riflessioni

L’estate sta finendo

e un anno se ne va… questo è stato un tormentone di una canzone dei Righeira in voga parecchi anni fa. Meglio non ricordare l’anno altrimenti il peso dell’età mi cade addosso tutto in una volta e rischio di rimanere schiacciato.
Questo periodo atteso un anno intero da tutti volge al termine ma, come tutte le cose della vita, anche questo è soltanto un punto di vista.
Lo è perché vale per noi che viviamo in questa fascia di mondo, per uno che vive in Jamaica dire che è estate o inverno non fa nessuna differenza. Provate a dire che arriva l’estate ad uno che vive in Argentina, certamente si intristisce perché la collega all’arrivo di freddo e gelo mentre si illumina quando sa che sta per arrivare l’inverno.
Insomma anche il perenne fluire delle stagioni è una questione di prospettiva, sociale, ma sempre di prospettiva. La realtà è una visione al nostro cannocchiale della vita e dobbiamo renderci conto che ciò che vedo io nel mio strumento potrebbe essere molto diverso da quello che vede un’altra persona anche se lo abbiamo puntato sullo stesso panorama. Spesso descriviamo cose diverse e perciò non ci capiamo.
A prescindere da questo, suppongo che le vacanze estive siano per la maggior parte delle persone uno dei tre grandi spartiacque dell’anno assieme al capodanno ed al compleanno. Sono le tre grandi boe attorno alle quali girano, come barche a vela durante una regata, una quantità indefinita di buoni propositi, la maggior parte dei quali, se non quasi tutti, è poi destinata a naufragare.
“Al rientro si cambia”, quante volte abbiamo sentito da altri o pensato noi stessi queste parole? Che sia per il lavoro che “così non va”, o per il fumo (“devo assolutamente smettere”) o per la tanto rinviata iscrizione in palestra o per qualsiasi altro proposito che riteniamo importante per la nostra vita, la ripresa della vita abitudinaria nelle città in cui viviamo, ci piace pensarla come una rinascita, un qualcosa che le ferie dal lavoro, comunque le si sia passate, hanno sottratto ad una monotonia che ci spinge a fare sempre le stesse cose e che ci toglie l’entusiasmo di andare a cercare qualche novità o addirittura a cambiare vita. Già, cambiare vita, perché no? Quanti di voi sarebbero disposti a cambiare tutto? A mollare il lavoro e trasferirsi altrove a ricominciare?
Tanti io credo, molti addirittura non lo ammettono neanche a se stessi, adducendo i mille problemi che impedirebbero una vera rinascita quali la famiglia, il lavoro o…boh.
Spero che, se non riuscirete ad aprire un baretto sulla spiaggia ai Caraibi o in qualche altro posto, almeno abbiate la forza di smettere di fumare o di iscrivervi in palestra…

Comunicazione inconscia

A volte capita di percepire la presenza di persone che comunicano, senza volerlo, qualcosa di importante anche senza che le conosciate, anche se le vedete per la prima volta, anche se non sapete affatto chi sono, perchè misteriosamente stimolano la vostra curiosità, da come si muovono, dagli sguardi che hanno, che non sono adatti a quelle persone con cui si accompagnano in quel momento, perchè c’è un velo di insoddisfazione che voi percepite e quegli altri no. Semplicemente non sono nel contesto adatto a loro. Sanno fingere abilmente e col sorriso, perchè sono forti, sanno che nella vita ci può essere di più di quello che stanno vivendo, ma si vivono il momento e va bene così.
Si capisce che forse sono prigioniere di una situazione che non hanno cercato ma che si fanno andar bene perchè hanno abbastanza forza per reagire ed aspettare che qualcuno, arrivato chissà come e chissà da dove, colga quel velato disagio, comprenda quell’invisibile messaggio. Quelle persone si guardano sempre attorno, al contrario di altre che si mostrano soddisfatte o rassegnate, con un sorriso triste rivolto verso il basso.
Sono messaggi inconsapevoli che trascendono i normali canali di comunicazione, ma se si impara a coglierli si può dialogare anche con un sorriso, per far capire di aver capito. Può finire lì oppure no, non ha molta importanza, il destino farà la sua parte.
Sono cose rare e sono le conoscenze teoricamente più profonde, che generano curiosità reciproca, perchè il linguaggio verbale non è la principale fonte di comunicazione, anzi.
A parte le persone profondamente innamorate e perciò già “connesse”, quel linguaggio senza parole risulta sconosciuto a chi non ha le “antenne” per captare una trasmissione che forse viene da una dimensione che non ci è ancora nota ma che esiste e che può rivelare sempre piacevoli sorprese per il futuro.

