abitudini

Supercazzola

Tra gli infiniti problemi che affliggono la società di oggi credo ce ne sia uno che, meglio di tanti altri, rappresenta lo specchio della crisi interpersonale. Riguarda la comunicazione.

Da Petrolini ad Ugo Tognazzi con la sua divertentissima “supercàzzola” il linguaggio incomprensibile è sempre stato oggetto di parossistiche prese per il culo, ma in realtà ci troviamo a fare i conti con questa realtà quotidianamente per cose molto più serie.

Il “linguaggio tecnico” è una maledizione antica che invade ogni settore, ogni disciplina ed addirittura ogni genere di età, come se, in qualche modo, parlare “in gergo”, ti faccia sentire appartenente ad un gruppo piuttosto che a un altro, ma soprattutto, e questa è la jattura peggiore, per escludere gli altri che non appartengono alla tua casta.

In effetti è un problema vecchio quanto il mondo. Fin dai tempi più antichi si recitavano formule magiche e vari “abracadabra” per far colpo sul popolo da parte di finti stregoni ed azzeccagarbugli vari, fino ad arrivare ai nostri giorni in cui manager, agenti di borsa, politici, avvocati e primari ospedalieri, preferiscono usare termini incomprensibili alla gente comune.

Il linguaggio specializzato paga, da un’aura di importanza ed aumenta il potere di chi lo usa. Non esiste al mondo gruppo, associazione o confraternita che non abbia un suo linguaggio tecnico. Ma oggi credo si stia esagerando.

Abbiamo tanti problemi di comunicazione, il mondo virtuale ci ha allontanati, se ci aggiungiamo un linguaggio che ci isola, allora le cose si complicano sul serio.

Che sia linguaggio specializzato o gergo giovanile gli “altri” vengono di solito tagliati fuori.

Se un diciottenne milanese dice a sua madre “Stasera sciallo mà…esco con la cumpa a tazzare a Santa, lo avvisi tu il vecchio che prendo la Merce?”, la povera genitrice ha due alternative:

1) Far finta di aver capito e sparare la solita, inutile raccomandazione di stare attento e tornare presto, che è l’opzione di solito più seguita per evitare inutili mal di testa;

2) Cercare di approfondire la sibillina frase che per lei equivale più o meno al cinese mandarino. In quest’ultimo caso si trova a dover analizzare almeno sei termini che, nel contesto della frase, non le fanno capire una cippa. Finisce così che pensa che il figlio abbia freddo, prenda uno scialle, che esca con una tipa nuova dal nome “Cumpa” (dopo l’ultima che si chiamava Sherazade ormai non si meraviglia) con cui condivide l’hobby della ceramica sacra e deve avvisare il nonno (credente appassionato di bricolage) che gli sta sottraendo dal garage gli attrezzi di lavoro per fare tazze a questa non specificata Santa… Anche la madre più ottusa capirebbe che c’è qualcosa che non va…

Ma, solo per fare un esempio, passiamo in aereoporto. Se si deve annunciare un ritardo nelle partenze, l’altoparlante fa questo annuncio: ” A causa del ritardato arrivo dell’aereomobile, il volo AZ 3758…ecc”. Ma chi cacchio ha redatto un simile annuncio?. Quel tizio vorrei sapere se, quando parla con sua moglie, usa lo stesso linguaggio…

“Concettì, domani devo andare a Roma, prendo l’aereomobile delle 9,50” Ma vaffanculo! Lui dirà “aereo”, ma ai poveri utenti verrà propinata la parola “aereomobile”, i quali si vedranno in difficoltà a protestare per il ritardo per la soggezione…ma che cazzo capisci tu di ritardi, che già fai fatica a capire cos’è un areomobile? E ringrazia il cielo che ti abbiamo pure avvisato!

Oppure, al TG, si consiglia, “da parte delle autorità sanitarie, di evitare il consumo di mitili a causa di possibile contagio di escherichia coli”. Ma chi cazzo lo capisce? Non è più semplice dire di evitare di mangiare le cozze perchè si possono contrarre malattie intestinali rischiose?

Ancora, “Operazione di polizia che ha consentito di stroncare un traffico di sostanze stupefacenti grazie all’ausilio delle unità cinofile”. Vai a chiedere ad un pensionato di Andria cosa sono le unità cinofile…e spiegagli che sono cani…quello risponde: “Madù…io teng un’unità cinofila da dieci anni e neanche lo sapevo”…

Per non parlare di medici, avvocati o politici, per cui la temperatura corporea è la febbre, le escussioni dei testi sono semplici domande, ed il problema del debito pubblico è il risultato di quello che si sono fregati in anni di governo.

Io li frusterei fino a quando non pronunciano correttamente queste ignobili cazzate.

Il guaio è che gli specialisti del sapere temono che un’eventuale semplicità di espressione possa essere scambiata per ignoranza. E’ gente che non ama il prossimo e che tiene alla propria immagine più di quanto non tenga alla divulgazione del sapere.

Adesso vado perchè ho un’impellente minzione…in altre parole mi scappa la pipì…

Elogio della ripetizione

E’ noto a tutti l’esempio classico della goccia d’acqua che riesce a scavare anche la dura pietra. Ha solo bisogno di tempo e di una lunga ripetizione dello stesso gesto. Poi chi non si è mai reso conto di come i passaggi di viandanti ed escursionisti segnano i sentieri sulle montagne?

La ripetizione è una parte integrante dei protocolli della natura. Si potrebbe arrivare ad affermare che gran parte di ciò che esiste è frutto di una ripetizione, anche la nascita di nuove vite viene da un atto ripetuto.

Il nostro cuore batte allo stesso modo per 3.600 volte all’ora senza mai fermarsi (meno male), compiamo una media di 12 respirazioni al minuto, ed il sangue non smette mai di girare nello stesso percorso.

Tutta la nostra vita è segnata e ritmata dalla ripetizione, ci nutriamo, ci procuriamo il cibo, dormiamo, beviamo, sempre allo stesso modo per un numero infinito di volte, come è sempre stato e sempre sarà.

Ma anche il lavoro, lo sport, l’arte e la scienza hanno in comune la ripetizione di gesti che mirano a miglioramento e perfezione. Perchè la nostra attività sia fluida, potente, equilibrata ed efficace deve essere ripetuta più e più volte.

