo attingere ad argomenti elaborati e culturali alla pari del cervello di Daniel quindi partì in quarta con il sesso in cui invece era un maestro. A dire il vero non lo fece in modo volgare ed aggressivo, ma dimostrò invece di possedere un notevole savoir faire unito ad adeguata spregiudicatezza. Argomenti eleganti e diretti conditi da complimenti sull’aspetto fisico di Agnese che dimostrava di apprezzare molto le attenzioni.

Tutti i segnali corporei della ragazza stavano a dimostrare che l’argomento, accompagnato dai complimenti, la intrigava alquanto. Iniziò con l’attorcigliarsi ciocche di capelli, continuava a toccarsi il collo, a giocare con l’accendino di Daniel, fino ad arrivare a fare gesti inequivocabili con il dito sull’orlo del bicchiere.

Daniel era davvero stupito su come le donne si lasciassero intrigare molto di più dagli argomenti diretti del cervello nascosto degli uomini rispetto a quello ufficiale che spesso commetteva errori imperdonabili. Del resto Cirillo non mentiva mai e questa era una dote che le donne apprezzano molto, mentre dimostravano di accorgersi da minimi dettagli quando lo stesso uomo cercava di prenderle per il culo.

Cirillo, in quel momento, gli stava dando una lezione di vita ottenendo risultati di molto superiori ad ogni sua più rosea aspettativa. Più volte la sua mente conscia si era trovata in disaccordo sulla temerarietà degli assunti cirillici e lui si era trovato umoristicamente a pensare che fossero proprio degli “argomenti del cazzo” ma continuò a lasciarlo fare, in fondo l’esperimento doveva concludersi fino alla fine.

Giunti alle ultime battute della cena, allorquando era arrivato il momento di decidere se e come proseguire la serata, Cirillo manifestò, per bocca di Daniel, la volontà di un pò di appassionata intimità per “andare più a fondo in quella meravigliosa conoscenza” che aveva avuto luogo in quelle ore, accompagnata da un buon bicchiere di porto che magari le avrebbe fatto rivelare qualche altro segreto che ancora non era stato scoperto della sua appassionata e spregiudicata personalità.

Una volta in auto, Daniel decise inopinatamente di riprendere in mano il filo del discorso, togliendo voce a Cirillo e riprendendo le redini dell’incontro, ormai convinto che la serata di sesso fosse cosa acquisita. Iniziò a parlare di progetti di vita e pettegolezzi su amicizie comuni che lasciarono alquanto interdetta Agnese, la quale forse percepì un certo cambiamento di rotta nella linearità della serata. La banalità del discorso, una volta giunti sotto casa di Daniel, aveva provocato un brusco cambiamento degli intenti della ragazza, la quale espresse la volontà di essere riaccompagnata a casa con il pretesto che l’indomani avrebbe dovuto alzarsi presto per svolgere del lavoro che aveva in arretrato. Daniel, suo malgrado, l’accontentò e rientrò a casa da solo.

Mentre apriva la porta di casa, si ritrovò a pronunciare un “vaffanculo!” ad alta voce ed alla fine si addormentò chiedendosi se fosse stato effettivamente lui a maledire se stesso ad alta voce oppure se Cirillo aveva comunque voluto dire l’ultima, sintomatica frase di quella strana, inconsueta serata.

Lo sconosciuto

Chi siamo noi? Questo dovremmo saperlo, almeno credere di saperlo anche se a volte ci stupiamo da soli per ciò che facciamo o pensiamo, quindi davvero possiamo dire di conoscerci?

Ma come si fa a conoscersi davvero? Siamo sempre vissuti con noi stessi, in fondo non ci siamo mai separati neppure per un istante, ma forse abbiamo dato per scontate cose che non erano del tutto scontate. A chi non è mai capitato di avere reazioni inconsulte di cui ci si è pentiti o stupiti immediatamente dopo? Allora quale parte di noi è affiorata in quel determinato momento? Forse qualcosa che cerchiamo di nascondere anche a noi stessi, qualcosa che non accettiamo faccia parte della nostra persona e del nostro carattere.

Avete mai pensato che non vi siete mai visti veramente? Voi siete dentro quel corpo, siete quel corpo e la conoscenza che ne avete è alquanto indiretta, attraverso delle foto o uno specchio. E quante volte vi capita di non piacervi in quelle stesse foto o in quello stesso specchio? Comunque resta una conoscenza indiretta. Foto e specchio rimandano un’immagine che il più delle volte non è mai quella reale, per cui affermare che non vi siete mai visti e mai potrete vedervi è un dato di fatto inconfutabile.