Pubblicità regresso

Premetto che da molto tempo ho smesso di guardare la TV, che reputo un mezzo inutile e dannoso finalizzato esclusivamente a rendere stupidi miliardi di persone più di quanto già non lo siano di loro.
Certo non è un’affermazione assoluta, nel senso che qualche grande evento sportivo come i tornei dello Slam di tennis o grandi incontri di boxe li guardo ancora e quando si ha a che fare con quell’arnese diabolico non si può sfuggire a quello stalking demenziale che è la pubblicità.
Tralasciando “l’inquinamento da sponsor” di ogni programma e l’inquietante fenomeno dei messaggi subliminali, volevo fare qualche riflessione sulla pubblicità più classica, quella degli spot che fracassano i marroni ogni dieci minuti ai poveri telespettatori.
Che sia TV di stato, privata o a pagamento, gli spot televisivi, in questa epoca di degrado, sono diventati messaggi di una stupidità tale che ti vien voglia di redigere un quadernetto di quelle aziende per porti l’obiettivo di non acquistare mai i loro prodotti. Ne guadagnerai in termini economici e di salute.
A parte il fatto che, per definizione, la pubblicità deve “imbrogliosamente” osannare articoli inutili (altrimenti non ce ne sarebbe bisogno), fate caso prima di tutto a cosa si riferiscono.
Uno spot su due o su tre è di automobili, che non è proprio una merce che uno acquista ogni settimana, seguono farmaci o parafarmaci o vitaminici che non servono a un cazzo e tendono a convincerti che sei malato quando sei perfettamente sano, poi, a seguire, scommesse on line, detersivi, würstel ed altri veleni di cibi pronti o surgelati, patatine fritte, bibite gassate, profumi con testimonial che cuccano come pazzi (e te credo), telefonini, shampoo antiforfora, assicurazioni, calze e mutande, lustracessi e compagnie telefoniche.
Tutta robaccia inutile, espressione del livello di follia schizofrenica di gente che vuole solo venderti ciarpame dannoso indorando il suo messaggio con il piacione, il calciatore o la figa di turno strapagati che mai useranno quegli stessi prodotti. Sono lì per arricchire se stessi e prendere te per il culo.
Si sa perfettamente che quello che fa vendere molti di questi prodotti è solo il loro status symbol, il sentirsi superiori, diversi, staccati dalla massa, ostentando qualcosa che ci renderà particolari, come se chi non ha questi autentici insulti alla ragione fosse un fallito, uno che non ha capito nulla della vita. Del resto, tutto il sistema della attuale crescita si basa sull’inutile, il dannoso, il superfluo, sull’ostentazione.
Con questa forza irresistibile supportata da una pubblicità ossessiva e costosissima, il sistema compra le menti e i voleri delle persone deboli. Torniamo a dire no. Ciò che è inutile e di cui non ho bisogno, io non lo compro. Abbiamo bisogno di aria e acqua pulita, di cibo sano, di relazioni sane, di energia pulita, di un tetto sopra la testa; non ho bisogno di quasi tutto quello che mi proponete e non lo compro. Che crolli il PIL, che chiudano fabbriche inquinanti e che la gente lavori a cose più sane, serie e soprattutto utili.

Maschere

Il grande Osho diceva che noi non siamo la nostra personalità. Che questa è solo una maschera che portiamo, non è la nostra vera realtà, il nostro volto originale. Essa andrebbe quindi distrutta per scoprire la nostra individualità.
L’individualità quindi sarebbe la nostra vera essenza, mentre la personalità non è altro che quello che la società ha fatto di noi, o sta cercando di fare.
Oggi non si incentiva l’individualità, ma si forgiano personalità indirizzandole nella direzione voluta da chi ha deciso cosa è bene e cosa è male. Milioni di persone nel mondo conoscono solo la propria personalità senza rendersi conto che c’è qualcosa di molto più grande.
Sono diventati tutti attori, ipocriti, burattini nelle mani di preti, politici, genitori, insegnanti e si ritrovano a fare cose che non avrebbero mai desiderato fare e non fanno ciò che invece hanno sempre sognato di fare. E’ come fare la guerra a se stessi.
Ma la propria natura non può essere distrutta, quindi continuiamo ad avvelenarla. “La facciata di una casa non appartiene a chi ci abita, ma a chi la guarda”, recita un antico detto orientale.
Personalità deriva da “persona”, il nome della maschera teatrale che nell’antica Roma indicava l’attore della commedia. Il militare, il padre di famiglia, il mercante… tutti dovevano essere riconducibili ad una tipologia ben definita nella vita quotidiana. Insomma una maschera, e non si può indossare una maschera senza venirne alla fine pesantemente condizionati.
Possiamo quindi arrivare a concludere che il termine “persona” significa “maschera”.
Quindi siamo tutti persone e siamo tutti maschere. Se volete oltrepassare una maschera guardate l’unico spazio che quest’ultima non copre: gli occhi. Perchè le maschere hanno un grande limite, non possono coprire gli occhi.

