favole

Mimì & Cocò

Nella foresta di Fashionwood tutti gli animali sfoggiavano meravigliose pellicce, castori, volpi, visoni, orsi bruni e biondi (ossigenati), leopardi, ocelot, persino le nutrie ed i topolini non uscivano mai senza per andare a caccia o partecipare a qualche evento mondano in piazza delle querce. La piazza era il centro del bosco, con locali superchic, ristoranti molto trendy e negozi alla moda.
C’era il bistrot di Craccoyote dove potevi gustare polpette vegan allo zenzero con contorno di patatine fritte in busta e uova di cigno alle spezie. Proprio lì accanto c’era l’atelier di Giontra la lontra che si vantava di aver vestito le migliori star bestie come Topo Gigio, Lassie, Rin Tin Tin e Bruno la Vespa, nonchè svariati cani della televisione, del cinema e della politica.
Tutti gli animali insomma, vestivano pellicce lucide e sfavillanti che si invidiavano a vicenda. La famiglia Visoni, arricchitasi con un allevamento schiavista di nutrie double face, era la più invidiata ma anche i Leopardi, che si vantavano di essere discendenti del cane dell’antico poeta, non erano da meno.
Un bel dì, spuntando da un buco nel terreno, nel pieno centro della sciccosa piazza delle querce, proprio mentre c’era un vernissage nell’atelier di Miaumiau, nota stilista di collari per gatti selvatici e parrucchini per orsi calvi, ecco che arriva una talpa senza alcuna pelliccia che si scrolla di dosso un pò di terriccio, inforca due lenti spesse come fondi di bottiglia e chiede al primo animale che incontra dove poteva trovare un bar per bere qualcosa perchè aveva la bocca impastata di sabbia. Una volpe grigia fuggì subito inorridita chiamando aiuto neanche fosse arrivato un cacciatore.
Proprio in quel momento si trovavano a passare di lì Mimì & Cocò, due castori gay che in realtà si chiamavano Domenico (detto Mimmo) e Calogero, venivano dalla Sicilia in cui avevano iniziato la loro carriera come progettisti di dighe per la mafia, ma siccome non c’erano fiumi e la faccenda puzzava un pò, avevano deciso di mettersi insieme in tutti i sensi e trasferirsi nella foresta di Fashionwood per creare una linea di pellicce sintetiche per animali feriti da armi o tagliole.
Alla vista della povera talpa, che poi di vista ne aveva poca, Mimì disse a Cocò: “Povera stellina! E’ qui in piazza tutta nuda senza la pelliccia! E che antichi occhialacci trash!”
Cocò subito rispose: “Dai Mimì chevìe, cveiamo una linea di occhiali e pelliccia per questo povevo animaletto sfovtunato!”
“Siiii daiiiiii” rispose Mimì, “poi mi sa che questa qui ha nascosto un bel pò di grana sotto terra, minimo avrà un bunker, quindi sarà l’ennesima cretinetta da spennare….oddio spennare no, è già così spennata… ihihihih”
I due si avvicinarono alla talpa a passo svelto, mentre attraversava la piazza un altro stilista famoso, la tartaruga Va Lentino che da più di 200 anni disegnava elegantissimi carapaci da sera per proteggere le pellicce dei ricconi. I due lo ignorarono volutamente e raggiunsero la talpa nella speranza di ottenere qualche entratura nel mondo del sottoterra.
“Cava talpetta” la approcciò subito Cocò, “Ti pvego, seguici nel nostro bistvot che è pvopvio qui dietvo l’angolo, ti offriamo un daiquivi alla banana e discutiamo un pò del tuo tevvibile look. Non puoi mica pvesentavti qui in piazza VIP tutta nuda e con quei tevvibili occhiali….”
La talpa osservò quei due strani castori ingioiellati e rispose: “Amici miei, non avrò una buona vista di superficie come voi, ma laggiù nel profondo gli occhi non mi servono poi molto, perchè abbiamo sviluppato altri sensi con cui comunicare. Non mi servono neanche occhiali o pellicce, cosa me ne farei nel mio mondo? Ho chiesto solo un bicchier d’acqua per dissetarmi ed invece trovo chi scappa impaurito e chi mi vuole vendere qualcosa in base al mio aspetto. Vi ringrazio per l’interessamento, ma me ne torno nel mio mondo e vi lascio alle vostre cazzate”… e la talpa scomparve nel nulla con uno strano sorriso…

Una favola…

Riposto una storiella banale che avevo già scritto agli albori del mio blog…mi è capitato di rileggerla e mi va di ripostarla..

