Le “interviste impossibili”: dialogo con la speranza

“Se non speri l’insperabile, non lo scoprirai, perché è chiuso alla ricerca, e ad esso non conduce nessuna strada” – Eraclito

Nuovo appuntamento con le nostre interviste impossibili e questa volta abbiamo un ospite di eccezione, lei è nel cuore di tutti i sognatori e di tutti gli afflitti, e per questo è l’ultimo baluardo positivo nei confronti delle avversità della vita che ci soverchiano quotidianamente. Finalmente ha l’opportunità di parlarci e dire la sua in questa società in cui sembra essersi persa. Un’intervista senza peli sulla lingua in cui ci confesserà i suoi sogni e, perché no, le sue speranze.

D: “Iniziamo con una domanda provocatoria e paradossale, la speranza ha anche lei una speranza?”

R: “Diciamo che ho più una certezza che una speranza, ed è quella che gli uomini non potranno mai liberarsi di me. È vero che sono indissolubilmente legata agli aspetti peggiori dell’esistenza umana ma, ne rappresento l’spetto positivo e, se essi sparissero dall’orizzonte del destino, inevitabilmente morirei anche io; quindi, l’aspettativa che ho è un po’ contraddittoria; spero che scompaiano le grandi sofferenze ma che almeno i piccoli problemi quotidiani rimangano, così io potrò continuare a sopravvivere. Del resto, gli esseri umani quei piccoli problemi se li creano spesso da soli, per cui posso affermare, senza tema di smentita, che la mia speranza di sopravvivenza ha basi molto solide.”

D: “Alcuni affermano che la sua connotazione non è sempre positiva, nel senso che affidarsi a lei, spesso è indice di un comportamento passivo e rinunciatario nell’affrontare le avversità. Cosa ne pensa?”

R: “In parte è vero. Sotto un certo punto di vista io non sono la virtù dei forti, essi preferiscono far conto su altre cose, su sé stessi, sul denaro, sulle amicizie influenti, sugli eserciti, ecc, per cui parrebbe che solo i deboli abbiano la tendenza ad affidarsi a me, quelli che sanno di non riuscire a trovare la forza in sé, forse consapevoli di non essere autosufficienti. Ed in effetti esiste al mondo una vera e propria armata di piagnoni che sono buoni solo a lamentarsi perché si rifiutano di fare lo sforzo di cambiare, avendo la pretesa assurda che siano gli altri o la realtà che li circonda a dover cambiare e, nel farlo, si affidano a me, inconsapevoli che sono completamente sorda a queste stupide aspettative. Questo è l’atteggiamento sbagliato nei confronti miei e dell’esistenza in generale perché io sono una forza e non una debolezza, una fiamma che va alimentata con la potenza del carattere e non spenta con le lacrime del piangersi addosso.”

D: “Quindi ci sta dicendo che la speranza, da sola non basta per avere una visione più ottimistica della vita?”

R: “Confesso che non mi piace avere questa responsabilità tutta sulle mie spalle. A me piace particolarmente quel detto che afferma “Aiutati che il ciel ti aiuta”, quello dovrebbe essere l’atteggiamento giusto. Purtroppo, l’umanità è stata pesantemente e negativamente influenzata nei millenni dai vari credo religiosi che hanno ridotto sempre di più la sfera di influenza individuale sulla propria vita a scapito del volere di misteriose entità divine, variegate e folkloristiche, le quali avrebbero il potere sovrano di disporre a loro piacimento delle sorti degli individui attraverso oscuri disegni di cui soltanto loro sono a conoscenza. Non funziona così, anche perché nessuna religione può davvero dimostrare di essere la depositaria dell’unica verità e quindi, chi ti vende questa visione rinunciataria, vuole solo fregarti per avere il controllo totale sulla tua vita, perché si autoproclama depositario della conoscenza di quei disegni ed invece è una balla colossale. Nessuno conosce il proprio destino e nemmeno io conosco quelli delle singole persone, figuriamoci se può conoscerli anche un solo essere umano.”

D: “Qual è tra i sentimenti quello con cui ha un rapporto più stretto?”

R: “Il più vicino è sicuramente l’ottimismo, che non è un vero è proprio sentimento, piuttosto una qualità connaturata all’essere, una sorta di accessorio caratteriale che ti permette di osservare la vita a colori rispetto a coloro che la vedono in bianco e nero. Al mio opposto c’è certamente la paura. Quando è presente lei non ci sono io e viceversa. L’essere umano è perennemente sospeso tra questi due impulsi irrazionali e la paura è certamente più incisiva e persuasiva di quanto non possa esserlo io. Il grande Seneca, nel suo “Lettere a Lucilio” affermava che “certe cose ci angosciano più di quanto dovrebbero; altre prima di quando dovrebbero, altre cose ci angosciano e non dovrebbero affatto. E così ingigantiamo il nostro dolore, o lo anticipiamo, o addirittura lo creiamo dal nulla”. Ecco perché bisogna mantenersi equidistanti tra me e la paura e, ogni volta che si avvertirà l’impulso di lasciarsi andare a lei, bisognerà dare fiducia a me perché ci si sentirà subito meglio. Forse la paura avrà più cose da dire, ma consiglio di scegliere me invece della paura. Sembra uno slogan elettorale ma è la verità e ci vuole un gran coraggio nel fare questa scelta.”

D: “Lei è stata eletta a virtù più importante e simbolica dal cristianesimo, da quello che ha detto prima non dovrebbe esserne molto entusiasta.”