La ghiandola pineale

Abbiamo un piccolo organo, proprio al centro del nostro cervello, che non abbiamo ancora capito bene a cosa serva. O meglio, forse qualcuno lo ha capito ma non vuole che si sappia.
Ebbene, questa piccola ghiandola, a forma di pigna (da qui l’origine del suo nome), scientificamente nota come epifisi, delle dimensioni di una lenticchia, produce una sostanza nota come DMT (dimetiltriptamina) che è una sostanza in grado di provocare viaggi extradimensionali ed extratemporali. Però il nostro corpo produce anche un enzima in grado di annullare l’effetto di questa sostanza, per cui non ci rendiamo neanche conto di averla. Mi chiedo cosa succederebbe se fosse libera… un mezzo esiste e chi l’ha provato ha raccontato cose sconvolgenti. Ne riparlerò.
Inoltre, la nostra alimentazione e l’uso di sostanze spacciate per utili, portano alla calcificazione di questo piccolo organo che è molto coinvolto nei sogni che facciamo ogni notte.
La sostanza killer della ghiandola pineale è il fluoro, che è uno dei principali additivi nelle bevande gassate, negli zuccheri raffinati ed in quasi tutti i dentifrici. Durante lo stato di veglia si attiva il processo di degrado, favorito dallo smodato uso delle suddette sostanze, mentre nel sonno e durante la meditazione, essa si “decalcifica” e riprende a funzionare.
La simbologia legata a questo piccolo organo sconosciuto è stata evidenziata da numerose immagini, anche nella chiesa cattolica, laddove è presente nel “cortile della pigna” a Roma e persino sul bastone pastorale del Papa (ferula), ma non lo sa nessuno.
Perchè? Che significa quel simbolo?
Cartesio era convinto che la pineale fosse la sede della coscienza e gli scienziati hanno scoperto che è l’unico organo da cui viene prodotta la melatonina, ormone fondamentale che regola il ritmo circadiano sonno-veglia, che regola gli ormoni ed il sistema immunitario. In più accresce la produzione di energia fisica, aumenta la sopportazione alla fatica ed è antiossidante.
Gli spiritualisti e gli sciamani affermano che sia la sede del “terzo occhio”, l’intuito che rende “sveglio” un individuo e gli dona capacità percettive.
Le sostanze che ci propinano (acqua fluorata negli acquedotti, fluoro ovunque e cibi e bevande) pare abbiano il fine di rimbambire le masse, proprio atrofizzando la ghiandola pineale.
Nessuno, in ambito scientifico, ha prestato attenzione a quest’organo misterioso, giudicato addirittura superfluo ma che così non è. Non abbiamo organi superflui.
Non sarà che questa minuscola ghiandola è la chiave tra il mondo fisico e quello spirituale che tanto stiamo cercando?