La ripetizione annoia i dilettanti, infastidisce i mediocri, innervosisce gli indecisi, ma, per coloro che amano bellezza ed armonia, la ripetizione, oltre che accrescere il talento, sviluppa la dote della pazienza, allena la tenacia, aumenta la conoscenza di sè e dei propri limiti, generando efficacia, elasticità, forza ed eleganza.

Non si impara che ripetendo. Una volta non basta mai, dalla ripetizione nasce l’esperienza, la conoscenza, la padronanza di ogni gesto e pensiero.

Come nessun albero nasce già grande o nessun uomo nasce già capace, l’eccellenza nasce con la pratica profonda. Chi si affida alla ripetizione sa che l’intuizione da sola, senza la prima, non porta lontano.

Per questo dico che bisogna insistere, sempre. Qualunque scopo ci si sia posto nella vita, non smettete mai di insistere per raggiungerlo…

Il ritorno dell’equilibrista

Qualcuno mi sembra abbia detto una volta: “Come un equilibrista sul tetto del mondo, non temo di cadere, mi concentro sul mio andare avanti e intanto mi godo la vista di un incantevole panorama”. Allora perchè non continuare a raccontarci il panorama col tuo andare avanti? Del resto, un equilibrista non può fermarsi a metà…

Troppe regole

La nostra società è forse troppo improntata all’educazione esasperata. Fin dalla nascita troviamo delle regole pronte ad attenderci. L’educazione della famiglia, poi quella della scuola in tutte le sue fasi, ci si mette anche la comunità religiosa di cui spesso si fa parte ed infine la società costituita, lo Stato di appartenenza, con i miliardi di leggi e leggine che sei obbligato ad osservare ed addirittura conoscere (ignorantia legis non excusat).

Non dico che sia sbagliato porre alcune regole, ma l’esasperazione spesso non produce i risultati sperati. La nostra anima, crescendo, si appesantisce con un fardello enorme di lecito e illecito, giusto e sbagliato, “sta bene” o “sta male”, al punto che quando la misura è colma si arriva a vivere una vita col pilota automatico senza porsi più questioni sullo scopo della vita stessa.

Gli anni passano e quel bambino assetato di vita ha studiato la storia fatta da altri, ha seguito la moda decisa da altri, ha imparato le regole degli altri, ha creduto in un Dio imposto da altri.

E se l’unica regola fosse quella che propone Sant’Agostino in una sua bellissima poesia?

“Sia che tu taccia,

taci per amore.

Sia che tu parli,

parla per amore.

Sia che tu corregga,

correggi per amore.

Sia che tu perdoni,

perdona per amore.

Sia in te

la radice dell’amore,

poiché da questa radice

non può procedere

se non il bene.

Ama e fa ciò che vuoi”.

Il fantamegamarket

Sabato mattina mi svegliai di soprassalto come se mi fossi ridestato da un incubo. Avevo cullato il sogno di un sabato mattina tranquillo dedicato all’ozio completo, dopo una settimana molto dura ed invece…mi toccava accompagnare mia moglie al centro commerciale per la megaspesa, l’attività più odiata dagli italiani (uomini coniugati).

Ho sempre detestato i centri commerciali, quei megamarket che sembrano dei veri e propri templi eretti al consumismo inutile. Ok, l’uomo deve pur nutrirsi ma se quei supermercati si fossero limitati a vendere quello che era davvero indispensabile (e salutare) per la sopravvivenza di un essere umano, sarebbe bastato un locale grande quanto il cesso di casa mia. Infatti mi trovai a pensare con nostalgia a neanche tanto tempo fa quando quei mostri neanche esistevano e mia madre andava a fare la spesa dal piccolo salumaio di fronte e dal fruttivendolo accanto che conoscevano tutti e da cui avevi persino la possibilità di aprire una linea di credito da saldare quando volevi. Bella comodità…e poi in dieci minuti avevi finito, attraversavi la strada ed eri già a casa…

Del resto non mi ricordo mancasse nulla in tavola neanche allora, nelle occasioni speciali quali i pranzi di Natale o i compleanni, c’era ogni ben di dio che aveva anche un gusto diverso, più forte e genuino di quelli di adesso. Certi sapori li ricordo ancora se faccio mente locale, mentre l’arrosto di ieri sera, avendo avuto la fortuna che non mi fosse rimasto sullo stomaco, non me lo ricordavo neppure.

Allora perchè fare code chilometriche e spendere una fortuna per roba inutile? Mah…misteri del progresso…

Malvolentieri mi metto in macchina con mia moglie accanto, diretti al Fantamegamarket “Le torri”, distante 25 chilometri per poi sorbirmi una coda anche per il parcheggio degna di un concerto degli U2.

Mia moglie Ha in mano uno di quegli opuscoli pubblicitari che ti infilano a pacchi nel portone di casa in cui si elencano tutte le offerte del mese che lei aveva già studiato in precedenza ma che stava diligentemente ripassando nel tragitto in auto come un ragioniere psicotico, elogiando la convenienza di svariati prodotti a prezzi davvero imbattibili.

Pensavo che se avesse messo in conto la benzina consumata e soprattutto l’inestimabile valore del tempo libero che stavamo perdendo, i conti non sarebbero affatto tornati.

Eh già…le offerte! Questa trappola letale in cui cascano tutte le casalinghe del mondo, affascinate da quel luna park di colori che offre merce a prezzi imbattibili. Le donne di casa sono letteralmente ossessionate dalle offerte nei supermarket, comprano una marea di roba assolutamente inutile solo perchè è in offerta. Se avessero venduto la merda in offerta, loro l’avrebbero comprata.

All’interno di quelle cattedrali del consumismo ci sono persino i banchi informazioni perchè davvero rischi di perderti e durante il fine settimana quei posti non hanno niente da invidiare al suk dei paesi arabi dove se perdi un bambino rischi di non ritrovarlo mai più.

Lì dentro si perde la cognizione del tempo, è un luogo dove non vigono le normali leggi della fisica, una sorta di curvatura dello spaziotempo in cui entri con il sole ed esci che è notte fonda perchè sono aperti fino a quell’ora.