R: “Infatti non lo sono, ma solo perché sono stata strumentalizzata dai religiosi e ridotta ad un concetto che mi sta molto stretto. La loro visione è quella di un’attesa passiva di qualcosa di meglio che non è nemmeno chiaro cosa sia. Se poi trasliamo il discorso sulla “speranza della vita eterna” o sulla “speranza nel paradiso”, beh allora è bene che si sappia che non è consigliabile fare affidamento su di me. Certo, ognuno è libero di credere in qualunque cosa e di sperare in qualsiasi cosa ma, sia sincero, lei passerebbe una vita seduto fuori di casa nella speranza che passi qualcuno che le regali una Ferrari nuova fiammante? Credo proprio di no.”

D: “Oltre a quello che ha appena detto, qual è la cosa che detesta maggiormente?”

R: “Deludere le persone quando ripongono in me una fiducia razionale e sincera. Un ammalato che spera di guarire e invece muore lottando con tutte le sue forze affidandosi a me sino alla fine, un innamorato che spera di ricongiungersi con la sua amata quando ha tutto e tutti contro e non ci riesce, un soldato in battaglia che spera che la guerra finisca per ritornare a casa dai suoi cari mentre i suoi capi hanno tutto l’interesse a mandarlo al macello…queste sono le cose che non posso sopportare. Del resto, io sono un sentimento si positivo, ma fine a sé stesso; non ho nessun potere di influire sul destino di chi a me si affida. Il fato governa ogni cosa ed io posso fare ben poco per modificare il corso degli eventi. Mi è stato assegnato un ruolo consolatorio ma non taumaturgico e questa sensazione di impotenza certe volte mi pesa parecchio.”

D: “Lei è protagonista di molti proverbi e modi di dire, ci si ritrova in queste affermazioni?”

R: “Immagino che si riferisca a frasi del tipo “rosso di sera bel tempo si spera” oppure “la speranza è l’ultima a morire”. Allora devo ammettere che no, non mi ci ritrovo molto. Mi piacerebbe essere considerata come un’arma individuale che ogni essere umano porta dentro il suo cuore come una pozione magica a cui attingere nel silenzio della sua anima e da cui trarre forza per il suo futuro. Se si riesce a farlo, e solo allora, io ce la metto tutta per cercare di dimostrare a quelle persone che io ci sono, che sono accanto a loro per aiutarle ad andare avanti, ma il lavoro devono farlo da sole, contando solo su loro stessi. Se accade, allora io non li abbandonerò mai.”

D: “Se la sente di lasciare un messaggio di speranza al genere umano alla fine di questa intervista?”

R: “Lavorate sempre al meglio su voi stessi e lasciate all’Universo le sorti del destino perché nessuno è in grado di cambiarlo. Ci sono forze molto grandi e potenti che sono però sconosciute a tutti e chi afferma di conoscerle vi sta mentendo. Neanche io le conosco e tantomeno ho influenza su di esse, sono soltanto un bastone, un supporto da utilizzare nei momenti più difficili della vostra vita; sono la compagna di viaggio ideale per affrontarla, sono come gli occhiali correttivi per un miope…non sarò in grado di correggere quel difetto ma, se mi indossate, potrete vederci meglio.

Le “interviste impossibili”: Dialogo con il potere

“Io non ho paura di un esercito di leoni, se sono condotti da una pecora. Io temo un esercito di pecore, se sono condotte da un leone.” – Alessandro Magno

L’appuntamento odierno riguarda un ospite che potremmo definire VIP, amato e desiderato da tutti, infatti non vi è persona al mondo che non aneli a possederlo in qualche modo ed il più delle volte si è disposti a fare qualunque cosa pur di ottenerlo anche in minima parte. Insieme all’amore è una delle due grandi forze che muovono il mondo, che ne delineano i confini e che distribuiscono tra gli uomini vita e morte.

D: “Inizi pure col presentarsi. Il concetto lo hanno tutti ben presente, ma cos’è davvero il potere?”

R: “In effetti io ho tante di quelle sfaccettature che riuscire a darmi una definizione univoca è pressoché impossibile. Inoltre ritengo che, alla pari del tempo, ho una concezione strettamente soggettiva e mai universale, in altre parole, così come il tempo non trascorre uguale per tutti, così il potere non è uguale per tutti.
Max Weber diceva che il potere è la possibilità che un individuo, agendo nell’ambito di una relazione sociale, faccia valere la propria volontà anche di fronte ad una forte opposizione.
Questa è una definizione che mi rispecchia molto, ma in estrema sintesi potrei dire che il potere è il mezzo attraverso il quale si può influenzare ogni decisione altrui.
Si faccia particolare attenzione a questo aspetto, perchè si è sempre portati a credere che io sia espressione di qualcosa di “coercitivo”, una sorta di imposizione della volontà di chi detiene il potere su chi invece non ce l’ha. Ebbene non è sempre così, anzi potrei dire che nella maggior parte dei casi il mio esercizio è alquanto subdolo, potendo far compiere agli altri determinate azioni che pensano di aver deciso loro ma in effetti così non è. E’ la sottile distinzione tra il potere inteso come forza e autorità e quello invece che deriva dal consenso.
Nei secoli passati venivo identificato quasi sempre con il primo caso, mentre con l’avvento delle democrazie a livello mondiale è prevalso il secondo ma si faccia attenzione perchè oggi, molto difficilmente esiste un consenso davvero libero.
Infatti ho scoperto che si prova molto più gusto a far compiere alla gente le azioni che io desidero manipolandole sottilmente, piuttosto che costringerle con la forza.
In fondo, così facendo, ottengo il duplice obiettivo di raggiungere il mio scopo facendomi persino degli amici, invece che ottenere lo stesso scopo inimicandomi tutti.
A conferma di ciò che ho appena detto, il saggio Seneca, millenni fa affermava che “La prima arte che devono imparare quelli che aspirano al potere è di essere capaci di sopportare l’odio”. Ebbene, al giorno d’oggi non c’è più bisogno di tutto questo odio perchè, come ho appena detto, la manipolazione evita questo inconveniente.