Il primato tra i primati

Riprendo un tema che ho già affrontato poco tempo fa.
Ricordo che sin dai tempi della scuola media, nell’ora di scienze, ci veniva insegnato che i nostri antenati erano primati, in altre parole che la nostra specie deriva dall’evoluzione di quegli animali che oggi conosciamo come scimmie. Ricordo anche che, nella nostra innocente cattiveria di ragazzini, a supporto di questa tesi ci fosse anche l’aspetto fisico della nostra vecchia insegnante di scienze, che ricordo si chiamasse Mariuccia e che noi, crudelmente avevamo ribattezzato “Uccia” non per abbreviare il suo nome di battesimo ma quello riferito alla bertuccia che, come si sa, è un primate.
Ricordo ancora l’immagine sul libro con una fila di esseri che partivano da sinistra con una scimmia brutta, curva e pelosa, poi via via un bipede sempre più eretto sino ad arrivare all’ultima figura a destra che sembrava Brad Pitt con la ceretta. Una notevole evoluzione anche di barbieri ed estetiste.
Vi dirò che, a parte la maestra Uccia, a questa storia non ho mai creduto. Certo, in giro si vedeva qualcuno che faceva vacillare le mie certezze, ma ogni tanto mi guardavo allo specchio e dicevo che non era possibile, e poi neanche mi piacevano le banane e le noccioline, quindi…
Oggi non ho cambiato per niente idea ed ho aumentato la mia certezza sulla base di qualche considerazione che vi elenco semplicemente senza addentrarmi altrimenti questo post finisce che lo legge solo qualche discendente di Charles Darwin.
1) Se fosse vero, visto il perenne mutamento della natura, l’evoluzione sarebbe ancora in atto e quindi noi homo sapiens sapiens non saremmo il top dell’evoluzione, il suo punto di arrivo, come è stato detto, ma solo un’altra bestia che gli esseri che abiteranno questo pianeta tra qualche milione di anni guarderanno con orrore sui loro dispositivi didattici (dubito esisteranno ancora i libri, e me ne dispiace). Insomma questa teoria dell’antropocentrismo non mi convince affatto.
2) La seconda è più scientifica che logica: Analizzando il DNA dei fossili di primati vissuti milioni di anni fa e confrontandolo con quelle odierne, si è scoperto che è praticamente identico. In altre parole l’orango di oggi è lo stesso di quello vissuto nella preistoria. Ma allora perchè tutte le scimmie non si sono “evolute”? Perchè alcune sono rimaste tali e quali ed altre avrebbero dato origine ad una specie così diversa?
3) La terza considerazione, che ho appreso di recente e mi ha molto sorpreso, è relativa al nostro gruppo sanguigno. Avete presente le lettere RH con segno più o meno che precedono o seguono il gruppo di appartenenza? Ebbene quelle lettere stanno per “fattore Rhesus”, laddove il rhesus è una specie di scimmia. Una buona parte di noi presenta, sui suoi globuli rossi, questo fattore (quindi sarà RH +) e potrebbe essere un indizio a favore della nostra discendenza scimmiesca, ma altri, il 15% della popolazione, sono RH – e vuol dire che quell’antigene non lo hanno e quindi non hanno nessun nesso genetico coi nostri amici primati. Come la mettiamo?
Vi lascio fare le vostre considerazioni… l’unica cosa di cui posso essere certo è il fatto che la professoressa Uccia era RH +

La sindrome dell’impostore

Una delle trappole più infide che la società di oggi ha costruito artificialmente è la cd “sindrome dell’impostore”.
Essa non è altro che la paura di non essere all’altezza per ricevere i riconoscimenti e gli apprezzamenti degli altri.
Il più delle volte, quando raggiungiamo ciò che ci siamo prefissi di ottenere pensiamo che sia dovuto al caso o a fattori esterni, mai a meriti nostri e quindi o subentra la paura di non poter mantenere quel livello oppure la paura che se gli altri sapessero chi siamo veramente non ci stimerebbero così tanto.
Da qualunque lato la si guardi, c’è sempre un divario, più o meno profondo, tra come ci percepiscono gli altri e come noi ci sentiamo realmente. Può essere occasionale, ma arriva spesso a diventare un modo di essere costante perchè il nostro sistema sociale marcio incentiva questo sentire.
I modelli di oggi sono diventati i personaggi del cinema, della TV ed in genere dello spettacolo. Se non sei magro/a come tizio/a o vestito/a come caio/a, sei inferiore; se non hai l’ultimo modello di PC o di smartphone ti guardano con disgusto.
I tuoi genitori hanno fatto sacrifici per iscriverti alla tale università e tu non ottieni i risultati che si aspettano da te, quando magari il tuo sogno è stato sempre quello di recitare in teatro (ricordate “l’attimo fuggente” con Robin Williams?).
Adolescenti che hanno avuto rapporti che emarginano le amiche perchè sono ancora vergini, iniziazioni nei college o nelle scuole, in caserme, appartenenza a sette religiose, ecc. Se non sei schierato ed inquadrato in un gruppo “alla moda” non sei nessuno e da qui nasce la nostra ansia di non essere all’altezza.
Ma all’altezza di che? Ognuno di noi credo sia un essere unico ed irripetibile, come un’impronta digitale o come un fiocco di neve, non ne esistono due uguali, quindi perchè si devono costringere gli esseri umani a somigliare a questo o a quello o a possedere questo o quello per essere qualcuno? Perchè non concentrarsi unicamente sul realizzare se stessi liberi da qualsiasi condizionamento esterno? Perchè questo modo di pensare è ignorato ed anzi avversato? Parlare in prima persona, a questo punto, sarebbe già un traguardo, perchè quando ascolto qualcuno che inizia una conversazione con il “noi” fuggo via a gambe levate perchè è un morto che cammina.
Antony De Mello, a tale proposito ha scritto un libricino che vi consiglio di leggere: “Messaggio per un’aquila che si crede un pollo”, perchè se fai nascere un’aquila in una covata di galline questa non scoprirà mai che sa volare e passerà a terra il resto della sua vita credendo di essere un pollo.