Una banale lista della spesa è inutile, per andare a caccia di quello che esattamente ti serve, sarebbe necessario l’Indiana Jones dei tempi migliori. Cerchi una banalissima Peroni? Auguri! Nel settore birre, che occupa due scaffali chilometrici, ci sono bottiglie che ti ubriacano solo a guardarle. Doppio malto, triplo malto, al limone, superalcoliche, analcoliche… Ma, di grazia, a che serve una birra analcolica? Fa schifo! Se non puoi bere alcol perchè te lo ha prescritto il medico evita le bevande alcoliche, punto. Ci sarà un motivo per cui non esiste il gin o la grappa analcolica.

Poi prendi il bigliettino e ti metti in coda al banco gastronomia dove scopri che sei il settantesimo della fila…neanche in Posta all’ora di punta ti ricapita. Il programma è quello di prendere un pò di affettati, che so prosciutto e salame ma il panorama del cimitero suino che si para davanti ai tuoi occhi ha dell’incredibile…salami di grandezze e forme diverse provenienti da paesi che neanche conosci, prosciutti con gradazioni di sale e grasso su cui potresti stilare una tavola periodica, mortadelle al tartufo, al pepe, alle spezie, al rosmarino, alle noci e per i più fantasiosi addirittura salumi con all’interno facce di orsetti e papere disegnate.

Per non parlare dei formaggi…ti serve del grana? Sei antico! Ti guardano male se lo ordini. Lo tengono ancora solo per i nostalgici. Molto meglio il geitost norvegese o l’oscypek polacco (di che sapranno?) o magari una bella ricotta di Yak o due etti di formaggio agli acari tedesco che ti assicurano avere un gusto impareggiabile. Un formaggio agli acari credo mi assicurerebbe solo una notte di feroce diarrea…

Dopo un periodo di tempo in cui avresti potuto vedere il derby in TV ti ritrovi nel reparto più terrificante di tutti i supermercati: gli yogurt!

Ma, di grazia, che bisogno c’è di una varietà simile di un alimento neppure tanto indispensabile? Avete mai provato a contare quante specie di yogurt ci sono in vendita anche in un supermarket di piccole dimensioni? Magari hanno finito la Peroni ma lo yogurt alla papaya o alle erbe alpine non manca mai.

Reparto frutta e verdura. Cerchi un piede d’insalata, mele, pere ed arance? A parte il fatto che hanno un colore che sembra falso come il dispiacere di Barbara D’Urso nelle sue trasmissioni, c’è da dire che sono di un’infinità di fogge diverse e non sai quale scegliere, così finisci per prenderne un pò a casa, tanto non sanno di un cazzo tutte quante.

Mentre faccio queste riflessioni mia moglie ha riempito il carrello di merci in offerta e noto una quantità di pacchi di dentifricio che mi toccherà campare fino a cent’anni per consumarlo tutto, a meno che non lo lasci in eredità ai figli.

Poco prima di avviarsi ad una delle decine di casse, che si rivelerà immancabilmente la più lenta di tutte in base all’infallibile legge di Murphy, mia moglie scova un’offertona non menzionata sul suo opuscolo evangelico. “Guarda! c’è l’olio in offerta, prendiamone un pò di litri!” Sta per aggiungere un pò del prodotto sul carrello che ha raggiunto le dimensioni della piramide di Giza quando la guardo divertito e le faccio: “Cara, il Castrol è un olio per le auto. Non vorrai farmi stasera una frittura di calamari con quello, vero?”

Take it easy

Possiamo lamentarci di un sacco di cose riguardo a questa nostra epoca ma occorre riconoscere che ha anche un sacco di qualità: Novità quotidiane, cambiamenti rapidi, possibilità di piaceri impensabili per le generazioni precedenti, tecnologia sbalorditiva.

Ma tutta questa ricchezza non potrebbe nascondere degli insidiosi pericoli? Non sarà per caso che a questa ricchezza esteriore faccia da contrappeso un impoverimento ed una miseria interiori? La grande vetrina del mondo espone quotidianamente nuovi ed invitanti giocattoli che strappano l’uomo dall’attenzione verso se stesso e lo scaraventano fuori dal suo io per farlo lottare ed accaparrarsi tutte quelle meraviglie. Un nuovo, apparente mondo stimolante e pieno di novità tecnologiche ci sta invadendo, impedendoci di focalizzare la nostra attenzione su ciò che davvero siamo. Oggi non sei più giudicato per ciò che sei, ma per ciò che hai.

Ma c’è anche un’altra faccia di questo galoppante progresso ed è l’inquinamento che sta portando ad una rapida contaminazione di cibi, aria ed acqua. Ma non ci sono soltanto questi modelli di inquinamento, c’è anche un notevole inquinamento psichico che sta contaminando il nostro spirito sconvolgendo la nostra spiritualità interiore.

L’invasione della pubblicità e tutte le manipolazioni commerciali provocano volutamente cali di attenzione, di coscienza e di interiorità. Siamo costantemente catturati da mille messaggi vuoti, futili e dannosi, drogati da tutto ciò che è rumoroso, accattivante, facile, già pensato, confezionato e pronto per l’uso. Tutti sanno ciò che è più adatto a te, tu non devi pensarci, ci pensiamo noi. Questa è la tua macchina, il tuo profumo, la tua zuppa, le tue scarpe…ti forniamo tutto noi basta che non pensi con la tua testa. Un bombardamento continuo a cui finiamo per credere, con la conseguenza che se ci credono tutti allora io non posso restare ai margini.

Ma ci vogliono i silenzi per udire le parole, ci vuole uno spazio nella mente affinchè la nostra vera coscienza possa emergere. L’hard-disk della nostra coscienza è ingolfato da troppe cose inutili e più seguiamo ciecamente ciò che è esteriore, meno avremo coscienza.

Abbiamo pensieri e sguardi troppo corti e sempre rivolti all’esterno, attratti come falene impazzite dallo scintillio di quel mondo inutile e fittizio.

Può sembrare una cosa futile, ma la vita che conduciamo nelle città ci accorcia anche lo sguardo, impedendoci di spingerlo in lontananza come potremmo fare invece in spazi aperti ed a contatto con la natura. Palazzi e cemento limitano la nostra vista a pochi metri ovunque volgiamo lo sguardo, l’orizzonte ci è sempre precluso. Poter lanciare lo sguardo il più lontano possibile è invece un modo per allenare la mente alla libertà, ad un’azione più ampia, capace di non farsi imbrigliare ed andare oltre.