Stesso discorso per la nostra voce. Suono e timbro percepito da noi stessi mentre parliamo è completamente diverso da quello percepito dagli altri. Avete mai provato ad ascoltare la vostra voce registrata? Irriconoscibile.

Ma allora siamo davvero così sconosciuti a noi stessi? Per quanto riguarda l’esterno abbiamo visto di si, forse perchè l’esterno non ha molta importanza (anche se per la maggior parte degli esseri umani sembra sia l’unica cosa essenziale), ma chi non cerca almeno di conoscersi internamente allora è destinato per sempre a restare un estraneo a se stesso. Un destino terribile, a ben pensarci. Convivere tutta la vita nel corpo e nella mente di uno sconosciuto.

Deve esistere una conoscenza che è molto più grande di noi e può essere raggiunta attraverso l’amore e la solidarietà totale ed incondizionata tra tutti gli esseri umani che sono in qualche maniera tutti collegati gli uni agli altri. Ma la società ed il suo stile di vita ci sta spingendo sempre di più verso l’isolamento e la solitudine, il vero male di questi tempi, che ci porta a metterci l’uno contro l’altro, nell’affannosa, inutile ricerca dell’affermazione di un ego che, da solo, non può arrivare da nessuna parte. Sconosciuti tra gli sconosciuti.

E’ facile comprendere chi resta aggrappato alle apparenze, alle mode ed alle infinite frivolezze della vita, esse sono un porto sicuro con regole precise e ben conosciute, un gioco con rigide istruzioni a cui adeguarsi. Chi le segue ha diritto a sedersi al tavolo dei giocatori, chi non le segue è fuori.

Io ho deciso di alzarmi da quel tavolo, non condividevo le regole e non mi piacevano molto i giocatori ma mi rendo conto che la strada è impervia, buia e sconosciuta per chi ha il coraggio di avventurarsi su sentieri che in pochissimi cercano di percorrere. Nessun punto di riferimento, solo una bussola che ci è stata data dalla nascita ma che non è mai stata usata.

Per questo bisogna credere sempre e solo in se stessi. Anche se gli altri ti sono contro, difendi sino alla morte le tue idee, sono le tue e non devi rinunciarci per sposare quelle di un altro. Le idee sono come i figli, non puoi rinnegarli anche se non sono perfetti, ma sono i tuoi e devi difenderli a qualunque costo.

Essere coerenti con le proprie idee è il vero modo di essere liberi. Seguire una moda significa non avere idee proprie, vuol dire che hai bisogno che qualche altro ti dica cosa fare, come devi vestire, dove devi andare a divertirti, cosa mangiare, cosa dire, cosa guardare alla TV, insomma diventi un burattino che non ha in mano i suoi fili, li ha qualcun altro e ti farà andare dove vuole lui, non dove decidi tu.

Pensa sempre con la tua testa, non cercare riscontri o approvazioni, non saranno mai unanimi e finiranno col privarti delle tue sicurezze. Non cercare consigli, anzi cerca, nei limiti del possibile, di non darne. I consigli sono giudizi travestiti e qualunque realtà va osservata, non giudicata per essere compresa. I giudizi, poi, sono come le impronte digitali, ogni essere umano sulla terra ha i suoi e quindi sono ciò che di meno obiettivo esista, frutto dell’esperienza di vita di ognuno.

Se vuoi davvero cambiare la tua vita cerca di non cambiare mai te stesso…

Intuizione

Intuizione è un attimo, una scintilla, un improvviso squarcio nella nebbia del quotidiano. E non arriva da sola, no. E’ ispirazione, capacità creativa, estro. Chi pensa che siano solo colpi di fortuna si sbaglia di grosso. L’intuizione è metodo, pensiero voluto, evoluzioni mentali…e molta chimica. L’intuizione è l’altra faccia della sensibilità. Se sei arido non intuisci le emozioni, le menti degli altri ti sono precluse e non riesci ad avere feeling. La sensibilità però ti porta su un piano pericoloso, perchè capisci i sentimenti prima che si manifestino, riesci ad assorbire emozioni nascenti, ti appropri di sguardi che non sono tuoi, rubi frutti ancora acerbi. Non sempre è positivo. L’intuizione rompe l’apparenza e genera una sensazione impercettibile che ti striscia lievemente addosso, calma e placida, a volte immobile, che resta così anche per un tempo infinito senza che tu riesca a darle retta. Poi torna ad accendersi il pensiero, la nebbia si dirada e la razionalità torna a governare tutto, riportando le cose nella loro scontata ovvietà…