esperienze

Il ritorno dell’equilibrista

Qualcuno mi sembra abbia detto una volta: “Come un equilibrista sul tetto del mondo, non temo di cadere, mi concentro sul mio andare avanti e intanto mi godo la vista di un incantevole panorama”. Allora perchè non continuare a raccontarci il panorama col tuo andare avanti? Del resto, un equilibrista non può fermarsi a metà…

La strada

Ogni istante lasciamo un pezzo di noi sulla strada di una vita che non sai mai dove ti porta.

Le strade degli uomini sono fatte di salite e discese, non può esistere una strada che sia tutta in discesa e neanche una tutta in salita.

Non maledire le difficoltà di una strada impervia, ti faranno apprezzare quella più comoda che verrà.

Le variabili sono molte, ed il destino beffardo ed imprevedibile può farti camminare in discesa sotto la pioggia battente oppure decidere di regalarti uno splendido sole sotto una ripida salita, non sei tu che decidi.

Tu puoi solo andare avanti. Non ti è concesso neanche fermarti.

Sta a te decidere se farlo con un sorriso da lasciare a quelli che ti camminano a fianco.

Un libro

Mi piace perdermi tra le righe di un libro. Sfogliare le sue pagine una ad una, annusare quell’inconfondibile odore, lasciando andare la mente nei luoghi del racconto, immaginandoseli come se fosse un invisibile spettatore.

Sembra quasi di vedere con gli occhi i tratti, le mosse e i luoghi dei protagonisti. Le parole scritte spesso sono in grado di toccare le corde dei sensi facendoteli immaginare, amare, odiare come se fossi lì. Ma non puoi fare nulla, solo stare a seguire quel filo irresistibile che un’abile mente ha già tessuto e che ti trascina verso l’inaspettato o prevedibile finale.

In un libro il tempo non esiste, puoi essere trasportato in ogni epoca del passato o del futuro, essere presente ad eventi storici reali o fittizi come se potessi saltare in mille universi paralleli. Un libro è la realizzazione delle teorie della fisica più ardita.

Un bel libro è un viaggio che intraprendi da solo, in cui sei libero di scandire le tappe e che, quando arrivi all’ultima pagina, ti lascia l’amaro in bocca di una bella vacanza che si conclude e di un amico che ti lascia.

Il fantamegamarket

Sabato mattina mi svegliai di soprassalto come se mi fossi ridestato da un incubo. Avevo cullato il sogno di un sabato mattina tranquillo dedicato all’ozio completo, dopo una settimana molto dura ed invece…mi toccava accompagnare mia moglie al centro commerciale per la megaspesa, l’attività più odiata dagli italiani (uomini coniugati).

Ho sempre detestato i centri commerciali, quei megamarket che sembrano dei veri e propri templi eretti al consumismo inutile. Ok, l’uomo deve pur nutrirsi ma se quei supermercati si fossero limitati a vendere quello che era davvero indispensabile (e salutare) per la sopravvivenza di un essere umano, sarebbe bastato un locale grande quanto il cesso di casa mia. Infatti mi trovai a pensare con nostalgia a neanche tanto tempo fa quando quei mostri neanche esistevano e mia madre andava a fare la spesa dal piccolo salumaio di fronte e dal fruttivendolo accanto che conoscevano tutti e da cui avevi persino la possibilità di aprire una linea di credito da saldare quando volevi. Bella comodità…e poi in dieci minuti avevi finito, attraversavi la strada ed eri già a casa…

Del resto non mi ricordo mancasse nulla in tavola neanche allora, nelle occasioni speciali quali i pranzi di Natale o i compleanni, c’era ogni ben di dio che aveva anche un gusto diverso, più forte e genuino di quelli di adesso. Certi sapori li ricordo ancora se faccio mente locale, mentre l’arrosto di ieri sera, avendo avuto la fortuna che non mi fosse rimasto sullo stomaco, non me lo ricordavo neppure.

Allora perchè fare code chilometriche e spendere una fortuna per roba inutile? Mah…misteri del progresso…

Malvolentieri mi metto in macchina con mia moglie accanto, diretti al Fantamegamarket “Le torri”, distante 25 chilometri per poi sorbirmi una coda anche per il parcheggio degna di un concerto degli U2.

Mia moglie Ha in mano uno di quegli opuscoli pubblicitari che ti infilano a pacchi nel portone di casa in cui si elencano tutte le offerte del mese che lei aveva già studiato in precedenza ma che stava diligentemente ripassando nel tragitto in auto come un ragioniere psicotico, elogiando la convenienza di svariati prodotti a prezzi davvero imbattibili.

Pensavo che se avesse messo in conto la benzina consumata e soprattutto l’inestimabile valore del tempo libero che stavamo perdendo, i conti non sarebbero affatto tornati.

Eh già…le offerte! Questa trappola letale in cui cascano tutte le casalinghe del mondo, affascinate da quel luna park di colori che offre merce a prezzi imbattibili. Le donne di casa sono letteralmente ossessionate dalle offerte nei supermarket, comprano una marea di roba assolutamente inutile solo perchè è in offerta. Se avessero venduto la merda in offerta, loro l’avrebbero comprata.

All’interno di quelle cattedrali del consumismo ci sono persino i banchi informazioni perchè davvero rischi di perderti e durante il fine settimana quei posti non hanno niente da invidiare al suk dei paesi arabi dove se perdi un bambino rischi di non ritrovarlo mai più.