D: “Quindi sta dicendo che i modi con cui il potere si esercita oggi sono diversi rispetto a quelli di un tempo? Se i metodi sono cambiati, è cambiato anche lei oppure il concetto è rimasto lo stesso?”

R: “Oh si, sono molto diversi. Così come si è evoluto l’ambiente e la tecnologia in cui l’uomo vive, allo stesso modo mi sono evoluto anche io. Se ci pensa un attimo, questo concetto è persino logico. Un tempo non esistevano i giornali nè, tantomeno la televisione ed il concetto di “mezzi di comunicazione di massa” in generale era sconosciuto. I gruppi sociali erano stanziali, non esisteva la possibilità di viaggiare all’altro capo del pianeta in poche ore, per cui chi esercitava il potere in una grande città o anche in un villaggio di qualche secolo addietro non aveva altra scelta che la difesa del potere con la forza del proprio esercito, sia contro gli avversari esterni che quelli interni. Le idee viaggiavano con lentezza ed i cambiamenti erano visti con occhio avverso.
Oggi è esattamente il contrario, idee, persone ed innovazioni viaggiano a velocità un tempo impensabili e ciò che può sembrare valido oggi, domani potrebbe non esserlo più e quindi bisogna essere in possesso di strumenti molto più agili ed efficaci di un ingombrante e poco gestibile esercito che oggi risulterebbe del tutto inutile e dispendioso.
Paradossalmente, secoli fa le persone potevano pensare molto di più con la loro testa di quanto non succede oggi, per questo chi prima attentava al potere costituito doveva essere eliminato fisicamente.
Oggi, al contrario, la gente non ha più idee proprie perchè si appiattisce su ideali, concetti e mode preconfezionati dal sottoscritto per mantenere la massa sotto controllo ed impedirle di pensare troppo…in fondo è risaputo che meno la gente pensa e più è facile mantenere il potere da parte di chi detiene il monopolio delle idee.
Ne vuole una conferma empirica? Pensi ai grandi geni del passato in ogni campo dello scibile umano: arte, letteratura, musica, scienze…era tutto un proliferare di capolavori inimitabili. Il genio era libero e poteva esprimersi come desiderava. Mi dica, da quanti decenni non ascolta un brano musicale che abbia l’armonia delle note di un Mozart o di uno Chopin, oppure un’opera d’arte pari a quelle rinascimentali o un romanzo o una poesia che lontanamente si avvicinino alla bellezza e genialità dei componimenti danteschi o degli scritti di un Dostoevskij?
Oggi non è più possibile perchè io ho inaridito la fonte, mi basta che qualcuno stupido e famoso faccia o indossi qualcosa sui social o in TV e ci sono milioni e milioni di pecore che fanno le stesse cose e si vestono con gli stessi, identici indumenti. Non le sembra fantastico? Su questo piano, oggi, tra convincere le persone ad indossare una maglietta o un paio di occhiali e fargli indossare un’idea non c’è alcuna differenza.
Ecco, oggi il potere è questo ma non lo racconti in giro perchè se ne sono accorti in pochi…”

D: “Alla luce del cambiamento profondo da lei descritto, i modi di esercitare il potere sono aumentati o diminuiti rispetto al passato? Oggi quanti tipi di potere ritiene che ci siano?”

R: “A ben rifletterci credo che siano aumentati. Oltre a quelli classici della sovranità violenta, dei vari credo religiosi, della bellezza, del denaro, del carisma innato e dell’amore che rimane ancora oggi il più potente di tutti, i quali hanno sempre esercitato una indubbia influenza sui corpi e sulle anime della gente, oggi il potere è molto più sfaccettato. Basti soltanto pensare che, nell’accezione sociologica, ai tre poteri classici esecutivo, legislativo e giudiziario, si è aggiunto quello che viene definito il “quarto potere” e cioè quello dei mezzi di comunicazione che oggi influenza pesantemente gli altri tre.
Inoltre, con l’aumento della massa di informazioni a disposizione oggi, e la sua fruibilità capillare attraverso la rete di internet, si sta facendo strada un nuovo tipo di potere molto importante che è quello della conoscenza, ma molti o non ne sono ancora consapevoli, oppure non sanno bene come utilizzarlo.”

D: “In base alla sua esperienza, qual’è il potere più difficile da mettere in atto?”

R: “Ritengo che ogni potere, per essere efficacemente utilizzato, debba abbinarsi ad una mente capace, altrimenti è come mettere una pistola carica in mano ad un bambino. Può fare del male a se stesso e a chi gli sta intorno. Inoltre, quasi tutti i poteri sono inefficaci se sono in mano a persone stupide. Uno stupido riesce ad esercitare un unico potere se ne è in grado, quello della forza bruta e della violenza. Quest’ultimo potere non richiede molta intelligenza ma solo una banale crudeltà.
Detto questo, ritengo che il potere più difficile da mettere in atto sia quello del controllo di se stessi.
Potrebbe sembrare scontato ma quest’ultimo, alla pari dell’amore, è il potere più intenso di tutti. La storia è piena di esempi di grandi sovrani e condottieri che sono riusciti a dominare il mondo intero ma alla fine sono stati vittime di se stessi. Ma la stessa cosa succede anche alle persone comuni.
Quante volte si fanno buoni propositi per smettere di fumare, di bere, di mangiare e di avere cattive abitudini che sappiamo che possono portarci alla rovina…eppure sono pochissimi coloro che riescono a mettere in pratica quello spaventoso potere e a dominare i loro nefasti desideri.
Controllare se stessi implica una corrispondente comprensione di chi siamo davvero e capire se stessi è ciò che fa la differenza tra un uomo libero ed uno schiavo, tra una persona che agisce in piena consapevolezza ed una che lascia che le cose accadano senza fare nulla per cambiarle.
Come diceva il grande Oscar Wilde, “Un uomo padrone di sè può far cessare un dolore con la stessa facilità con cui può inventare un piacere.”
Non le pare che sia questo il potere assoluto?”