Quanti di noi oggi sono davvero capaci di riflettere da soli, con calma, in silenzio? Ed ecco che questa mancanza di spazi interiori provoca angosce, noia, pensieri ossessivi che girano in tondo, ed ecco che preferiamo tornare al più presto all’esterno di noi stessi, a quel vuoto tumulto che ci riempie in modo rassicurante.

Questa società di abbondanza sta creando in noi infinite mancanze. Il troppo cibo ci sta rendendo obesi e cardiopatici, l’abuso di chat e social network ci sta rendendo soli, il troppo lavoro ci sta rendendo stressati e depressi. Troppo di qualcosa corrisponde quasi sempre alla mancanza di qualcos’altro. Non staremo rinunciando a qualcosa di vitale per qualcosa di totalmente inutile ed anzi dannoso?

Schizziamo da un’attività all’altra, non abbiamo mai tempo, c’è una cronica carenza di lentezza, di agire piano e con calma. Oggi c’è chi arriva a dire: “non riesco a stare con le mani in mano”, “se non ho niente da fare impazzisco”, siamo arrivati a questo. Facciamo deliranti e frenetici programmi di attività anche nei weekend o quando siamo in vacanza, abbiamo urgenza di controllare le mail o le novità su Facebook.

Ma è tanto terribile, ogni tanto, restare così senza fare nulla e provare a meditare per dare un’occhiata a quello che abbiamo dentro? Oppure questa azione ci spaventa per quello che potremmo scoprire? Sarebbe tanto terribile fermarsi un’ora ad osservare un tramonto? Scommetto che non ci pensiamo nemmeno a fare una cosa del genere.

Credo che come lo sport sia un toccasana per il corpo, così la meditazione lo è per la mente. Soddisfare un’esigenza di relax e calma mentale certo non è qualcosa di urgente, ma è importante.

Nella vita esiste ciò che è urgente e ciò che è importante. Fare la spesa, pagare le bollette, rispondere alle mail, terminare un lavoro sono tutte cose urgenti. Camminare nella natura, meditare, chiacchierare con gli amici, parlare con i familiari o addirittura non far nulla sono cose importanti. Nella vita, quotidianamente si presentano conflitti tra le cose urgenti e quelle importanti e la dittatura di quelle urgenti non ci lascia spazio alcuno per quelle importanti. L’urgente tenta sempre di prendersi quel poco spazio che dovremmo riservare all’importante.

Non prendiamocela con la cattiva sorte però se nella vita avremo scelto di ignorare completamente ciò che è davvero importante per la vita stessa, dovremo soltanto incolpare noi stessi.

SOS creatività

Siamo davvero in crisi.

Non parlo di crisi economica, quella poco mi interessa dato che mi vanto di capire il minimo indispensabile sull’argomento, giusto quanto basta per gestire con accortezza le mie piccole finanze personali o concludere con sufficiente disinvoltura una partita di Monopoli.

La crisi che più mi preoccupa è quella della creatività, del libero pensiero che, anche in periodi di profonda crisi economica, non si è mai arrestata ed ha trovato sempre le giuste soluzioni per fare uscire gli uomini dai periodi più bui della loro storia.

Negli anni più terribili del XX secolo abbiamo trovato la forza per uscire, più forti di prima, da due devastanti guerre mondiali e un crack economico al cui confronto, la crisi dei nostri giorni sembra grave quanto il morbillo per un bambino.

Eppure non riusciamo più a venirne fuori, annaspiamo in una pozzanghera e diamo tutte le colpe dei nostri mali e problemi (anche personali) alla “crisi”. E non mi si venga a dire che è colpa di governanti inetti e ladroni che hanno portato allo sfascio le istituzioni. Paragonare Bossi e Prodi a Hitler e Stalin sarebbe come dire che Gigi D’Alessio ha stesso talento musicale di Mozart o Chopin. Certo, in quegli anni il mondo aveva i Roosvelt ed i Churchill, noi abbiamo Renzi ed Hollande e questo è un bel punto a vantaggio dei tempi passati…

Ma proprio qui sta la questione. Le crisi hanno sempre prodotto eroi, grandi uomini che sono riusciti a trascinare la società fuori dalle peggiori paludi, oggi, ed in ogni settore, produciamo solo imbecilli. Perchè? E non parlo solo di politica. Elencare le doti negative dei politici e governanti di oggi sarebbe facile come picchiare qualcuno seduto sulla tazza del cesso. Il più “sano” ha la rogna.

Va bene, direte voi, non ci pensiamo…che si fa? Andiamo al cinema a distrarci per vedere un bel film. Ecco…buona idea…che propone il programma? Oggi siamo indecisi tra il cinepanettone con Boldi, De Sica e tette e culo della strappona di turno e Checco Zalone. Poi ci sono Ficarra e Picone, Claudio Bisio e, per i più intellettuali, l’ultimo thriller di Hollywood col vendicatore/giustiziere tutto muscoli e occhiali da sole che spara agli spacciatori/terroristi cattivi di turno ammazzando da solo, nella scena finale, un esercito superarmato di cattivoni malgrado abbia già in corpo 5 o 6 pallottole ed un paio di pugnalate. Mito! Idolo! Che figo! Ma come farà? Io non riuscirei a rispondere al telefono a chi mi propone un nuovo piano telefonico se ho un accenno di mal di testa…

In questo cinematografico deserto del neurone, in questo paesaggio lunare dell’intelligenza filmica mi tornano alla mente i tempi in cui al cinema si sfornavano mensilmente capolavori degni di essere visti e rivisti, infatti lo facciamo ancora oggi con nostalgia.

“Il Padrino”, “C’era una volta in America”, “Salvate il soldato Ryan”, “Carlito’s way”, “I soliti sospetti”, “Pulp fiction”, “Il miglio verde”, “Qualcuno volò sul nido del cuculo”…potrei andare avanti all’infinito e sto citando titoli “leggeri”, film di cassetta che potrebbero non piacere solo ad un deficiente con la meningite.

Li guardavamo rapiti, seduti su scomode sedie di legno pieghevoli rese più morbide solo dalla quantità di cewingum che ci avevano impastato sopra i cretini di turno. Dopo le quattro ore del Padrino, su un sedile che avrebbe fatto venire la scoliosi ad un fachiro, ti alzavi rapito e soddisfatto con un argomento di discussione che sarebbe durato giorni e tornavi a casa con la soddisfazione di aver speso bene i soldi del biglietto.