Vampiri energetici

Ebbene si, sono tra noi, sono tanti e sono difficili da scoprire. Potrebbero essere nel vostro gruppo di amici, sul posto di lavoro, al club, al bar e persino nella casa in cui vivete.
Sono chiamati anche “vampiri psichici” e non possono fare a meno di succhiare l’energia di chi ne ha in abbondanza perchè loro ne sono perennemente sprovvisti.
Può sembrare una follia ma riflettete. A chi non è mai capitato di provare un certo senso di ansia o nervosismo dopo aver parlato o interagito con una persona particolare?
Vi siete mai sentiti “svuotati”, di cattivo umore dopo l’incontro con qualcuno?
Non avete mai sentito il bisogno di fuggire quando siete a contatto con certe persone che vi irritano o che invadono la vostra sfera, magari vomitandovi addosso lamentele e problemi?
In quest’ambito ci sono vampiri “inconsapevoli”, che non si rendono conto di ciò che fanno, tenendovi magari ore a parlare narcisisticamente dei loro problemi, e (categoria peggiore), quelli consapevoli, che ti ostacolano, ti fanno sentire sbagliato, che infieriscono sui tuoi punti deboli.
Sono individui che non riescono ad affermare se stessi se non attraverso l’annientamento degli altri, perchè se ti vedo più triste di me ne posso trarre giovamento e sentirmi più potente. Non amano essere interrotti se parlano o fanno qualcosa, mentre non si pongono affatto il problema di disturbarti se hanno bisogno di qualcosa. Sono invidiosi, i tuoi successi sono colpi di fortuna, mai risultato di sforzo o fatica e quando ti danno consigli, dicono di farlo “per il tuo bene”. Diffidate sempre da chi pronuncia quelle parole.
Queste persone esistono davvero e tutti ne abbiamo consapevolezza. Vanno evitate, punto e basta. Certo se si tratta di estranei la cosa è semplice, ma non è infrequente che li si abbia in famiglia o sul lavoro e qui iniziano i problemi.
In questo caso ci vuole molta più forza, diplomazia, consapevolezza e fermezza nel non dire sempre di si, nell’acconsentire a tutto, ma occorre ritagliarsi il proprio spazio vitale e tenere fuori il vampiro per quanto possibile, senza farvi trascinare nella loro perenne sofferenza.
E voi ci credete che esistono?

L’orologio rotto

Ho un vecchio orologio rotto che porto sempre con me.
Una volta correva e segnava il tempo, un tempo fatto di ricordi, di gioie e di paure per chi l’ha guardato con ansia e trepidazione, sapendo che le sue lancette scandivano la sua vita e quella del mondo che lo circondava. Un orologio rotto, per la maggior parte delle persone, non serve più a nulla, è una cosa inutile, ma per me resta un simbolo che racchiude molti significati, una tappa dell’esistenza, una cassaforte magica.
Lo porto per ricordarmi che anche il tempo si può fermare se si blocca il meccanismo che lo misura, perchè senza quel meccanismo non sappiamo più cos’è il tempo. Quindi esso è relativo e non assoluto. Sono arrivato alla stessa conclusione di Einstein attraverso il ragionamento invece che con una formula matematica come ha fatto lui. Non mi daranno il Nobel ma fa lo stesso.
Anche noi esseri umani siamo orologi che misurano il tempo e prima o poi siamo destinati a romperci.
Ma sarebbe bello se qualcuno, in qualche maniera, ci portasse sempre con se, per il ricordo di ciò che siamo stati, per quei momenti, belli ed anche brutti, che abbiamo saputo segnare. Per quelle ore e giorni che hanno lasciato un segno indelebile in chi ci ha camminato accanto in quella scheggia di tempo segnato dai pur limitati giri di tre lancette in un quadrante.