Le “interviste impossibili” – dialogo con il pene

“Dio ha dato all’uomo un pene e un cervello, ma sfortunatamente non lo ha provvisto di abbastanza sangue da far funzionare entrambi nello stesso momento.” – Robin Williams

L’ospite di oggi è alquanto inconsueto e, pur potendosi inquadrare nel “fil rouge” delle interviste tematiche di vizi e virtù, ne rappresenta l’aspetto più nascosto ed intrigante, andandosi ad inserire in quelli che vengono definiti comunemente “argomenti tabù”. E’ una vera star, il suo nome volgarizzato è un jolly discorsivo che viene pronunciato come intercalare da tutti quasi sempre e si dice che sia la parola più espressa al mondo, senza distinzione tra il sesso a cui evidentemente appartiene e quello che invece non ce l’ha.

D: “Lei non parla molto, ma oggi ha l’occasione finalmente di poter far sentire la sua voce e siamo certi che le sue risposte saranno molto seguite da ogni tipo di pubblico. Inizio col chiederle se è soddisfatto della sua vita e che stile di quest’ultima predilige.

R: “Iniziamo col dire che il “passero solitario”, per usare una parafrasi leopardiana, non esiste. Io vivo sempre in società con qualcuno e dipende dallo statuto che si stabilisce nel corso degli anni chi detiene la maggioranza per prendere certe decisioni. Ovviamente sto parlando di quelle che mi vedono in qualche maniera coinvolto (e sono molte di più di quanto si possa pensare). Comunque in generale posso ritenermi soddisfatto, sono sempre il primo ad alzarsi al mattino anche quando il mio socio dorme ancora e riesco persino a fargli fare bei sogni realistici quando lo sento un pò depresso. Nel suo bagno ho un bel lavandino tutto per me ed un asciugamani pulito che uso solo io, entrambi più piccoli di quelli del mio socio, ma questo è normale vista la differenza dimensionale tra me e lui. Anzi, posso dire, facendo un raffronto, che sono molto più grandi dei suoi in relazione. Sono molto sensibile alla luce del sole e di solito passo le ore diurne a dormire comodo nella mia amaca triangolare a meno che il mio socio non faccia, dica o guardi qualcosa che mi chiama direttamente in causa, allora sono costretto a destarmi per partecipare.”

D: “Visto che ha parlato di “dimensioni”, una delle domande più dibattute sull’argomento è proprio quella dell’importanza delle stesse per una vita soddisfacente della vostra…società. Quindi le chiedo, le dimensioni contano davvero così tanto?”

R: “Domanda tecnica o domanda di cuore? Ebbene si, mi sento di fare questa importante distinzione per essere in grado di dare una risposta. Vede, se parliamo di rapporti inseriti in un contesto sessuale di coppia felice e senza problemi, allora le rispondo no, almeno in linea generale. Se invece parliamo di rapporti intimi giocosi e per il piacere fine a se stesso, allora le dimensioni contano. Però, anche in questa categoria bisogna fare un’altra specificazione. Le dimensioni si devono sempre conciliare con l’esperienza soggettiva, e alla fine, tra dimensioni ed esperienza, è sempre quest’ultima ad avere la meglio. Per riassumere, quando c’è amore basta averlo che funzioni, anche al minimo. Se invece non ci sono sentimenti profondi, ma solo attrazione fisica allora, a prescindere dalle dimensioni, bisogna sapermi usare al meglio. Il top sarebbe, dimensioni, amore ed esperienza, allora si che divento un idolo. Ah dimenticavo un particolare molto importante. Tutte queste distinzioni vengono azzerate se il mio socio ha problemi psicologici di varia natura. Ansie, paure, dolori, preoccupazioni e delusioni non mi piacciono affatto e, se mi accorgo che sono presenti, io me ne sto per fatti miei, resto a riposare e non mi alzo. Per fare il mio dovere al meglio, il mio socio deve essere il più sereno possibile.”

D: “E’ dunque questo il motivo per cui la maggior parte dei suoi “soci” afferma di sentirsi spesso tradita da lei proprio sul più bello?”