Oggi ti siedi sprofondando in poltrone hi-tech con tanto di occhialini HD per vedere….cosa? Boldi che cade dalla scala urlando “che dolooooooreeeee” e De Sica che fa il figo toccando le tette dell’ochetta la cui recitazione farebbe apparire Rin Tin Tin degno dell’oscar alla carriera?

Ma possibile che nessuno oggi ha più un’idea nuova che non sia far cadere Boldi dalla scala? Ed ecco che tutto quello che si riesce a fare per far tornare il grande cinema sono i prequel, i sequel e i vari Rocky e Rambo che saranno arrivati al numero 187 con il povero Stallone che, per tirare su qualche lira, combatte ancora spacciatori e terroristi con l’artrite che gli devasta le ginocchia ed il parrucchino per nascondere la pelata. Ma come si fa?

Ok resto a casa a guardare la TV che è meglio…

Che propone oggi il palinsesto? Ehm… Rai1 con il Festival di San Remo, Rai2 con una trepidante fiction ambientata nell’800 con Gabriel Garko prete che fa strage di cuori inaccessibili di suore in un convento, il cui coinvolgimento emotivo forse è solo secondo al polpettone del discorso del Presidente della Repubblica l’ultimo dell’anno.

Rai3 con una biografia di Berlinguer ottima per chi soffre di insonnia, Canale5 con la De Filippi che fa la perfida croupier strappando audience con le disgrazie della gente, risultando falsa come una banconota da 120 Euro.

Ok ma c’è Sky coi suoi mille telefilm americani di supereroi, nani telepati, uomini invisibili, poliziotti integerrimi, vampiri teenagers e, per gli amanti dello sport c’è persino la diretta da Posillipo del campionato mondiale di lancio della pizza.

Altro disastro.

Magari si potrebbe andare ad un bel concerto musicale. Stadi e palazzetti ospitano ogni giorno artisti che fanno musica. Vediamo…abbiamo una band di diciottenni lobotomizzati la cui originalità dei testi e qualità della musica sono profondi come il bidet di casa mia, Lady Gaga che ha avuto almeno il buon gusto di scegliersi un nome in assonanza a quello che le urlerebbero milioni di persone (a parte i suoi neurolesi fans) se mai dovessero trovarsi ad un suo concerto, poi ci sono “le merendine atomiche”, i “cronical diarreah”,gli “urine festival”, i “vomitory”, i “putridity” (esistono davvero!)…ma no, dai, lasciamo stare la musica. Questa gente lascerà un segno indelebile nel panorama musicale come una scoreggia nella bora di Trieste.

Quelli che hanno fatto musica vera o sono morti uccisi dal tempo, dall’alcol, dalle droghe e dall’AIDS o sono troppo vecchi per reggere un concerto di tre ore…

Ok, allora si va sul culturale, andiamo a vedere una bella mostra d’arte. Oggi c’è in esposizione un tale che si chiama Lucio Fontana. Uno che fa arte tagliando le tele o facendoci dei buchi. Ok, non discuto il povero Fontana che, tra l’altro, è morto da un pezzo, ma quale imbecille sta glorificando oggi un’opera d’arte degna del peggior Freddy Kruger? Cercare un messaggio artistico in una tela lacerata da un banale taglierino e faselo pagare centinaia di migliaia di Euro dal miliardario gonzo di turno mi fa pensare ad un’abile messa in scena della Yakuza che governa il deserto dell’arte oggi. Se facessi il critico d’arte azzarderei l’interpretazione che il buon Fontana, nelle sue opere di buchi e tagli si è ispirato alla cosa che più di tutte gli uomini (anche i non artisti) hanno in testa: la figa.

Poi ci sono quelli che sputano sulla tela, quelli che dipingono con la cacca, quelli che fanno dipingere al loro figlio di tre anni e riescono a convincere qualcuno a dire che è “arte astratta che trasuda malinconia sociale mista ad uno scettiscismo mistico tipico delle anime infelici”.

Ma se qualcuno di talento riuscisse oggi a dipingere soggetti al passo dei tempi (non dico Monna Lisa) con la tecnica, i colori e le ombre di un Caravaggio o di un Van Gogh verrebbe cacciato a calci in culo dalle gallerie e bollato come asino? O più semplicemente dobbiamo giungere alla conclusione che uomini così non ne nascono più? Perchè?

Voglio puntualizzare che non sono un nostalgico dei tempi andati, uno di quelli che “si stava meglio quando si stava peggio”, a me piacciono questi tempi di progresso tecnologico, di infinite scelte, di comodità solo qualche anno fa impensabili, ma mi chiedo: non sarà che tutto questo progresso ci ha rammolliti? Non avrà ucciso la nostra creatività, il nostro talento naturale? E non sarà che questa anestesia cerebrale ci impedisce di trovare in noi stessi quella forza delle idee che ci permetta di uscire dalla crisi senza delegare questo compito a dei governanti inetti e ladroni? Se fosse così siamo davvero nella merda…

Svegliamoci, riappropriamoci del nostro tempo e delle nostre funzioni cerebrali invece di sacrificarle a Boldi che cade dalla scala.

Credo che l’unico settore, tra quelli elencati prima che ancora si salvi sia quello della scrittura, dei libri, dove alcune valide e coraggiose voci sempre più isolate cercano di urlare, nel deserto dell’indifferenza, un grido di risveglio delle coscienze creative. Ma oggi si legge sempre meno, preferiamo ad un buon libro il Festival di San Remo, Checco Zalone e Stallone ottantenne che ancora fa strage di cattivoni. Che tristezza…

La mente più illustre che sia mai esistita, Albert Einstein, ai primi del 900 aveva detto: “non possiamo pretendere che le cose cambino, se continuiamo a fare le stesse cose”. Amara verità.

Il ventriloquo

Daniel era un noto ventriloquo. Si era esibito sui più famosi palcoscenici del mondo insieme al suo pappagallo di pezza a cui aveva dato il nome di Gonzalo e gli faceva dire tutto quello che voleva senza che nessuno si accorgesse che il suono delle sue parole veniva dal suo diaframma invece che dalla bocca di Gonzalo che si apriva e si chiudeva, ovviamente manovrata da lui.

