Alan aveva deciso quella mattina di recarsi al lavoro a piedi, godendosi i tiepidi raggi del primo sole primaverile tagliando per il parco, invece di ingolfarsi nel caotico e snervante traffico dei lavoratori mattinieri che mettevano a dura prova cuore e polmoni, incolonnati nelle loro scatole metalliche a perdere il tempo più inutile e controproducente di tutta la giornata.
Mentre transitava, assorto nei suoi pensieri, sotto uno degli enormi alberi del parco, un ramo per fortuna non troppo grande, forse indebolito da qualche recente temporale, si staccò dal tronco e precipitò colpendo Alan esattamente al centro della testa.
L’uomo si portò istintivamente le mani al capo mentre la vista gli si annebbiava per un attimo e fece in tempo a raggiungere una panchina vicina per sedersi, temendo di svenire.
Credeva di essersi aperto la testa e continuava a tastarla accorgendosi poi, con gran sollievo, che non c’era niente di rotto, nessuna ferita sanguinante, solo l’accenno di un bozzo che sarebbe diventato, con ogni probabilità un notevole ematoma.
Dopo qualche minuto in cui aveva preferito restare in posizione seduta, dopo aver fatto un paio di tentativi di mettersi in posizione eretta senza nessun effetto particolare, decise di riprendere il cammino verso l’ufficio, dove, una volta arrivato, avrebbe subito messo del ghiaccio per tamponare gli effetti della botta.
Si sentiva stranamente rinvigorito, l’unica cosa particolare era un certo brusio che percepiva in sottofondo, come una serie di voci che si sovrapponevano sussurrando nella sua testa. “Sicuramente sono gli effetti della botta che ho appena preso…passerà” pensò Alan mentre procedeva a passo spedito verso il suo luogo di lavoro.
Giunto all’ingresso dello stabile in cui si trovava lo studio di architettura in cui lavorava, salutò il custode augurandogli il buongiorno e mentre riceveva analogo saluto, dalla stessa direzione percepì, in maniera sovrapposta, ma chiaramente udibile la frase “buongiorno un cazzo”.
Alan si arrestò di colpo guardandosi attorno, non riuscendo a capire la fonte di quello che aveva ben udito, visto che nel portone erano presenti soltanto lui ed il custode. Non vedendo nessuno scosse il capo e si avviò verso l’ascensore credendo che fosse stato uno strano effetto dovuto alla botta da poco ricevuta.
Giunto in ufficio salutò la segretaria avviandosi verso la sua stanza, udendo stavolta distintamente una voce che gli sussurrava “non sopporto questo posto e gli stronzi che ci lavorano”. Ancora una volta Alan si bloccò voltandosi di scatto verso la segretaria che gli indirizzò un sorriso che sembrò falso come un Rolex thailandese.
Ancora una volta non c’era nessun altro e quindi non riusciva a spiegarsi da dove provenisse quella voce che egli aveva ancora una volta nettamente percepito.
Si sedette alla sua scrivania un po’ confuso e frastornato, non capendo se la sensazione derivasse dalla botta presa nel parco oppure da quelle voci a cui non sapeva dare una spiegazione razionale.
In quel momento entrò nella sua stanza Erik, il responsabile con cui aveva un progetto importante in condivisione che dovevano consegnare di lì a breve.
“Ciao Alan, a che punto sono i disegni del progetto?”
“Quasi completati Erik, prima della fine della mattinata ci vediamo per verificare il lavoro ed oggi pomeriggio andremo sul cantiere fuori città”, rispose Alan.
“Sarà il solito lavoro fatto col culo…e dovrò restare in ufficio sino a notte fonda per correggere le cagate che hai combinato”. La voce giunse fin troppo nitida ai sensi di Alan per non fargli pensare che fosse uno scherzo della sua percezione. Aveva osservato Erik che non aveva mosso le labbra per esprimere alcuna parola ma era assolutamente convinto che quei suoni che gli erano giunti erano una specie di pensiero ad alta voce che il suo collega aveva espresso a livello mentale.