Lì dentro si perde la cognizione del tempo, è un luogo dove non vigono le normali leggi della fisica, una sorta di curvatura dello spaziotempo in cui entri con il sole ed esci che è notte fonda perchè sono aperti fino a quell’ora.

Una banale lista della spesa è inutile, per andare a caccia di quello che esattamente ti serve, sarebbe necessario l’Indiana Jones dei tempi migliori. Cerchi una banalissima Peroni? Auguri! Nel settore birre, che occupa due scaffali chilometrici, ci sono bottiglie che ti ubriacano solo a guardarle. Doppio malto, triplo malto, al limone, superalcoliche, analcoliche… Ma, di grazia, a che serve una birra analcolica? Fa schifo! Se non puoi bere alcol perchè te lo ha prescritto il medico evita le bevande alcoliche, punto. Ci sarà un motivo per cui non esiste il gin o la grappa analcolica.

Poi prendi il bigliettino e ti metti in coda al banco gastronomia dove scopri che sei il settantesimo della fila…neanche in Posta all’ora di punta ti ricapita. Il programma è quello di prendere un pò di affettati, che so prosciutto e salame ma il panorama del cimitero suino che si para davanti ai tuoi occhi ha dell’incredibile…salami di grandezze e forme diverse provenienti da paesi che neanche conosci, prosciutti con gradazioni di sale e grasso su cui potresti stilare una tavola periodica, mortadelle al tartufo, al pepe, alle spezie, al rosmarino, alle noci e per i più fantasiosi addirittura salumi con all’interno facce di orsetti e papere disegnate.

Per non parlare dei formaggi…ti serve del grana? Sei antico! Ti guardano male se lo ordini. Lo tengono ancora solo per i nostalgici. Molto meglio il geitost norvegese o l’oscypek polacco (di che sapranno?) o magari una bella ricotta di Yak o due etti di formaggio agli acari tedesco che ti assicurano avere un gusto impareggiabile. Un formaggio agli acari credo mi assicurerebbe solo una notte di feroce diarrea…

Dopo un periodo di tempo in cui avresti potuto vedere il derby in TV ti ritrovi nel reparto più terrificante di tutti i supermercati: gli yogurt!

Ma, di grazia, che bisogno c’è di una varietà simile di un alimento neppure tanto indispensabile? Avete mai provato a contare quante specie di yogurt ci sono in vendita anche in un supermarket di piccole dimensioni? Magari hanno finito la Peroni ma lo yogurt alla papaya o alle erbe alpine non manca mai.

Reparto frutta e verdura. Cerchi un piede d’insalata, mele, pere ed arance? A parte il fatto che hanno un colore che sembra falso come il dispiacere di Barbara D’Urso nelle sue trasmissioni, c’è da dire che sono di un’infinità di fogge diverse e non sai quale scegliere, così finisci per prenderne un pò a casa, tanto non sanno di un cazzo tutte quante.

Mentre faccio queste riflessioni mia moglie ha riempito il carrello di merci in offerta e noto una quantità di pacchi di dentifricio che mi toccherà campare fino a cent’anni per consumarlo tutto, a meno che non lo lasci in eredità ai figli.

Poco prima di avviarsi ad una delle decine di casse, che si rivelerà immancabilmente la più lenta di tutte in base all’infallibile legge di Murphy, mia moglie scova un’offertona non menzionata sul suo opuscolo evangelico. “Guarda! c’è l’olio in offerta, prendiamone un pò di litri!” Sta per aggiungere un pò del prodotto sul carrello che ha raggiunto le dimensioni della piramide di Giza quando la guardo divertito e le faccio: “Cara, il Castrol è un olio per le auto. Non vorrai farmi stasera una frittura di calamari con quello, vero?”

Il mago dei regali

Una persona che considero un vero amico mi ha di recente fatto un regalo. Tra le doti che gli riconosco, oltre a quella fondamentale di una vera e disinteressata amicizia con la A maiuscola nei miei confronti, già di per se un bene prezioso al giorno d’oggi, c’è la sua innata capacità di azzeccare sempre i regali che decide di farmi.

La vita ci offre una miriade di occasioni standard per fare regali: compleanni, Natale, lauree, nascita di un bambino, San Valentino, matrimoni, tutti eventi in cui si arriva a ridosso della scadenza e si è perennemente in crisi al pensiero di cosa regalare all’amato/a, al figlio/a o al laureando/a di turno. Il più delle volte si finisce con lo spremersi le meningi inutilmente e ripiegare in zona Cesarini su un evergreen che nel 99% dei casi finirà in fondo ad un cassetto o, nella peggiore delle ipotesi, nel bidone della spazzatura (per gli ecologisti convinti si procederà al drammatico rituale del riciclaggio del regalo in questione che finirà per entrare in un terrificante giro che a volte lo riporta beffardamente alla persona che ha iniziato la catena).

Quindi ecco che arrivano cravatte, cornici d’argento, penne stilografiche, libri su argomenti demenziali ma di pregiata edizione, collanine con santi e madonne, agende di pelle…insomma la tomba della fantasia. Ed a questa miserabile pantomima fa da contraltare l’espressione pseudofelice del malcapitato ricevente/festeggiato che, scartando l’ennesima cravatta (anche se di Hermès) che non indosserebbe neanche ad un veglione di carnevale vestito da Sbirulino, esclama la frase di rito già rodata: “ma è stupenda! proprio quella che desideravo, ottima scelta…grazie! Grazie davvero!”. L’ha imparata a memoria, reprimendo conati di vomito e la recita ormai da attore consumato meritevole dell’oscar per qualsiasi pezzo di ciarpame si trovi costretto a scartare alla presenza dei mittenti che, con la coscienza sporca, sfoggiano anch’essi un sorriso di circostanza falso come un doblone di cioccolata, sperando, in cuor loro, che quel devastante momento finisca quanto prima e che il povero festeggiato passi al prossimo regalo. Il trionfo dell’ipocrisia.