R: “Mettiamo le cose in chiaro, io non ho mai tradito nessuno. I compiti che mi sono stati assegnati sono soltanto due, uno meccanico e neutro, diciamo così, che non richiede molto sforzo, ed un altro molto più complesso in cui vengono tirati in ballo sentimenti e stati d’animo di varia natura, probabilmente le forze più potenti che madre natura ha dato agli uomini. In quest’ultimo caso sono io il primo a voler svolgere il compito affidatomi al meglio, ma il mio socio, invece di agevolarmi e concentrarsi come un laser su quella attività agendo come fossimo uno solo, si lascia fregare dalla sua mente infida ed inizia a cazzeggiare vagando tra i pensieri più stupidi ed inutili, del tipo le bollette da pagare, il lavoro da terminare, un colloquio importante o la fidanzata che lo ha lasciato. Ma dico, stiamo per divertirci un mondo e lui pensa a queste fesserie? So bene che quella traditrice della mente cerca spesso di boicottare il nostro sodalizio a fini sessuali, ma per molti sono occasioni che non capitano mica tutti i giorni, quindi il mio socio non dovrebbe farsi fregare e perdere magari un’occasione che chissà quando poi gli ricapita (sogghigna).
Come vede, non sono io a tradire, ma è il mio socio che si rovina da solo e manda a monte tutto. Ammetto di essere suscettibile ma sono un perfezionista, perciò quando si fa quella cosa, si deve pensare solo a quello ed occorre essere sempre concentrati sul pezzo, altrimenti, come le ho già detto, mi ammoscio.
Per restare sempre in tema sulla sua domanda, un’altra cosa che proprio non sopporto è la mancanza di fiducia nei miei confronti. Come ho già detto prima, sono alquanto suscettibile e, se il mio socio non si fida di me, avendo letteralmente terrore di fare cilecca, allora lo accontento perchè il rapporto sessuale, con chiunque venga fatto, deve essere sereno e giocoso e le paure devono restare fuori dalla cerniera. Su questo non transigo. Tanto, alla fine sono sempre io a decidere cosa fare…un noto proverbio afferma che “al cuor non si comanda”, bè non è vero, sono io quello a cui non si comanda, solo che sostituire il mio nome a quello del cuore in un proverbio così romantico potrebbe risultare sconveniente, me ne rendo conto.
Comunque, a proposito di proverbi saggi, i napoletani, che di saggezza se ne intendono, ne hanno dedicato uno anche a me, infatti si usa dire da quelle parti che “o cazz nun vò pensieri”, trovo che sia verissimo.”

D: “Ci può descrivere un incontro di attività sessuale dal suo punto di vista?”

R: “Vedrò di contemperare la mia prospettiva con quella del mio socio per fornirle una risposta che sia interessante. In questo settore la convergenza di interessi tra noi due deve essere completa perché tutto vada al meglio. Se mi accorgo che il mio socio ha un’attrazione fisica molto forte verso una donna, sono molto felice per lui e faccio di tutto per dimostrarglielo. A volte mi sembra quasi un bambino davanti alla vetrina di un negozio di giocattoli ed arriva a fare gesti anche molto stupidi e avventati pur di mettermi all’opera. Capita di frequente poi, che lo sento così tanto emozionato e desideroso di quella persona da perdere il controllo della situazione, per cui mi manda segnali così confusi che mi portano a concludere l’atto così in fretta che la donna quasi non si accorge che l’atto appena iniziato è già concluso. So che per lui è abbastanza frustrante, ma cerco di rassicurarlo sempre che la seconda andrà meglio.
Questo accade spesso durante il primo incontro intimo con una persona che gli piace davvero tanto.
Dal mio punto di vista la situazione non cambia molto, per me sono tutte uguali, ma cerco di fare sempre del mio meglio.
In alcuni casi il mio socio mi infila un bel vestitino di gomma aderente per tenermi al sicuro. Non lo trovo molto elegante e devo confessarle che mi da anche parecchio fastidio, ma capisco che in certe occasioni è un sacrificio necessario. Ad ogni modo preferisco quelli neutri e mai colorati. Il peggiore è quello nero perché qui colore snellisce ed io sono l’unico organo del corpo contrario alla linea.
Tecnicamente, per concludere la risposta alla sua domanda, ho poco da aggiungere. Quando inizio sono sempre gonfio di orgoglio perché so che è arrivato il mio momento e le confesso che essere massaggiato, in qualunque modo lo si faccia, mi provoca un particolare piacere. Peccato che nei luoghi bui in cui vengo infilato non si veda niente, ma la sensazione è comunque molto positiva e piacevole.

D: “A parte il vestitino di gomma che ha menzionato, che tipo di biancheria intima predilige per trascorrere la maggior parte del suo tempo?”

R: “Mi faccia iniziare dicendo che odio le mutande di lana! A volte il mio socio mi tratta davvero alla grande e mi fa dormire in biancheria di seta dove mi trovo benissimo. Comunque anche il cotone è di mio gradimento, mentre mi irritano certe mutande in tessuto sintetico scadente del tipo di quelle acquistate dai cinesi.
Per quanto attiene al modello, dipende da una serie di fattori. Nei periodi più caldi i boxer sono abbastanza comodi ma, con le temperature alte, dopo un pò mi stanco di ciondolare qua e la. Per cui, gli slip di cotone sono i miei prediletti anche perché il boxer mi dicono sia passato ormai di moda.”

D: “Parlare di lei e della sua attività primaria apertamente è sempre stato un argomento tabù, anche se oggi l’andazzo è un pò mutato. Cosa pensa in proposito?”