“Scusami Erik, devo fare una telefonata urgente, ti spiace se ci aggiorniamo più tardi per parlarne?”.
“Non c’è problema Alan, passa da me appena puoi”.
Non riusciva a capacitarsi di quello che stava accadendo, sembrava che…per qualche misteriosa ragione, riuscisse a sentire con i sensi comuni quello che la gente attorno a lui pensava senza esprimerlo…ma non poteva essere possibile…a meno che…ma si…la botta in testa che ho appena ricevuto, chissà, deve avermi misteriosamente attivato un’area del cervello che mi consente di udire sensibilmente i pensieri della gente che mi sta attorno.
Euforico, ma allo stesso impaurito per questa teoria inverosimile che aveva partorito, aveva bisogno di sperimentare se la sua idea era corretta e non il frutto di una patologia mentale nascosta che aveva iniziato a manifestarsi proprio in quel momento.
Uscì dalla sua stanza e si recò da Alicia, la responsabile dell’amministrazione, che sapeva essere da tempo invaghita di lui ma che non aveva voluto mai frequentare ed illudere.
“Ciao Alicia, come va stamattina, passato una bella serata ieri?”
“Niente di che Alan, l’ho passata a casa a guardare la TV. A te tutto bene?”. “Si, grazie, anche io nulla che valga la pena raccontare”, rispose. Alle parole uscite dalle labbra di Alicia si sovrapposero altre, parimenti udite da Alan altrettanto chiaramente… “Se fossi venuto a casa mia ci saremmo divertiti entrambi…”.
Stavolta la meraviglia e lo shock iniziarono a lasciare il posto ad una sottile e strana soddisfazione, poiché stava avendo la conferma che si stesse verificando esattamente quello che pensava: riusciva a sentire i pensieri degli altri.
Prese congedo dalla ragazza adducendo ancora la scusa di una telefonata importante che aveva ricordato di fare e tornò a sedersi nella sua stanza per riflettere su quello che gli stava capitando. Le cause erano certamente legate al colpo ricevuto in testa nel parco ma a quel punto era inutile riflettere sul perché, piuttosto sulle implicazioni che da quello ne sarebbero derivate. Forse era sempre stato il sogno di tutti riuscire a leggere i reconditi pensieri della gente ma davvero era una cosa positiva? Voleva davvero sapere cosa gli altri pensassero di lui? A cosa sarebbe servito mettere a nudo l’anima di chi gli stava di fronte? Iniziava a sentirsi come un ladro che, senza volerlo, si insinuava nella stanza più segreta della casa rovistando negli angoli più nascosti.
Questi pensieri iniziarono a dargli un certo mal di testa, per cui decise di avvisare che non si sentiva bene e che sarebbe tornato a casa.
Rientrando si imbattè in Jason, il suo amico e vicino di casa a cui disse appunto di star rientrando dal lavoro perchè non si sentiva troppo bene. “Sarà certamente per quelle schifezze che cucina tua moglie”. Alan percepì quello che doveva essere il pensiero di Jason tra le parole di circostanza che invece stava esprimendo ad alta voce e gli venne da sorridere. Anche lui sapeva che Jane non era una gran cuoca.
Una volta a casa decise di dormirci sopra. Con la mente riposata da un paio di ore di sonno avrebbe forse visto tutto più chiaro… o chissà… quello strano fenomeno sarebbe scomparso così come era apparso.
Si risvegliò proprio mentre sua moglie Jane stava rientrando a casa dal lavoro e fu alquanto stupita di trovarlo a letto a riposare. Alan le raccontò che era rientrato prima dallo studio per un malessere cercando di decidere se metterla al corrente anche di quello strano fenomeno che gli stava capitando. La baciò e si stava recando in bagno mentre udì distintamente un pensiero di sua moglie che lo bloccò. Dovette appoggiarsi al mobile accanto per non perdere l’equilibrio e metabolizzare il pensiero di Jane che aveva appena udito.