Tutto questo solo perchè ai regalanti non frega una beata minchia della persona e quindi del regalo, e magari neanche volevano andarci a quella stramaledetta festa o matrimonio.

Personalmente, quindi, ritengo che il trucco per un buon regalo sia quello di essere “sentito” se fatto ad una persona a cui tieni veramente. Come in tutte le cose della vita, quando ci si mette il cuore non si sbaglia mai. Di contro, anche se doveste regalare una cravatta, state pur certi che il festeggiato avrà da conto quella cravatta come nessun’altra. La indosserà ogni volta che ne avrà l’occasione e diventerà quasi un portafortuna, arrivando a conservarla gelosamente anche quando avrà terminato la sua carriera di cravatta indossabile.

Le cose, come le persone su questo strano mondo, sono tutte fatte della stessa cosa primaria: l’energia (E=mc2, vi dice niente?). Ed energia positiva finirà inevitabilmente per attrarre altra energia positiva e viceversa. E’ una regola fisica semplicissima, ma pare che la stragrande maggioranza del genere umano non l’abbia ancora compresa.

Tornando al regalo che ho ricevuto, devo dire che si tratta di un quadro. Una riproduzione di un’opera di un artista francese, Paul Signac, dal titolo “Ritratto di Felix Feneon”.

Premetto che l’arte pittorica non è mai stata tra le mie passioni, quindi sarei stato portato a pensare che si sarebbe trattato di un regalo che non mi si addiceva, invece…

Per prima cosa sono stato colpito dai colori della tela, mi hanno provocato una serie di sensazioni contrastanti, una sorta di caos che attrae subito l’osservatore. Poi mi sono invece soffermato sull’uomo in primo piano, distinto ed elegante, sulla sua espressione concentrata unicamente sul piccolo fiore bianco che tiene in mano, simbolo di purezza, incurante del colorato caos che lo circonda. Mi è subito parso, dopo un pò che l’osservavo, come una perfetta metafora della vita, dove basta non lasciarsi prendere dalla spirale caotica della società consumistica per volgere lo sguardo e proteggere quello che più conta, la propria fragile coscienza.

Mi sono documentato su quell’opera e…ci avevo azzeccato in pieno! Sono riuscito a cogliere l’esatto messaggio dell’autore e questo mi ha reso molto soddisfatto e mi ha fatto apprezzare quell’opera non solo per il valore affettivo che riveste, ma anche come una mia iniziazione allo splendido mondo dell’arte.

Un grazie quindi al mio amico Bruno per il suo splendido regalo…

Oltre la nebbia

Che fare quando senti qualcosa che ti grida dentro che la vita non funziona così come la stai vivendo? E cos’è quel qualcosa? Dove vuole portarti, ma soprattutto come?

Tempo fa ho inserito il mio gettone nel videogame della vita, ho avuto qualche arma di base e mi sono conquistato le altre combattendo e sconfiggendo qualche nemico. Qualcun altro, invece mi ha accorciato la linea verde dell’energia ed il timore è sempre quello che sullo schermo appaia la scritta GAME OVER ed io avrei finito i gettoni. Avrei giocato la partita solo combattendo per poi essere sconfitto senza arrivare a capire cosa c’è in fondo al gioco.

Non voglio sprecare il mio gettone e la mia vita combattendo, vorrei cambiare perchè così non mi piace.

Sogno ogni giorno un’esistenza nuova, tranquilla e luminosa, perchè quella che ho vissuto finora è avvolta in una foschia densa e confusa che nasconde quello che c’è oltre la punta del naso. Mi rendo conto che oltre questa nebbia c’è qualcosa di enorme ed importante da fare, ma non riesco ancora a capire che cosa.

Capitano sempre più spesso attimi, intuizioni in cui emozioni sconosciute si muovono nel cuore. Sono solo lampi lontani che faccio fatica a raggiungere.

Mi fa letteralmente imbestialire il fatto che il nostro presente ed il nostro futuro siano impostati su un “programma”, un copione che tutti siamo tenuti a recitare per non essere messi ai margini della società. La scuola, l’università, il lavoro, una casa, vestiti alla moda, la famiglia, il buon nome con gli altri, la loro considerazione ed accettazione. Tutte realtà preconfezionate impostate come regole da seguire per una vita “normale” ma che imprigionano il vero senso di libertà che c’è dentro ognuno di noi.

Quanti ingegneri, avvocati, medici, architetti, anche di successo, avrebbero voluto fare i pittori, i musicisti, i ballerini, gli scultori o i poeti? Quanti riconoscerebbero di aver sacrificato i loro sogni e la loro anima ad una “normalità” o ad un successo che non sentono loro?

Se tutti avessero fatto davvero quello che sentono, il mondo non sarebbe in queste condizioni.

Vorrei vivere una vita straordinaria, non legata a denaro e successo sociale, di quello non mi frega nulla, vorrei dare un senso a tutto, diradare quella nebbia e vedere oltre ma non so ancora davvero cosa desidero, ancora non mi è chiaro. Forse mi basterebbe essere l’artefice del mio vero destino, senza condizionamenti imposti da regole esterne che rischiano di farmi soffocare.