R: “Cosa vuole che le dica? Come succede spesso, le cose più piacevoli sono sempre quelle più nascoste. Francamente non capisco perché l’argomento che mi riguarda sia così censurato nel suo uso comune. Le istituzioni religiose mi hanno sempre celato e persino nelle più belle opere d’arte sono stato coperto e nascosto da posticce foglie di fico. In fondo io sono lì, nella zona centrale della persona umana, ma anche al centro dei suoi pensieri. Se il principio è quello che ogni sporgenza del corpo umano deve essere nascosta, allora perché non nascondere il naso o le dita oppure le orecchie? Forse perché rappresento la pulsione più forte nell’uomo e le pulsioni non sono mai state ben viste nell’ottica bigotta delle religioni. Pensate che avrebbero l’assurda pretesa che io venga utilizzato a fini sessuali solo in in un modo e soltanto a scopo procreativo…scusate ma mi scappa da ridere. Se fosse così mi sarei già atrofizzato.
Però devo dire che sin dall’epoca antica, sino ad arrivare ai giorni nostri, dei coraggiosi autori letterari mi hanno dato un ruolo da protagonista nelle loro opere. Pensate al “Satyricon” di Petronio oppure ad Alberto Moravia che, proprio per aver scritto su di me non vinse un meritatissimo premio Nobel.
Come ha giustamente detto lei, comunque, di recente la mia presenza è stata abbastanza sdoganata ovunque, anche se le tradizioni sono sempre molto dure a morire. In fondo sono un giocherellone e mi piace divertirmi, e forse per questo non riusciranno mai a nascondermi per sempre dietro ridicole foglie di fico. Senza di me, voi neppure esistereste come specie.”

D: ”Ci può dire che rapporto ha con il gentil sesso?”

R: “Scusi, devo dirglielo, ma questa è una domanda del cazzo. E’ ovvio che che le donne mi piacciono, ma in certi casi mi piacciono anche gli uomini, questo dipende dal mio socio che, in questo settore ha libera scelta, per me non fa molta differenza.
A me piacciono fantasia e creatività e più ce n’è e più mi sbizzarrisco. Odio le luci spente, sono un pò esibizionista quando mi sento in forma e sono abbastanza contrario alle tradizioni, per cui, più il partner ha fantasia, più mi esalto, con grande gioia del mio socio.
Inoltre sono depositario dei desideri segreti più nascosti, quelli che spesso non si ha neppure il coraggio di raccontare e, proprio per questa mia riservatezza non mi faccia aggiungere altro.”

Le “interviste impossibili”. Dialogo con la pazienza

“La pazienza è potere. Con il tempo e la pazienza, ogni foglia di gelso diventa seta” – Confucio

L’ospite di questa seduta è ambita e desiderata da tutti ma sono veramente in pochissimi coloro che riescono a conquistarla. E’ una dote naturale oppure la si può approfondire poco a poco? Sant’Agostino affermava che essa è un dono di Dio, ma è davvero così? Possederla concede senza dubbio innumerevoli benefici, eppure è una di quelle virtù a cui non siamo per nulla abituati. E’ sempre a portata di mano nelle situazioni in cui serve, ma quasi sempre la ignoriamo e ci lasciamo andare a reazioni nocive come la rabbia che invece nuoce a noi ed agli altri.

D: “Iniziamo con la prima domanda, semplice e diretta: cosa vuol dire “avere pazienza”?
R: “La risposta è altrettanto semplice ed è insita nella stessa domanda. C’è chi ha pazienza e c’è chi non ce l’ha. Con questo non voglio affermare deterministicamente che ci sono alcune persone che nascono con una certa pazienza infusa e tutti gli altri ne nascono sprovvisti. Non nego che vi sia una certa predisposizione in alcuni soggetti ad essere più pazienti di altri a parità di circostanze, ma, come ogni dote umana posso essere allenata e quindi chi non ha per niente pazienza potrebbe arrivare ad averne un pò, mentre chi già parte da una buona base di partenza, potrebbe stupirsi su dove può arrivare portandomi con se…non per niente si usa dire spesso “porta pazienza”.

D: “Vorrei approfondire l’argomento. Quali sono i requisiti specifici di una persona paziente?”

R: “Sarò più precisa. Molti mi confondono con la rassegnazione o con la svogliatezza, caratteristiche con cui la sottoscritta non ha nulla a che fare. Il mio approccio non è improntato ad una “perdita di tempo”, come molti sono portati a credere, che sono caratteristiche, invece, della svogliatezza e della noncuranza, bensì ad un utilizzo oculato e concreto del tempo stesso, utilizzato in maniera oculata per riflettere, osservare e maturare decisioni. Nel mondo frenetico di oggi, una persona paziente può essere vista come passiva o apatica, mentre un impaziente potrebbe apparire come qualcuno dotato di forza e determinazione caratteriale. Se consideriamo il fatto che quest’ultimo atteggiamento si unisce spesso a rabbia ed arroganza, allora è facile capire come sia un atteggiamento non proprio utile a se stessi ed agli altri. Piuttosto vedo molte analogie tra me e la resilienza, dote che sostiene in maniera incredibile le persone nelle piccole o grandi contrarietà che la vita ci offre. E’ chiaro a tutti che chi è in grado di rialzarsi dopo una caduta è una persona dotata di pazienza. Gli impazienti, quando incontrano ostacoli di qualsiasi genere, e con il loro approccio di ostacoli ne incontrano tantissimi, tendono ad infuriarsi e a dare la colpa a qualcun altro. Le persone pazienti, analizzano le situazioni avverse ed hanno più possibilità di trovare la soluzione giusta.”

D: “Prima ha detto che lei è una dote che può essere appresa ed allenata. Ci può spiegare come si può fare?”