“Accidenti, oggi non potrò vedermi con Patrick…devo avvisarlo subito”. Patrick era il suo amico dai tempi dell’università ed aveva sempre avuto un debole per Jane e adesso stava realizzando che i due avevano una relazione. Fece dietrofront e si avvicinò in silenzio verso la cucina dove, in un angolo, Jane stava sommessamente parlando al cellulare, era sin troppo ovvio con chi.
Tornò in camera da letto dove si rivestì in fretta e, senza profferire parola, raccolse chiavi e portafoglio precipitandosi fuori di casa nel tiepido sole di quel pomeriggio. Aveva bisogno di pensare, riflettere su tutto, il lavoro, il suo matrimonio, e quel maledetto e sconosciuto “potere” che gli stava mandando a monte tutta la vita…ed erano passate solo poche ore da quando era successo. Chissà cos’altro lo aspettava. Si sarebbe trovato ben presto da solo, senza amici, senza moglie e senza lavoro…tutto per colpa di uno stupido ramo che gli era caduto sulla testa.
Giunto nel parco, si sedette sulla stessa panchina dove poche ore prima aveva avuto origine l’evento che gli stava rivoluzionando l’esistenza. Alan si trovò a riflettere sul fatto che si riteneva che il cervello utilizzasse solo il 7% delle proprie capacità e, tra il non trascurabile 93% rimanente, c’era sicuramente la facoltà di leggere i pensieri che in lui si era attivata in maniera del tutto fortuita. Ma lui non era pronto per un dono del genere, essere dotati in un mondo livellato verso il basso nello sviluppo cerebrale riusciva a generare solo una indicibile sofferenza, come quella che stava sperimentando Alan in quel momento.
Non era mai stato un cattolico convinto, ma in quel preciso istante si trovò a pregare con fervore Dio perché lo liberasse da quell’inferno, restituendogli la sua vita normale.
Dopo un tempo indefinibile trascorso su quella panchina, Alan si alzò per proseguire il suo cammino, non avendo intenzione di tornare a casa perché non sapeva ancora come far fronte alla situazione.
Mentre attraversava la strada all’uscita del parco, immerso del tutto nei suoi pensieri, non si avvide di un’auto che, sbucata dalla curva alla sua destra, lo centrò in pieno. Il buio lo avvolse.
Stava riaprendo gli occhi a fatica sotto una forte luce al neon che gli dava fastidio. Aveva un gran mal di testa e si rese ben presto conto di essere disteso in un letto di ospedale.
In quel momento avvertì la presenza di alcune persone accanto a lui che entrarono nel suo campo visivo oscurando quella fastidiosa luce che gli feriva gli occhi.
Riconobbe subito il suo amico Patrick e sua moglie Jane visibilmente sollevati che gli stavano sorridendo mormorandogli parole del tipo “andrà tutto bene”, “sei stato investito da un’auto”.
Tutto il resto era pace e silenzio.
Alan, stringendo con amore la mano di Jane disse le sue prime parole da quando ebbe ripreso conoscenza: “Tesoro, ma che mi è successo? Non ricordo nulla”. Lei e Patrick si guardarono per un attimo poi gli sorrisero benevoli. La sua preghiera era stata esaudita, l’effettiva realtà è un peso troppo gravoso da sopportare…
Lo sai che mi piace troppo leggerti… “E meglio essere un uomo malcontento che un maiale soddisfatto, essere Socrate infelice piuttosto che un imbecille contento, e se l imbecille e il maiale sono d altro avviso ciò dipende dal fatto che vedono solo un lato della questione. (JS Mill)”. Eheh dunque uomo malcontento, ma io bypassarei la questione chiedendo un superpotere… adesso ci penso. Baci baci. BF
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