Nel regno di Gaianaku i cittadini godevano di una certa ricchezza dovuta alla bontà e munificenza del loro re, il quale non vessava la gente con tasse e balzelli ma permetteva che tenessero per loro la maggior parte dei raccolti e delle loro ricchezze.
L’agio dei cittadini di Gaianaku era unico rispetto a quello dei regni vicini che dovevano invece sottostare a tiranni ingordi e disinteressati al benessere dei loro sudditi.
Un giorno il giovane Hermes, giunto con suo padre al mercato di Gaianaku da uno dei regni confinanti per vendere i loro miseri prodotti, sperando di ottenere un prezzo migliore, rimase molto colpito dalla bellezza del villaggio, delle sue case e dei vestiti dei suoi abitanti che vedeva per la prima volta nella sua vita. Hermes non conosceva il sentimento dell’invidia, ma sapeva apprezzare la bellezza e tutto in quel posto gli sembrava meraviglioso, tanto che la sua mente priva di malignità lo portò a pensare che anche la gente del villaggio dovesse essere altrettanto meravigliosa.
In una delle poche pause dal lavoro si sedette su di un muretto a mangiare una mela e si trovò a fare conoscenza con dei suoi coetanei che stazionavano li vicino a chiacchierare tra di loro, mangiando succulenti panini con la carne che si guardarono bene dall’offrirgli. All’inizio li trovò simpatici ed incuriositi per quello straniero così diverso da loro ma presto iniziarono a fargli domande su chi era, da dove venisse e ciò che possedeva, come se quello fosse tutto quello che gli interessava sapere. La povertà di Hermes fece cambiare atteggiamento ai ragazzi che iniziarono a schernirlo ed a definirlo “barbone” e “pezzente” prendendosi gioco di lui.
In quel momento un cane, in condizioni davvero penose, passò loro accanto, così magro che sembrava non mangiasse da giorni e quando si avvicinò al gruppo, malgrado l’odore della carne lo avesse attratto, si avvicinò ad Hermes che non potè che dividere metà della sua mela con la sventurata bestiolina.
I ragazzi iniziarono a ridere sguaiatamente tirando pietre alla povera bestia, urlando che un pulcioso aveva riconosciuto subito un suo simile e che insieme facevano certamente una bella coppia. Hermes si frappose tra la povera bestiola e quei ragazzi, trascinandola via con se fino ad arrivare al carretto di suo padre. Il genitore, appena vide il cane, inveì a sua volta contro Hermes urlando che non voleva quel sacco di pulci accanto al suo carro e che nessuno si sarebbe avvicinato a comprare le sue merci con quella bestia li vicino.
Hermes si perse negli occhi teneri ed imploranti di quello sfortunato cane dicendo al padre che non lo avrebbe abbandonato e che sarebbe rimasto con lui.
Allontanatosi con il cane che lo seguiva, si trovò ad attraversare le strade del villaggio mentre la gente si scansava al loro passaggio tirando bucce di patate ed ogni tipo di immondizia, deridendoli e chiedendosi ad alta voce chi avesse più pulci, se lui o il cane…
Hermes aveva solo seguito il suo cuore ed aiutato una creatura in difficoltà e, per questo, si trovava ad essere deriso e messo ai margini di quella opulenta società. Improvvisamente si trovò a riflettere come tutta quella felicità e quel benessere avessero inaridito l’animo delle persone e quel posto non gli appariva più il paradiso che aveva creduto che fosse.
Proprio in quel momento, mentre evitava l’ennesima pietra che gli lanciavano contro, udì l’avvicinarsi di una carrozza trainata da una schiera di cavalli bianchi e subito si fece da parte avvicinando a sè la povera bestiola.
Giunta alla sua altezza, la carrozza improvvisamente si fermò ed Hermes notò che tutti quelli che fino a poco tempo prima stavano insultandolo e lanciandogli oggetti, si inchinarono. Dalla carrozza ne discese quello che doveva essere il re, seguito da una misteriosa e bellissima fanciulla dall’aria molto triste. Il sovrano e la ragazza venivano proprio nella sua direzione ed Hermes ritenne che fosse opportuno inchinarsi al re ed a quella che, con ogni probabilità era sua figlia la principessa. Notò anche che il suo nuovo amico a quattro zampe stava dimenando la coda alla vista della ragazza che stava venendo loro incontro.
“Angel!” gridò la ragazza appena vide il cane, correndogli incontro ed abbracciandolo. La bellissima ragazza sembrò aver ritrovato un sorriso che doveva aver perso da tempo mentre ricopriva di baci il cane.
A quel punto avvenne una cosa strana. Sembrò che la bestiola stesse comunicando alla principessa che quell’incontro e la sua salvezza fossero dipesi da quel giovane male in arnese che il cane continuava a guardare.
“Come ti chiami, giovane straniero?” chiese ad Hermes la principessa.
“Hermes, vostra altezza. Sono venuto dal vicino regno di Soul per vendere con mio padre le nostre merci. Qui è tutto meraviglioso e ricco, ma l’unico amico che ho trovato è stato lui” fece indicando il cane.
“Se vorrai, giovane Hermes” disse il re intromettendosi nel discorso, “sarò felice di averti ospite d’onore a palazzo dove potrai avere un buon lavoro e tutte le ricchezze ed i privilegi che desideri perchè grazie a te mia figlia ha ritrovato il sorriso”.
Il ragazzo accettò volentieri, riflettendo sul morale di quella strana storia: La strada verso il paradiso passa attraverso l’amore per qualunque forma di vita bisognosa d’affetto piuttosto che nella ricerca affannosa dell’inutile riconoscimento sociale.