Se riesci a sintonizzarti su quelle sottili vibrazioni che ti arrivano, intuisci che esiste qualcosa di infinitamente superiore a tutto quello per cui hai combattuto e che possiedi. Potresti non riuscire mai a percepirle nel corso di tutta una vita ed allora la vivresti e consumeresti dormendo, ma se ti capita, allora noti che tutte le tue convinzioni si sgretolano, le priorità cambiano, quello che inseguivi fino a ieri perde completamente d’importanza e ti chiedi cosa sta succedendo…non riesci nemmeno a capire se è un bene o un male. Ti viene voglia di combattere, di tornare indietro, di riappropriarti della tua vita, o perlomeno di quella che fino a quel momento avevi creduto fosse la tua vita…ma ti rendi conto che è impossibile tornare indietro… poi una sera guardi uno strano film e senti la protagonista pronunciare queste parole: “La nostra vita non è nostra. Da grembo a tomba siamo legati ad altri, passati e presenti. E da ogni crimine o gentilezza generiamo il nostro destino”.

Pensieri e realtà

Tutto è energia. Il letto su cui dormiamo, la casa in cui abitiamo, il cibo che mangiamo. Noi stessi siamo forme di energia solo un pò più complessa. Lo ha dimostrato il grande Albert Einstein con la sua famosa e rivoluzionaria formula E=mc2. Quasi tutti la conoscono ma pochi sanno l’effettiva e sconvolgente portata di quella semplice formula. In parole semplici essa afferma che l’energia è equivalente alla massa contenuta o emessa da un corpo, laddove “c” è la costante determinata dalla velocità della luce.

Ogni massa può convertirsi in energia e, di converso, l’energia può trasformassi in massa anche se a noi umani questo poco importa dato che non abbiamo a che fare con nulla di questo nostro mondo fisico che viaggi alla stessa velocità della luce.

E se invece noi uomini avessimo esperienza quotidiana con qualcosa che può viaggiare a simili velocità senza rendercene conto? I nostri pensieri, per esempio. Chi ha mai calcolato la velocità di un pensiero? eppure sono decine di migliaia quelli che ci passano per la mente ogni giorno.

Ma se tutto è energia, perchè non possono esserlo anche i pensieri? Questo è poi quello che affermano anche molti scienziati di recente. Ne deriverebbe che essi possono per questo influenzare la materia, prima fra tutte, quella del cervello che li ha generati. Essi ispirano i sogni e le invenzioni, provocano attrazione o repulsione tra esseri umani, modellano i nostri livelli di consapevolezza e ci portano a prediligere certe cose a scapito di altre.

Edgar Cayce diceva che i pensieri sono cose e possono creare crimini o miracoli. Vero.

Credo quindi che la nostra realtà sia il risultato dei nostri pensieri, quell’energia che riusciamo, in qualche maniera misteriosa, a trasformare in massa sulla base dell’equazione einsteiniana.

Se pensiamo con la mente e le credenze di altri, che ci sono state trasmesse e che abbiamo appreso, formeremo una realtà che non è nostra, per questo è necessario andare il più possibile a fondo di noi stessi, della nostra più vera entità e dar libera espressione a quelli che sono i pensieri che sentiamo essere solo nostri, difenderli senza vergognarcene, anche se non sono “alla moda”, perchè solo allora saremo in grado di creare la nostra vera realtà e vivere più felici.

Lo sconosciuto

Chi siamo noi? Questo dovremmo saperlo, almeno credere di saperlo anche se a volte ci stupiamo da soli per ciò che facciamo o pensiamo, quindi davvero possiamo dire di conoscerci?

Ma come si fa a conoscersi davvero? Siamo sempre vissuti con noi stessi, in fondo non ci siamo mai separati neppure per un istante, ma forse abbiamo dato per scontate cose che non erano del tutto scontate. A chi non è mai capitato di avere reazioni inconsulte di cui ci si è pentiti o stupiti immediatamente dopo? Allora quale parte di noi è affiorata in quel determinato momento? Forse qualcosa che cerchiamo di nascondere anche a noi stessi, qualcosa che non accettiamo faccia parte della nostra persona e del nostro carattere.

Avete mai pensato che non vi siete mai visti veramente? Voi siete dentro quel corpo, siete quel corpo e la conoscenza che ne avete è alquanto indiretta, attraverso delle foto o uno specchio. E quante volte vi capita di non piacervi in quelle stesse foto o in quello stesso specchio? Comunque resta una conoscenza indiretta. Foto e specchio rimandano un’immagine che il più delle volte non è mai quella reale, per cui affermare che non vi siete mai visti e mai potrete vedervi è un dato di fatto inconfutabile.

Stesso discorso per la nostra voce. Suono e timbro percepito da noi stessi mentre parliamo è completamente diverso da quello percepito dagli altri. Avete mai provato ad ascoltare la vostra voce registrata? Irriconoscibile.

Ma allora siamo davvero così sconosciuti a noi stessi? Per quanto riguarda l’esterno abbiamo visto di si, forse perchè l’esterno non ha molta importanza (anche se per la maggior parte degli esseri umani sembra sia l’unica cosa essenziale), ma chi non cerca almeno di conoscersi internamente allora è destinato per sempre a restare un estraneo a se stesso. Un destino terribile, a ben pensarci. Convivere tutta la vita nel corpo e nella mente di uno sconosciuto.