Io non sono io

Lo so, lo so, se dovessi esordire con la domanda “ma noi chi siamo veramente?” ecco che si scatenerebbe un casino.
Come, chi siamo? Io sono io, Cavalier commendator Fracazzo da Velletri, onorevole della repubblica, notaio, avvocato, ingegnere, ecc… ecc…. Tutti appellativi che in certe occasioni vengono preceduti dalla frase che personalmente reputo la più alta forma di idiozia che un essere umano può manifestare: “lei non sa chi sono io”. Mi verrebbe da chiedere: “Ma lei lo sa chi è lei veramente?” Un coglione, vabbè ma questo è troppo scontato.
Allora procediamo ad un’analisi attenta della domanda che non è poi così banale. Siamo davvero chi crediamo di essere?
Iniziamo dal nome. Io sono Mario, Giuseppe, Francesco… ok e di cognome? Rossi, Bianchi, Verdi, e così via.
Nulla da obiettare, c’è scritto anche sulla carta d’identità. Mario Bianchi, Giuseppe Rossi… e così via.
Ma questi tizi il nome se lo sono scelto? Ovvio che no, il nome che portiamo ci è stato dato dai nostri genitori senza che noi si sia potuto metter becco. Il cognome ancor peggio, scelta zero. E’ quello della famiglia in cui siamo nati, quindi chi ci ha dato il nome non ha neanche potuto scegliere il cognome.
E’ facile comprendere che non si può essere un qualcosa che ci è stato imposto, credo che siamo molto di più.
Pensate poi a quanto acquisiamo dai nostri genitori. Sicuramente i loro geni fisici, per cui, somaticamente, finiremo per assomigliare più all’uno che all’altra, nei colori degli occhi, dei capelli, nel passo, nelle movenze, ecc…
Ma il carattere ed i pensieri? Le aspirazioni? Il senso della vita? I sogni? Bè quello è tutto un altro discorso, basti pensare anche a quanta differenza di caratteri ci possa essere tra fratelli. Il più delle volte non la pensiamo mai come i nostri familiari, abbiamo ambizioni ed aspirazioni del tutto differenti e se molti seguono le orme professionali paterne o materne vuol dire che hanno soffocato il loro “Daimon” e si sono adeguati ad una vita piatta e priva di aspirazioni, rinunciando ad inseguire il proprio sogno, accontentandosi dei sogni bolliti degli altri.
Ma allora perchè abbiamo il patrimonio genetico dei nostri genitori ma non i loro sogni e le loro aspirazioni?
Perchè, secondo me, siamo su un piano diverso, siamo sul piano di quello che noi siamo veramente, un livello di anima, e l’anima viene da altrove e non ha nulla a che vedere con le leggi biologiche, anzi risponde a leggi diverse a noi totalmente sconosciute.
Millenni fa lo avevano capito, oggi noi lo abbiamo dimenticato. Forse c’è davvero un “piccolo io” che è ciò che crediamo di essere su questa terra, Gianni, Mario, avvocato, professore…
Ma esiste anche un “grande io”, immortale, che in questa vita riveste il ruolo di Gianni, Mario, ecc, come un attore può interpretare la sua parte in un film o in una rappresentazione teatrale. Può essere bravissimo a farlo ma, finita la commedia, tornerà ad essere chi è veramente.
Se avete seguito fin qui le mie folli elucubrazioni, faccio un salto logico successivo. Se dico “Io sono Mario” allora siamo due persone, Io e Mario. Cioè l’Io grande che dice di essere Mario. Ma chi è Io?
Questo lo lascio decidere a voi… se qualche matto ha letto fino in fondo questo post, magari potrà dare una risposta dopo una riflessione…