Questo sdoppiamento del suo volere, tra atto fisico ed effettiva volontà, lo aveva sempre stupito ed affascinato, al punto che non si rendeva conto nemmeno lui di come fosse possibile questo tipo di dialogo scisso tra la sua mente ed i suoi pensieri da una parte e l’uccello finto dall’altra, che, suo malgrado, era diventato il protagonista di tutti i suoi spettacoli.

Fu durante la lettura di un libro di Alberto Moravia, ” Io e lui”, che gli avevano regalato ad un compleanno, che a Daniel venne un’idea balzana. Si chiese se questo tipo di dialogo potesse funzionare anche al contrario, sfruttando le sue capacità. Per sperimentare questa teoria doveva instaurare un dialogo con una parte di se stesso, non poteva essere altrimenti, e quindi se funzionava con Gonzalo che era il suo uccello finto, Daniel si chiese se poteva dar voce al suo uccello vero che fino ad allora lo aveva sempre in un certo senso guidato ma a cui non aveva mai dato voce autonoma.

Aveva sempre avuto sane ed irrefrenabili pulsioni sessuali con le molte donne con cui aveva avuto a che fare, niente di anormale, ma quando gli si paravano davanti sperimentava, a livello inconscio, quella sensazione di sdoppiamento che era solito mettere in scena nei suoi spettacoli dando voce a Gonzalo. Si rendeva conto che i suoi pensieri e desideri non corrispondevano affatto a quello che veniva espresso dalle sue parole nei dialoghi con il gentil sesso, così mentre si trovava a pensare ” hai delle tette da urlo, ci perderei le ore a toccarle”, si trovava a parlare di situazioni familiari o del senso della vita cercando frasi ad effetto che potessero colpire la sua interlocutrice. A volte funzionava, altre volte no.

Fu così che un bel giorno decise di effettuare un esperimento, forte delle sue doti professionali, e quindi si concentrò nel dar voce al suo uccello nel dialogo che gli fosse capitato con la prossima ragazza con cui sarebbe uscito. Per entrare completamente nel ruolo, si vide costretto a dare un nome al suo pisello. Se funzionava con Gonzalo, avrebbe dovuto senz’altro funzionare con lui, e chissà cosa sarebbe successo.

Era curioso ed emozionato, quindi decise di ribattezzarlo Cirillo, in nome del suo bisnonno che gli avevano raccontato fosse morto durante una scopata con una donna inglese in tempo di guerra…non aveva mai saputo se fosse verità o solo una leggenda familiare, ma gli faceva comunque piacere dedicare quella nuova impresa al suo sconosciuto e leggendario parente.

Dato che non poteva arrivare impreparato all’appuntamento, si esercitò per intere giornate a dar campo libero a Cirillo senza che i di lui pensieri fossero filtrati dalla mente conscia di Daniel. Con sua incredibile sorpresa scoprì che Cirillo aveva in effetti un cervello, una volontà, o comunque lo si voglia chiamare, tutto suo che dialogava in qualche modo con l’effettivo cervello razionale di Daniel, solo che quest’ultimo, per consolidata abitudine, poneva una stretta censura a tutto quello che veniva fuori dai pensieri lascivi di Cirillo, i quali, inevitabilmente, non avevano voce propria, ma restavano confinati nell’inconscio di Daniel confusi con quelli della sua coscienza.

Finalmente arrivò la sera tanto attesa per il rivoluzionario esperimento, in cui il ventriloquo aveva imparato a lasciare campo libero a Cirillo senza frapporre i filtri automatici della ragione derivanti dai suoi pensieri dettati dalle regole su come ci si dovesse comportare in determinate situazioni.

Se funzionava avrebbe scoperto un mondo, se non fosse andata bene avrebbe fatto un buco nell’acqua ed avrebbe preso un bel due di picche. Non sarebbe stata la prima nè l’ultima volta, quindi…pazienza.

Proprio per non avere rimpianti su un’occasione sprecata decise di tentare con una ragazza che aveva conosciuto qualche anno prima e che aveva incontrato saltuariamente senza che fosse mai successo nulla. A dire il vero non era proprio niente di speciale ma quella sera si sentiva come Enrico Fermi quando doveva dimostrare che anni di studi sulla bomba atomica potevano funzionare veramente per cambiare il mondo.

Prese contatti con la cavia prescelta, Agnese, e fissò un appuntamento a cena utilizzando ancora la testa di Daniel quantomeno per l’organizzazione logistica dell’incontro. Una volta di fronte alla sua interlocutrice, avrebbe lasciato campo libero a Cirillo e sarebbe stato a vedere cosa sarebbe successo.

L’appuntamento era alle 20,30 al ristorante “Sakamoto”, il miglior giapponese della città. Cirillo, come location, non si sarebbe accontentato di nulla di meno per il suo esordio nell’approccio con una donna. Si salutarono con circostanza e presero posto a sedere. In quel preciso istante, Daniel iniziò a ad usare la sua bocca, oltre che per gustare l’ottimo cibo, anche per dar campo libero e voce a Cirillo. La sua mente, almeno per quella sera, poteva essere compiaciuta spettatrice di tutto quello che sarebbe successo.

Il buon Cirillo non poteva certo attingere ad argomenti elaborati e culturali alla pari del cervello di Daniel quindi partì in quarta con il sesso in cui invece era un maestro. A dire il vero non lo fece in modo volgare ed aggressivo, ma dimostrò invece di possedere un notevole savoir faire unito ad adeguata spregiudicatezza. Argomenti eleganti e diretti conditi da complimenti sull’aspetto fisico di Agnese che dimostrava di apprezzare molto le attenzioni.

Tutti i segnali corporei della ragazza stavano a dimostrare che l’argomento, accompagnato dai complimenti, la intrigava alquanto. Iniziò con l’attorcigliarsi ciocche di capelli, continuava a toccarsi il collo, a giocare con l’accendino di Daniel, fino ad arrivare a fare gesti inequivocabili con il dito sull’orlo del bicchiere.

Daniel era davvero stupito su come le donne si lasciassero intrigare molto di più dagli argomenti diretti del cervello nascosto degli uomini rispetto a quello ufficiale che spesso commetteva errori imperdonabili. Del resto Cirillo non mentiva mai e questa era una dote che le donne apprezzano molto, mentre dimostravano di accorgersi da minimi dettagli quando lo stesso uomo cercava di prenderle per il culo.