Deve esistere una conoscenza che è molto più grande di noi e può essere raggiunta attraverso l’amore e la solidarietà totale ed incondizionata tra tutti gli esseri umani che sono in qualche maniera tutti collegati gli uni agli altri. Ma la società ed il suo stile di vita ci sta spingendo sempre di più verso l’isolamento e la solitudine, il vero male di questi tempi, che ci porta a metterci l’uno contro l’altro, nell’affannosa, inutile ricerca dell’affermazione di un ego che, da solo, non può arrivare da nessuna parte. Sconosciuti tra gli sconosciuti.

E’ facile comprendere chi resta aggrappato alle apparenze, alle mode ed alle infinite frivolezze della vita, esse sono un porto sicuro con regole precise e ben conosciute, un gioco con rigide istruzioni a cui adeguarsi. Chi le segue ha diritto a sedersi al tavolo dei giocatori, chi non le segue è fuori.

Io ho deciso di alzarmi da quel tavolo, non condividevo le regole e non mi piacevano molto i giocatori ma mi rendo conto che la strada è impervia, buia e sconosciuta per chi ha il coraggio di avventurarsi su sentieri che in pochissimi cercano di percorrere. Nessun punto di riferimento, solo una bussola che ci è stata data dalla nascita ma che non è mai stata usata.

Per questo bisogna credere sempre e solo in se stessi. Anche se gli altri ti sono contro, difendi sino alla morte le tue idee, sono le tue e non devi rinunciarci per sposare quelle di un altro. Le idee sono come i figli, non puoi rinnegarli anche se non sono perfetti, ma sono i tuoi e devi difenderli a qualunque costo.

Essere coerenti con le proprie idee è il vero modo di essere liberi. Seguire una moda significa non avere idee proprie, vuol dire che hai bisogno che qualche altro ti dica cosa fare, come devi vestire, dove devi andare a divertirti, cosa mangiare, cosa dire, cosa guardare alla TV, insomma diventi un burattino che non ha in mano i suoi fili, li ha qualcun altro e ti farà andare dove vuole lui, non dove decidi tu.

Pensa sempre con la tua testa, non cercare riscontri o approvazioni, non saranno mai unanimi e finiranno col privarti delle tue sicurezze. Non cercare consigli, anzi cerca, nei limiti del possibile, di non darne. I consigli sono giudizi travestiti e qualunque realtà va osservata, non giudicata per essere compresa. I giudizi, poi, sono come le impronte digitali, ogni essere umano sulla terra ha i suoi e quindi sono ciò che di meno obiettivo esista, frutto dell’esperienza di vita di ognuno.

Se vuoi davvero cambiare la tua vita cerca di non cambiare mai te stesso…

Odio le feste

Non me ne vogliano i cattolici osservanti ma io detesto questo periodo di feste e finta atmosfera natalizia.

E’ falso come una moneta di cioccolata, pieno di un finto buonismo che rende le persone ancora più insopportabili. Dovunque senti dire: “a Natale siamo tutti più buoni”. Ma che cazzo vuol dire? che sei buono un paio di giorni e per il resto dell’anno sei un gran bastardo?

E’ un periodo pieno di forzata allegria e a me infonde una sconfinata tristezza, una specie di inutile armistizio creato dal sistema per far dimenticare i problemi e far spendere soldi alla gente.

Se ti capita qualcosa di spiacevole, tutto quello che ti sta intorno funziona quasi da cassa di risonanza che ti ingigantisce il problema. Stare di merda a Natale è proprio una sfiga…già…perchè se capita a maggio, allora ti senti meglio.

Poi c’è la stronzata immensa dei regali. L’ho sempre pensato, il Natale è fatto per i bambini, solo loro meritano attenzioni e regali. Oddio, se vuoi i regali li puoi fare sempre, ma ci sono ancora quelli che credono a Babbo Natale ed è un peccato deluderli per quei pochi anni in cui si vive ancora nel mondo delle favole. Avranno tempo e modo di accorgersi da soli, grazie alla vita, che non solo Babbo Natale non esiste ma che il mondo è fatto solo di carbone e di befane, senza scopa.

A Natale siamo tutti più buoni….questo l’ho già detto, ma anche più grassi. Quasi ci fosse una stupida giustificazione ad ingozzarsi come maiali di tutte le porcherie gastronomiche che la mente umana possa immaginare. Un pranzo dietro l’altro, cenoni a go go…”tanto a gennaio inizio ad andare in palestra”. Ma quanto sono imbecilli? E’ come darsi una martellata in testa…tanto poi in ospedale mi mettono i punti.

E’ il periodo dei buoni propositi: “dall’anno prossimo faccio questo e quest’altro”, “voglio cambiare vita”…poi arriva gennaio e si riprende il solito tran tran aspettando una nuova scadenza che ti tranquillizza.

“Oggi è il primo giorno del tempo che ci resta, un giorno buono per ricominciare”, recita una canzone. Giuste parole. La vita è fatta di giorni tutti uguali, siamo noi che attribuiamo un valore alle cose, così come ai giorni che viviamo, ed ogni giorno è degno del massimo rispetto, perchè il tempo è la cosa più democratica che ci sia, passa per tutti alla stessa maniera.