R: “Ho già accennato che nutrirmi non può che produrre una certa quantità di benessere e può migliorare sensibilmente il rapporto con noi stessi e con gli altri. Per rispondere alla sua domanda, posso dire che è una pratica molto facile in teoria ma abbastanza difficile da mettere in pratica. Le abitudini che ci migliorano sono sempre su un percorso lungo ed in salita, mentre quelle che ci danneggiano ci fanno fare meno fatica ma paghiamo sempre un prezzo alto per questa pigrizia comportamentale. Allenare un comportamento paziente può essere fatto nella quotidianità e nei piccoli gesti, sforzandoci di governare le nostre reazioni emotive improvvise, considerando, per esempio, piccoli eventi avversi come opportunità su cui riflettere un pochino, insomma un modo diverso di vivere condizioni che altrimenti considereremmo snervanti e fastidiose. Pensi a qual’è la prima reazione che la maggior parte delle persone ha nei confronti di interlocutori arroganti, irritanti o scortesi: quello che io chiamo “il riflesso dello specchio”, un principio che governa molte azioni umane. Immancabilmente scendiamo allo stesso livello di quelle persone, diventando noi stessi arroganti e scortesi, arrivando certe volte a superare l’arroganza e la scortesia di chi ci sta di fronte. Le sembra un comportamento producente? Se si ha la forza di da fare appello alle mie doti, le garantisco che da quelle esperienze se ne uscirebbe più fiduciosi ed appagati, con la netta sensazione di aver ottenuto una piccola grande vittoria sulla parte peggiore di noi stessi. Come dico sempre, “avere pazienza significa accordarsi amichevolmente con la realtà”.

D: “Non trova che in questa nostra società attuale sia un pò difficile essere pazienti?”

R: “Ne sono perfettamente consapevole. Al giorno d’oggi ogni cosa conduce verso l’impazienza. Siete diventati la società del “tutto e subito” e vi comportate come se il futuro vi facesse una paura matta, per cui ogni vostra azione è portata ad arraffare quanto più possibile…poi domani ci penserò. C’è una enorme pressione della corsa al successo ed alla competizione come mai nelle altre epoche. In passato il tempo aveva una valenza completamente diversa, era, per così dire, più largo e lento e c’era più spazio per la sottoscritta. Oggi è stretto e veloce e quindi sono stata messa molto in disparte. A questo proposito vorrei raccontarle una storiella buddista che parla di me. Mi autocelebro un pò perchè il grande Maestro Buddha era un mio fan accanitissimo.
“Buddha e i suoi discepoli decisero di intraprendere un viaggio durante il quale avrebbero attraversato vari territori e città. Un giorno, quando il sole brillava in tutto il suo splendore, videro un lago molto lontano e decisero di fermarsi per dissetarsi. Poi, Buddha si rivolse al suo discepolo più giovane e più impaziente, dicendogli: “Ho sete. Puoi portarmi dell’acqua da quel lago?”. Il discepolo camminò fino al lago, ma quando vi arrivò notò che un carro trainato da buoi era appena passato e l’acqua, piano piano, divenne torbida. Alla luce di questa nuova situazione, il discepolo pensò: “Non posso dare da bere al maestro quest’acqua fangosa”. Così tornò e disse a Buddha: “L’acqua è molto fangosa. Non penso che sia giusto berla”.
Dopo circa mezz’ora, Buddha chiese di nuovo al discepolo di andare al lago e portargli dell’acqua da bere. Il discepolo, diligentemente, acconsentì. Ma l’acqua era ancora sporca. Tornò e con un tono deciso informò il Buddha della situazione: “L’acqua del lago è francamente imbevibile, faremmo meglio a raggiungere la città più vicina e chiedere agli abitanti che ci diano da bere”.
Buddha non gli rispose e il discepolo rimase sul posto, immobile, senza dire nulla. Com’era da aspettarsi, poco dopo il maestro chiese nuovamente al discepolo di recarsi, per la terza volta, al lago. Non volendo contraddire il Buddha, il giovane si incamminò nuovamente. In cuor suo, però, era furioso perché non riusciva a comprendere l’insistenza di un uomo così saggio.
Incredibilmente, giunto sulla riva, il discepolo vide che l’acqua era perfettamente trasparente, cristallina. Quindi, riempì le borracce di pelle e portò da bere al suo maestro e a tutti gli altri compagni della carovana.
Una volta al cospetto di Buddha, questi gli domandò: “Che cosa hai fatto per pulire l’acqua?”. Il discepolo non capì però la domanda, dato che ovviamente non aveva fatto nulla e non aveva alcun merito in quel cambiamento. Allora il maestro lo guardò e spiegò:
“Hai aspettato. In questo modo, il fango si è depositato da solo e ora possiamo bere dell’acqua pulita Ebbene, anche la tua mente funziona allo stesso modo. Quando è disturbata, devi solo lasciarla stare. Dalle soltanto un po’ di tempo e non essere impaziente. Al contrario, sii paziente. Troverai l’equilibrio da solo. Non dovrai fare nessuno sforzo per calmarla”.

D: “Il suo nome è molto utilizzato nei modi dire…santa pazienza, la pazienza è la virtù dei forti, perdere la pazienza, eccetera. Ma la frase forse più utilizzata è quella che riporta che la “pazienza ha un limite”. E’ davvero così?

R: “Non è affatto vero. Diciamo che ognuno ha un suo personale limite di pazienza che, il più delle volte, è davvero irrisorio. Sono in tantissimi ad essere convinti di avere un limite di pazienza abbastanza alto me non è affatto così. Le persone non mi conoscono affatto. Quel limite, come ho già detto, può essere allontanato sempre di più e non mi risulta affatto che vi sia un confine fino a dove può essere spinto. Credo che tutti conoscano la storia di Giobbe, personaggio a cui è stato dedicato un intero libro della Bibbia. Costui era un uomo molto saggio, onesto, sincero e devoto. Proprio per queste sue attitudini, fu messo duramente alla prova con immani sventure per far vacillare queste sue caratteristiche, ma egli non cedette mai all’impazienza ed alla rabbia ed alla fine, proprio per questa sua fermezza venne premiato da Dio. La morale che se ne trae mi pare chiara. Le difficoltà fanno parte della vita, così come i dolori e le ingiustizie. Se si persegue un fine, però, materiale o spirituale che sia, non bisogna mai lasciarsi andare allo scoramento ed alla disperazione. Avere pazienza da sempre i suoi frutti, è certo così come due più due fa quattro.”