Cirillo, in quel momento, gli stava dando una lezione di vita ottenendo risultati di molto superiori ad ogni sua più rosea aspettativa. Più volte la sua mente conscia si era trovata in disaccordo sulla temerarietà degli assunti cirillici e lui si era trovato umoristicamente a pensare che fossero proprio degli “argomenti del cazzo” ma continuò a lasciarlo fare, in fondo l’esperimento doveva concludersi fino alla fine.

Giunti alle ultime battute della cena, allorquando era arrivato il momento di decidere se e come proseguire la serata, Cirillo manifestò, per bocca di Daniel, la volontà di un pò di appassionata intimità per “andare più a fondo in quella meravigliosa conoscenza” che aveva avuto luogo in quelle ore, accompagnata da un buon bicchiere di porto che magari le avrebbe fatto rivelare qualche altro segreto che ancora non era stato scoperto della sua appassionata e spregiudicata personalità.

Una volta in auto, Daniel decise inopinatamente di riprendere in mano il filo del discorso, togliendo voce a Cirillo e riprendendo le redini dell’incontro, ormai convinto che la serata di sesso fosse cosa acquisita. Iniziò a parlare di progetti di vita e pettegolezzi su amicizie comuni che lasciarono alquanto interdetta Agnese, la quale forse percepì un certo cambiamento di rotta nella linearità della serata. La banalità del discorso, una volta giunti sotto casa di Daniel, aveva provocato un brusco cambiamento degli intenti della ragazza, la quale espresse la volontà di essere riaccompagnata a casa con il pretesto che l’indomani avrebbe dovuto alzarsi presto per svolgere del lavoro che aveva in arretrato. Daniel, suo malgrado, l’accontentò e rientrò a casa da solo.

Mentre apriva la porta di casa, si ritrovò a pronunciare un “vaffanculo!” ad alta voce ed alla fine si addormentò chiedendosi se fosse stato effettivamente lui a maledire se stesso ad alta voce oppure se Cirillo aveva comunque voluto dire l’ultima, sintomatica frase di quella strana, inconsueta serata.

Odio le feste

Non me ne vogliano i cattolici osservanti ma io detesto questo periodo di feste e finta atmosfera natalizia.

E’ falso come una moneta di cioccolata, pieno di un finto buonismo che rende le persone ancora più insopportabili. Dovunque senti dire: “a Natale siamo tutti più buoni”. Ma che cazzo vuol dire? che sei buono un paio di giorni e per il resto dell’anno sei un gran bastardo?

E’ un periodo pieno di forzata allegria e a me infonde una sconfinata tristezza, una specie di inutile armistizio creato dal sistema per far dimenticare i problemi e far spendere soldi alla gente.

Se ti capita qualcosa di spiacevole, tutto quello che ti sta intorno funziona quasi da cassa di risonanza che ti ingigantisce il problema. Stare di merda a Natale è proprio una sfiga…già…perchè se capita a maggio, allora ti senti meglio.

Poi c’è la stronzata immensa dei regali. L’ho sempre pensato, il Natale è fatto per i bambini, solo loro meritano attenzioni e regali. Oddio, se vuoi i regali li puoi fare sempre, ma ci sono ancora quelli che credono a Babbo Natale ed è un peccato deluderli per quei pochi anni in cui si vive ancora nel mondo delle favole. Avranno tempo e modo di accorgersi da soli, grazie alla vita, che non solo Babbo Natale non esiste ma che il mondo è fatto solo di carbone e di befane, senza scopa.

A Natale siamo tutti più buoni….questo l’ho già detto, ma anche più grassi. Quasi ci fosse una stupida giustificazione ad ingozzarsi come maiali di tutte le porcherie gastronomiche che la mente umana possa immaginare. Un pranzo dietro l’altro, cenoni a go go…”tanto a gennaio inizio ad andare in palestra”. Ma quanto sono imbecilli? E’ come darsi una martellata in testa…tanto poi in ospedale mi mettono i punti.

E’ il periodo dei buoni propositi: “dall’anno prossimo faccio questo e quest’altro”, “voglio cambiare vita”…poi arriva gennaio e si riprende il solito tran tran aspettando una nuova scadenza che ti tranquillizza.

“Oggi è il primo giorno del tempo che ci resta, un giorno buono per ricominciare”, recita una canzone. Giuste parole. La vita è fatta di giorni tutti uguali, siamo noi che attribuiamo un valore alle cose, così come ai giorni che viviamo, ed ogni giorno è degno del massimo rispetto, perchè il tempo è la cosa più democratica che ci sia, passa per tutti alla stessa maniera.

Ci sono quelli che danno mance ed elemosina solo sotto Natale ed il resto dell’anno non cagano certe persone neanche di striscio, quelli che passano il Natale in famiglia e tornano a troie appena le feste sono passate, quelli che non ti cagano di pezza tutto l’anno ed in quel periodo mandano quei patetici messaggini “di massa” a tutta la rubrica: “un caro augurio di buone feste da Pasquale Ciociammocca e famiglia”. Ma vaffanculo Pasquale! Magari neanche ci salutiamo durante l’anno e poi mi mandi un messaggio del cazzo magari svegliandomi alle sette di mattina del 25 dicembre. Te li potevi risparmiare quei 10 centesimi. Anzi magari neanche li hai pagati perchè a natale c’è l’offerta Trombafone Christmas all inclusive verso tutti i cellulari…

Per non parlare del traffico delirante e dei supermercati presi d’assedio dove non resta neanche più un vasetto di cetriolini sottaceto in offerta…perchè tanto a Natale si magna di tutto.

Infine c’è la fregola dell’organizzazione di feste, festini, cene e cenoni in locali di ogni tipo, dove per la modica cifra di 300 euro puoi prenotare il cenone di capodanno mangiando spazzatura che non pagheresti 20 euro durante tutto il resto dell’anno.

Mi chiedo: che resta di bello delle feste di Natale? Una sola cosa, dal mio modesto punto di vista: l’opportunità di avere qualche giorno libero da trascorrere con le persone che ami veramente, davanti ad un semplice piatto di spaghetti al pomodoro, con un bicchiere di buon vino e due chiacchiere ascoltando il notturno di Chopin in sottofondo.

Ah, a chi avesse la fortuna di passarle in questo modo, consiglio di spegnere il cellulare, onde evitare i messaggini funesti di Pasquale…

Grazie!