La sfilata di Miuccia

Ore 19 circa, Milano centro, sto rientrando in Vespa da una spesa al supermarket necessaria, causa sottovuoto critico del mio frigorifero dove l’unica mela presente, causa depressione, aveva tentato il suicidio. Fa freddo e già mi rompe uscire, ma mi tocca, altrimenti mi devo succhiare il ghiaccio dalla vaschetta stasera per cena.
Procedo in fretta e rientro alla base, quando ad un certo punto mi rendo conto che c’è una fila di auto assurda che intasa le strade del centro al punto che neanche uno scooter riesce a passare. Metto la mente in modalità zen e aspetto paziente… Magari c’è un incidente e qualcuno si è fatto male.
Però noto che la tipologia di auto è particolare, tutte di grossa cilindrata, nere e fanno parte di noleggio con autista.
Ma che cazzo succede? Mi faccio strada a fatica, dribblando la fila e facendo il filo agli specchietti ed arrivo al cuore del formicaio, una ressa di gente fuori da una specie di capannone in pieno centro.
Mi blocco perchè non si riesce a passare e, nuovamente fermo, vedo uscire un terzetto di ragazze vestite nel seguente modo:
A) Biondona milfona con capelli giallo evidenziatore ad acconciatura alla cono gelato inguainata in un completo bianco e nero a scacchi e tacco 17 da troione di ordinanza;
B) Ragazzina dark con caschetto nero, trampoli da clown del circo bianchi e soprabito nero alla Neo di Matrix;
C) Trentenne in Tailleur verde Shrek con disegni art decò e cappello in tinta che camminava a passettini come se un cane le stesso mordendo il culo;
Intanto c’è una folla di gente che fa foto coi telefonini, un delirio che non riesco proprio a capire.
Paraculescamente chiedo alle streghe di Eastwick: “Scusate ma che è sto casino? C’è una megafesta di carnevale? Il vostro costume è fighissimo”
Si bloccano e, inorridite, mi dicono: “Ma come, non lo sai? C’è la sfilata di Miuccia Prada”
“Miuccia? Quella dell’asilo?”, rispondo con fare serio avendo capito di avere a che fare con tre imbecilli.
L’asilo in realtà è Mariuccia ma loro non colgono la battuta, mi guardano come si può guardare uno scarafaggio che attraversa la strada. Ma questo dove vive?
Poi notano il mio abbigliamento con tuta grigia modello Rocky Balboa un pò strappata da 40 Euro alla Coin ed il disgusto aumenta, quindi si allontanano parlottando e ridendo su quell’incontro con quel buzzurro ignorante.
Attendo che quella ressa di zombie sfolli un pò, passo e torno a casa a salvare la mia mela nel frigorifero per portarle un pò di compagnia…

Ama e fai ciò che vuoi

Una citazione che trovo modernissima ed azzeccata anche se è stata pronunciata da un uomo di chiesa più di 1.500 anni fa.
Voglio premettere, in termini matematici, che io sto alla chiesa come un diabetico ad una torta sacher o come un astemio ad un negroni, ma questa citazione mi ha colpito davvero molto, ed anche nel fango si possono trovare delle perle.
Pensavo ad un’interpretazione in chiave moderna della frase del buon Agostino d’Ippona, vissuto nell’ultima metà del 300.
Oggi si tende ad essere educati, rispettosi, very social perchè la società lo richiede.
Esci ed incontri il vicino di casa che ti chiede: “Uè carissimo, come va?” Ovvio che il “carissimo” non è una manifestazione di particolare affetto o amicizia, perchè un lunedì mattina di pioggia a Milano porta solo bestemmie e “vaffanculo”, se ti va bene indifferenza, ma lo dice perchè non si ricorda come cazzo ti chiami. Al terzo o quarto “carissimo” inizia a considerare che non ti conosce nessuno e quindi sei autorizzato a non rispondere neppure. Fa ciò che vuoi. Ma ama.
Scrivi qualcosa su facebook, ricevi messaggi whattsapp, bè devi ricambiare, mettere un like anche se neanche hai letto o capito ciò che scrivono, ciò è molto social e… se tu dai un like a me io poi dò un bel like a te… c’est la vie.
Sapete che vi dico? Fanculo! Non è necessario rispondere a tutti, essere social, educato, ossequioso, rispettoso delle regole.
Quindi seguite la regola del buon Sant’Agostino: Fate il cazzo che volete senza però offendere e danneggiare nessuno. Se qualcuno si offende perchè non hai risposto il problema è suo e non tuo.
Ho reinterpretato il concetto in un modo un pò più crudo ed adeguato ai tempi, ma si sa che i tempi sono cambiati…