Ci sono quelli che danno mance ed elemosina solo sotto Natale ed il resto dell’anno non cagano certe persone neanche di striscio, quelli che passano il Natale in famiglia e tornano a troie appena le feste sono passate, quelli che non ti cagano di pezza tutto l’anno ed in quel periodo mandano quei patetici messaggini “di massa” a tutta la rubrica: “un caro augurio di buone feste da Pasquale Ciociammocca e famiglia”. Ma vaffanculo Pasquale! Magari neanche ci salutiamo durante l’anno e poi mi mandi un messaggio del cazzo magari svegliandomi alle sette di mattina del 25 dicembre. Te li potevi risparmiare quei 10 centesimi. Anzi magari neanche li hai pagati perchè a natale c’è l’offerta Trombafone Christmas all inclusive verso tutti i cellulari…

Per non parlare del traffico delirante e dei supermercati presi d’assedio dove non resta neanche più un vasetto di cetriolini sottaceto in offerta…perchè tanto a Natale si magna di tutto.

Infine c’è la fregola dell’organizzazione di feste, festini, cene e cenoni in locali di ogni tipo, dove per la modica cifra di 300 euro puoi prenotare il cenone di capodanno mangiando spazzatura che non pagheresti 20 euro durante tutto il resto dell’anno.

Mi chiedo: che resta di bello delle feste di Natale? Una sola cosa, dal mio modesto punto di vista: l’opportunità di avere qualche giorno libero da trascorrere con le persone che ami veramente, davanti ad un semplice piatto di spaghetti al pomodoro, con un bicchiere di buon vino e due chiacchiere ascoltando il notturno di Chopin in sottofondo.

Ah, a chi avesse la fortuna di passarle in questo modo, consiglio di spegnere il cellulare, onde evitare i messaggini funesti di Pasquale…

Il cappellaio matto

Mi sto allontanando dal branco. Mi sento sempre più solo. Non so quando e come è iniziato. Sia chiaro, non è un grido di aiuto o di sofferenza, no, affatto. E’ il risultato di una costante introspezione che mi porta a riflettere su ciò che conta nella vita. Ho iniziato ponendomi delle domande, tante, troppe. E adesso non so dare una risposta, a nessuna. Per ora. Mi chiedo come facciano le persone a non porsi certe domande sulla loro vita, a non cercare un senso a tutte le difficoltà che gli si parano davanti, a non rendersi conto di essere artefici del loro destino. Perchè un senso deve esserci. Noi siamo più di quello che sembriamo.

E’ meglio proseguire con una benda davanti agli occhi o avere gli occhi aperti quando davanti c’è solo il buio? Forse la domanda andrebbe riformulata. Si è più sicuri a procedere con una realtà virtuale imposta dal sistema o avere il coraggio di togliersi lo schermo e procedere ad occhi aperti nell’oscurità? nel primo caso vedi sempre una luce ma è artificiale, è quella che vedono tutti andando in una certa direzione, tutti conformati alla strada che la realtà virtuale proietta. Emozioni comuni, esperienze comuni, tutto può ricondursi alle regole di un gioco che stiamo giocando come pedine e non certo da protagonisti quali siamo e dobbiamo essere.

Io sto camminando a tentoni nel buio e non vedo quello che gli altri vedono, vedo soltanto loro camminare, scontrarsi, soffrire, discutere andando in una direzione dove il buio è più nero.

C’è chi è convinto di sapere dove sta andando ma va solo dove lo stanno portando. Io invece non so dove sto andando, un pò come la “selva oscura” di Dante, un sentiero di mistero e paura che deve condurre da qualche parte anche se la meta non è chiara.

Ci sono tante, infinite domande che ci si dovrebbe porre se si fa funzionare la mente in modo autonomo. Lo so che non è facile trovare le risposte, ma non capisco come non si possa porsi almeno le domande per sperimentare qualcosa che trascende una vita programmata e, tutto sommato, noiosa. Ti accorgi, senti che ci sono poteri in te che ogni tanto affiorano, ma non ti rendi conto del perchè. Il più delle volte li liquidi con la spiegazione di una banale coincidenza, casualità. E torni a dormire. Ma succedono ancora e ancora. E allora forse devi renderti conto che non sono coincidenze, che ci deve essere un’altra spiegazione ed io ho tutta l’intenzione ed il tempo di trovarla. Forse questa vita non mi basterà, ma non ho intenzione di mollare. E’ una strada da cui non si torna indietro.

Nel paese delle meraviglie di Alice c’è una frase simbolica del Cappellaio matto che dice: “C’è un posto che non ha eguali sulla terra… Questo luogo è un luogo unico al mondo, una terra colma di meraviglie, mistero e pericolo. Si dice che per sopravvivere qui bisogna essere matti come un cappellaio. E, per fortuna…io lo sono”.

Il mio miglior nemico

Non ho nemici, almeno non credo. Come qualcuno ha già detto, sono responsabile di ciò che dico e faccio, ma non lo sono delle interpretazioni che gli altri danno ai miei gesti ed alle mie parole.

Mi sono sempre sforzato di non far del male a nessuno e quando ci sono stato proprio costretto per una questione di “legittima difesa”, ho cercato, anche a costo di sacrifici, di limitare i danni.

Quindi credo di non avere nemici nel vero senso della parola. Forse ho deluso qualcuno, ma nemici no. Almeno non nel senso che c’è qualcuno che mi vuole morto.

Bè, a ben vedere un nemico ce l’ho, il peggiore dei nemici, la mia nemesi, quello con cui combattere la più sanguinosa delle battaglie, il giustiziere dei giustizieri, il samurai invincibile: me stesso.

E’ una vita che sto cercando di farmelo amico, di parlarci, di condividere i sogni, di capirlo ed accompagnarlo dove vuole andare. E’ difficile, quasi impossibile. A volte non mi riconosco, mi sorprendo da me, quindi mi viene da pensare: se non mi riconosco io stesso come posso sperare che mi capiscano gli altri?