Grazie. Una parola che usiamo sempre troppo poco e che invece dovremmo ripetere in continuazione, perché c’è sempre qualcosa o qualcuno da ringraziare ogni minuto della nostra vita.

Grazie al destino (chiamiamolo così) che ha voluto che oggi io sia ancora qui. Il tempo, una volta che ti ha agganciato alla nascita, ti trascina via, facendoti incontrare cose belle ed altre meno belle, il tutto comunque sulla mia personale corsia che si intreccia con gli innumerevoli incroci delle vie del tempo di tanti altri, i quali hanno comunque lasciato in me un segno, un ricordo. A volte istantaneo e subito scivolato via nel pozzo senza fondo dell’oblio ed altre volte profondo ed incancellabile, a prescindere da quanto ci siano stati vicino. Amicizia, amore o affetto non hanno il tempo come unità di misura. Ho parlato per anni con persone di cui ricordo a malapena volto e gesti ed ho invece impressi nel cuore voce, viso e parole di persone incrociate per pochissimo e mai più riviste. Grazie anche a tutti loro per aver reso più ricca la mia vita anche se non lo sapranno mai. Da cosa dipende? Io lo chiamo il linguaggio dell’anima. Questi linguaggi, in alcune persone non li comprendo, in altri li capisco anche senza le parole, e non c’è cosa più stupefacente di due persone che comunicano senza parlare. Credo abbia ragione chi una volta ha detto che la parola ci è stata data per nascondere le nostre emozioni. Ma ci sono persone cui non possiamo nascondere nulla.

Grazie a tutti coloro che mi hanno dedicato anche un solo istante della loro vita, con un pensiero, una parola, una frase, un consiglio, un augurio, un incoraggiamento, una stretta di mano o un aiuto concreto. Siamo sempre contenti quando succede ma non riusciamo mai a compensarlo con tutte le volte che siamo noi ad offrire qualcosa agli altri, sicchè è sempre quest’ultimo aspetto che, solo, ci appare nel bilancio della nostra mente la quale inevitabilmente ci porta a considerarci sempre in credito con l’umanità quando invece non è quasi mai così.

Grazie a tutti quelli che mi hanno anche pesantemente criticato, condannando alcuni miei comportamenti nei confronti loro o di altri. Comunque mi hanno spinto a riflettere, a guardare dentro di me, cosa che raramente ci accade, a processare i miei pensieri per arrivare a concludere che spesso avevano anche ragione. Gesti e parole sono per metà di chi li compie e per metà di chi li subisce. Noi vediamo solo il nostro 50% ignorando completamente l’altra metà.

Grazie ai miei genitori, che mi hanno dato tutto ciò che potevano, anche se quel tutto non era forse quello di cui avevo bisogno, ma erano mossi dal più puro dei sentimenti e l’ho capito solo col tempo.

Grazie a chi mi ha insegnato quello che ora so, a chi ha contribuito alla mia esperienza personale, culturale ed affettiva. Il sapere è frazionato tra tutti quanti e non è detto che un bambino non abbia qualcosa di importante da insegnare ad un premio nobel.

Grazie anche a tutti quelli che, per chissà quale ragione, non ho mai conosciuto abbastanza e tra i quali mi piace sempre fantasticare che ci sarebbero state altre grandi amicizie e grandi amori.

Facile…difficile

Spesso si tende ad affermare nella vita che le grandi soddisfazioni, le quali danno il più alto senso di benessere alle persone, vengono dalla difficoltà delle azioni che si compiono. Più un’opera è difficile, maggiore è la soddisfazione che ne deriva.

Davvero è sempre così? Il discorso regge allorquando si tratta di creazioni materiali o competizioni sportive. Concludere una maratona è più difficile che correre per 5 o 10 chilometri; scrivere un libro è senza dubbio più impegnativo che scrivere un articoletto di giornale, e la soddisfazione che ne deriva cresce di conseguenza.

Ma se spostiamo il discorso su noi stessi e sui comportamenti che ci potrebbero portare enormi benefici, malgrado all’apparenza sia la cosa più facile del mondo, dipendendo dalla volontà, tutto invece si complica, e non poco. Pensiamo alle cattive abitudini di cui siamo consapevoli che faremmo bene a limitare o sopprimere, del tipo fumare, bere o mangiare troppo; pensiamo alla possibilità di perdonare quelli che ci hanno fatto soffrire a causa di gesti o parole che non ci sono piaciute; pensiamo al voler bene a noi stessi sempre e comunque invece che maledirci ogni volta che commettiamo un errore; pensiamo alla possibilità di essere ottimisti sul futuro invece di vedere il male in tutti ed in tutto.

E si badi che non è una questione puramente caratteriale che cambia da persona a persona, ma una costante autodistruttiva del nostro essere di cui non riusciamo a liberarci malgrado siamo consapevoli che una maggiore forza di volontà potrebbe eliminare tutti quei difetti che ci rendono la vita un inferno. Lao Tze diceva giustamente: “Chi conquista il prossimo è potente, chi domina se stesso è invincibile”.

Per la maggior parte di noi le cattive abitudini, radicatesi nell’intera società, sono quasi diventate dei rassicuranti gesti quotidiani e non bastano le infinite motivazioni che dovrebbero indurci a cambiare strada per ottenere gli enormi, conseguenti benefici. Invece di scegliere liberamente il percorso che ci porterebbe ad una vita più sana e più felice, insistiamo follemente su una via che siamo consapevoli essere quella sbagliata, ma non riusciamo a fare altrimenti. Come mai?

La risposta che mi sono dato è che ci manca una sufficiente consapevolezza, quella convinzione interiore e profonda che si armonizza con il nostro io più autentico.La consapevolezza non è come la conoscenza, non si può inculcare come un dato o una nozione qualsiasi, ma rappresenta quella “luce” che eleva la persona al di sopra dell’ignoranza e della massificazione. Consapevolezza è osservare senza giudicare, accettare che altri commettano errori come i nostri e perdonarli se ne siamo la vittima, seguire la nostra anima e non la nostra mente razionale. Abbiamo tutti gli elementi per poterlo fare e cambiare la nostra vita, allora perché non iniziare da subito?

“Oggi è il primo giorno del tempo che ci resta…un giorno buono per incominciare”