E, se razionalizzi questo concetto, non badi più al giudizio della gente, sai che comunque non può essere che fallace, non puoi prendertela perchè ti criticano per i capelli lunghi, i vestiti strani o i numerosi tatuaggi…non sai neanche tu perchè li hai fatti. Ti piacevano e tanto basta.

E quel desiderio che non conosci, ma che ti porta verso mete sconosciute, non sai spiegartelo neanche tu, ma c’è e lo segui.

Qui c’è da fare un distinguo. Ti fai un tatuaggio o ti tingi i capelli di blu perchè lo fanno tutti o perchè ti piace e te ne fotti del giudizio degli altri? Nel primo caso dovresti rivedere qualcosa. Ti stai lasciando trascinare da una corrente che non è la tua e che ti porterà laddove un giorno non ti piacerà essere arrivato. Allora o torni indietro oppure ti abbandoni alla corrente e rinunci ad essere te stesso. Nel secondo caso allora chiediti il perchè. Perchè ti piacciono i capelli blu o quel gigantesco tatuaggio di un gabbiano sulla schiena?

Ed ecco che ti trovi di fronte, nella sua cruda realtà, il tuo miglior nemico: quel qualcosa che ti spinge a compiere dei gesti di cui dubiti la correttezza ma che ti piace fare.

Allora lo affronti, gli chiedi: “Perchè?”. Non ti risponderà mai, ti sorriderà e ti spingerà a riflettere, ma dovrai scoprirlo da solo.

Poi ci sono delle volte in cui mi darei una pacca sulla schiena, altre volte in cui non mi sopporto proprio. Ma non riesco ad essere abbastanza soddisfatto nel primo caso e non riesco ad odiarmi nel secondo. Insomma un vero casino.

Mille volte mi sono ripromesso di fare o non fare una determinata cosa, mangiare meglio, smettere di fumare, avere una vita più regolare, non bestemmiare, non desiderare la donna d’altri…anzi no, le ultime due fanno parte di un decalogo troppo antico quindi non le ho mai sentite mie. Ma quelle che ho sentito mie invece non sono riuscito a metterle in pratica fino in fondo, inizio ma poi mi tradisco. Ma si può essere più idioti ed inaffidabili? Un giorno sono irremovibile ed il giorno dopo faccio esattamente il contrario di quello che mi ero fermamente riproposto. Non vi fidate di me, mai. Se riesco a fregare me stesso immaginate cosa potrei fare a voi.

Un nemico, se non lo puoi battere, cerchi almeno di evitarlo, ognuno per la sua strada. Ma come posso prendere una strada diversa da quella che mi sono scelto io stesso?

Se fosse possibile mi prenderei un pò di ferie da me stesso, ogni volta una silenziosa discussione col mio miglior nemico, specie quando si tratta di scelte importanti. Fallo! No, anzi, rifletti…forse non è la scelta migliore….ma si, dai, buttati! E se poi…

Eh no, basta, quando fa così proprio non lo sopporto il mio miglior nemico. ma perchè continui a mettermi in testa dei dubbi? Se ho deciso che è così, così sarà! Mmmmm…sei sicuro? ma chi comanda qui? Io o tu? E chi sono io? E chi sei tu?

Quasi sarebbero da preferire gli ordini imposti, almeno non li si può discutere anche se sono i più stupidi del mondo. Lo devo fare, quindi non rompere! Ma è possibile che per andare d’accordo io e te, devo ubriacarmi?

Io mi vedo come unico, tutti ci vediamo come unici, ma non ci rendiamo conto che in noi vivono tante personalità? E non tutte ci piacciono…il Dottor Jekyll ne sapeva qualcosa. “Oggi mi sento triste”, oppure “oggi mi sembri radioso”, “oggi non ho voglia di fare nulla”, “oggi ho un sonno pazzesco” e così via all’infinito. Quindi c’è il me triste, quello allegro, quello stanco, affamato, incazzato…oddìo allora quanti nemici ho? Stai a vedere che ne ho più dentro che fuori.

Ma, dopo tutto questo tempo a litigarci, ho capito una cosa: che riusciremo a ritrovare noi stessi soltanto quando avremo messo pace tra noi ed il nostro miglior nemico, perchè lui è li per insegnarti qualcosa che non si impara a scuola nè da nessun altra parte, qualcosa che lui sa e che sta a te scoprire. E se sei in pace con lui, sei in pace col mondo.

La ragazza dai capelli blu

Anna si alzò molto felice in quella soleggiata mattina di settembre. Quel giorno doveva riprendere la scuola ma l’estate era ancora stabilmente in sella al cavallo della stagione in corso e nel fine settimana si poteva ancora andare al mare.

Il giorno precedente, insieme alla sua migliore amica Elena, avevano deciso di effettuare un pò di cambiamenti e si erano colorate i capelli di una tinta particolare, lei blu acceso ed Elena rosso fucsia. Un modo innocente ed adolescenziale di rompere le regole, di distinguersi ed affermare una personalità in via di formazione, un modo come un altro di sperimentare nuove vie in quello che era ancora l’inizio dell’esistenza.

Si vestì scegliendo l’abbigliamento che più si adattava alle sue forme ed al suo stato d’animo, con dei colori in tinta alla sua nuova capigliatura. Non vedeva l’ora di affermare la propria identità al cospetto dei suoi compagni di classe, in quello che sarebbe stato l’anno conclusivo della sua avventura alle scuole superiori.

Sua madre l’aveva accompagnata come sempre all’ingresso della scuola, dandole un bacio prima di recarsi al lavoro e salutandola con affetto: “Ciao fata turchina, mi raccomando fai la brava!”.

Anna si diresse, con passo spigliato ed un sorriso orgoglioso, verso l’ingresso della scuola, diretta dalle suore del cuore immacolatissimo, per iniziare l’ultimo anno della sua esperienza didattica da adolescente per poi cimentarsi nel Colosseo dei “grandi”, al suo primo gradino costituito dalla facoltà universitaria che avrebbe scelto. Il suo sogno era sempre stato quello di fare il medico, quindi aveva le idee chiare; dopo la scuola superiore si sarebbe iscritta a medicina. Era il modo migliore per aiutare le persone in difficoltà garantendosi una vita abbastanza agiata, almeno era quello che sperava per il suo futuro.

Una volta nell’atrio, mentre stava dirigendosi verso l’aula assegnata per quell’anno alla sua classe, una voce risuonò imperiosa alle sue spalle mettendole una mano sulla spalla: “Dove credi di andare conciata così?”

Anna si bloccò, spaventata dal tocco non certo gentile e dalla voce che lasciava trapelare un disgusto che la sua mente non riusciva a capire.

Quando si voltò, incrociò lo sguardo sconvolto ed irato della preside, suor Giacinta, che aveva posto le mani sui fianchi alla maniera del più spavaldo attore di film western anni 30. Una specie di John Wayne in velo e tonaca. Non riusciva a comprendere l’atteggiamento che la preside della scuola aveva assunto e per un attimo si guardò i vestiti nell’infondato timore di aver dimenticato di indossare qualcosa. Jeans, scarpe, maglietta…no c’era tutto, quindi cosa voleva quella suora da lei?

“Non vorrai entrare in classe con quei capelli” biascicò l’anziana suora con veemenza, lasciando partire sui vestiti di Anna qualche gocciolina di astiosa saliva.

“Ma…ma…signora preside…io…io…veramente…cosa c’è che non va”?

“Cosa c’è che non vaaaa? Tu chiedi persino cosa c’è che non vaaaa? Ma ti sei vista nello specchio stamattina? Credi che siamo ad una festa di carnevale invece che al primo giorno in una scuola rispettabile? Mi stai prendendo anche in giro?”

Anna realizzò che il “problema” di suor Giacinta erano i suoi capelli ma non riusciva a capire come mai un colore diverso potesse aver provocato una reazione simile. In fondo non c’erano donne che da more si facevano bionde o viceversa? O magari rosse o con i colpi di sole…dov’era il problema se lei aveva scelto il blu? Non le risultava che il blu fosse fuorilegge. In fondo anche l’abito della donna era di un blu acceso, quindi suor Giacinta poteva indossare un abito blu e a lei era vietato portare i capelli dello stesso colore? Che razza di regola era? E chi l’aveva decisa?

“Adesso tu, signorina, prendi la tua sacca e te ne ritorni a casa, perchè qui, in quelle condizioni indecenti, non ci puoi rimanere nè potrai mai rientrarci se non torni normale! Mi chiedo cosa avranno detto i tuoi genitori…oppure hanno approvato questo scempio? Che mondo! Che tempi! Non c’è proprio speranza per questa gioventù scellerata…troppo permissivismo…dovrebbero raddrizzarvi tutti…che vergogna!”

Anna faticava a capire le ragioni della suora e di tutto il suo livore nei suoi confronti. Per cosa poi? Per il colore dei capelli? Che significava “ritornare normale”? Lei si sentiva normalissima, e poi conosceva il regolamento della scuola, c’era scritto che bisognava avere un abbigliamento decoroso, ma che c’entravano i capelli con l’abbigliamento? I percorsi mentali della suora ed i suoi seguivano direzioni completamente diverse, ma lei aveva gli esami quell’anno, del resto non aveva nessuna intenzione di raparsi a zero per far contenta la preside.

E poi…con i capelli rasati sarebbe stata “normale” o non l’avrebbero fatta entrare ugualmente? Pareva che ci fosse qualche strana regola che vietasse i capelli di un certo colore, ma non averli proprio? Quello si che sarebbe stato anormale. Forse se avesse messo su una parrucca coi capelli riccioluti e neri come un rasta o come Napo orso capo, alla suora sarebbero andati bene? Era un terno al lotto.

Chissà se c’era qualche regola sulle scarpe o i calzini uno diverso dall’altro, oppure sugli occhiali con una lente si ed una no, o ancora se si poteva accedere alla scuola con un sombrero in testa o con una carota nel naso. Cos’era normale per quella donna?

Anna aveva sempre preso bei voti, mai stata rimandata e in classe era benvoluta da tutti e adesso una normalità spuntata da chissà dove e decisa da chissà chi, ne aveva fatto una ragazza anormale. Che mondo! Che tempi! pensava Anna, vergognandosi subito dopo perchè si era messa sullo stesso piano della suora anche se da un’altra parte del pianeta.

Mentre la ragazzina veniva sospinta fuori dalla preside che continuava ad inveire contro di lei ed i suoi capelli blu, alzò gli occhi al cielo e vide Gesù che la osservava smagrito ed afflitto dal crocifisso in alto sulla parete di fronte. Le piacque pensare, solo per un attimo, che anche lui era mortificato per quello che stava succedendo e che la sua normalità non fosse quella della sua sedicente servitrice che adesso la stava cacciando fuori.

Perchè, e di questo era assolutamente certa, in Paradiso Lui l’avrebbe fatta entrare anche con i capelli blu.