D: “In base alla sua esperienza, sono più pazienti gli uomini o le donne?”

R: “Su questo non ho alcun dubbio. Vado molto più d’accordo con il sesso femminile. Sin dai tempi più remoti, le storie più famose della coltivazione di questa virtù riguardano figure femminili. Tutti conoscono le vicende di Penelope o di Arianna che trascorsero tempi lunghissimi nell’attesa paziente dei loro uomini. Con il relativamente recente ingresso delle donne nei ruoli di potere ad ogni livello della società, devo ammettere che sono venuta un pò meno nelle loro vite, ma non dimentichiamo che una donna riesce agevolmente a ricoprire ruoli come quello di madre, moglie, lavoratrice e persona con una sua vita sociale senza grossi problemi. Fatelo fare ad un uomo ed impazzirà dopo pochissimo tempo.

D: “Per concludere, potrebbe suggerire qualche trucco che possa aiutare nel coltivare questa ambita virtù?”

R: “Abbia pazienza…mi fa una domanda molto difficile, ma cercherò comunque di riassumere qualche caratteristica utile alla mia causa.
Primo, non cercare di cambiare le altre persone. Questo è l’esercizio più inutile che si possa fare. Molti dicono di attendere pazienti che il proprio partner o il proprio figlio o genitore cambi per ottenere un rapporto più soddisfacente con lui o lei. Questo non vuol dire avere pazienza ma essere stupidi. Nessuno è in grado di trasformare un’altra persona in quella che si desidera, non basterebbe una vita intera.
Secondo, se si deve fare una scelta importante di vita, mai affrettare i tempi e decidere d’impulso in base a quel momento. Potrebbe essere un momento di vita sbagliato ed inevitabilmente porterebbe a scelte sbagliate. Fidatevi delle impressioni immediate solo quando avete a che fare con nuove conoscenze, in quel caso si tratterebbe di intuito, ma se si tratta di decisioni sulla vostra vita, allora bevete almeno dieci tazze di tè prima di decidere.
Terzo, se commettete errori, e nella vita ciò è inevitabile, guardate a quegli errori come a degli insegnanti e mai come a qualcosa di cui vergognarsi. Uno sbaglio quasi mai è un fallimento, ma spesso è una preziosa opportunità per correggere il tiro.
Quarto, una persona paziente è una persona che allarga il suo orizzonte. Spesso ci si intestardisce su un unico obiettivo e, se non lo si raggiunge, si soffre. Abbiate i vostri traguardi, ma guardatevi sempre attorno con animo curioso. Potrebbero presentarsi opportunità migliori del falso traguardo che ci si era prefissi.
Infine, non sprecate energie. Non intestarditevi su obiettivi impossibili da raggiungere. In tal caso fermatevi ed aspettate, con pazienza, l’occasione giusta.

LE “INTERVISTE IMPOSSIBILI”: DIALOGO CON LA SFIGA

“Il più sfortunato degli uomini è colui che crede di esserlo” (Francois Fenelon)

Insieme alla morte, la nostra ospite di oggi è quella più temuta e vituperata da tutti, con la differenza che la morte può essere solo temuta ma non da alcun modo di essere maledetta da colui che la subisce, mentre la sfiga, oltre ad essere molto temuta, è oggetto costante di insulti e maledizioni da parte della quasi totalità del genere umano.

D: “Inizio con una domanda provocatoria. Essere insultata e maledetta da miliardi di persone ogni santo giorno porta sfiga?”

R: “Cominciamo bene…se devo essere sincera rispondo che a me non fa nessun effetto, anzi. La mia fama si accresce proprio in concomitanza del fatto che sono ogni momento sulla bocca di qualcuno e quindi più sono nominata e più acquisto fiducia nella mia esistenza.”

D: “Dalla sua risposta verrebbe da pensare che lei è insicura di se stessa. Come mai la sfiga ha questa debolezza?”

R: “Perchè è la stupidità umana che mi ha creata e resa famosa. Senza la stragrande maggioranza degli esseri umani io neppure esisterei. Vede, l’essere umano vive costantemente rimpiangendo un certo passato e temendo un certo futuro. Dal momento che passa un terzo della sua giornata a dormire e quasi tutto il resto a rimpiangere e temere, non si gode mai il presente perchè ha la pia illusione che quest’ultimo sia come egli si aspetta. Capisce bene che vivere così è quanto di più stolto ci possa essere e qui intervengo io. Dal momento che le cose non vanno mai bene per tutti allo stesso momento, quando la vita non ti sorride ecco che si da la colpa a me e facendo questo, si accresce la mia fama e la mia autostima. Se gli uomini diventassero all’improvviso tutti intelligenti, io cadrei nell’oblio e nessuno mi nominerebbe più. E’ una prospettiva terribile per me, ma, visto lo stato attuale dell’umanità, credo sia un’ipotesi irrealizzabile o, quantomeno, lontanissima.

D: “Nel corso dei secoli l’umanità ha identificato oggetti, date e addirittura animali che “portano sfiga”. Cosa ha da dire in proposito?

R: “Questa è la cosa che mi fa più ridere di tutte. Io non vivo “al di fuori” dell’uomo ma nella parte più intima ed oscura di lui, quella che cerca disperatamente ed invano di nascondere, insieme alla mia amica paura. Quindi, appena ad un essere umano capita qualcosa che egli teme gli accada, ecco che mi prendo io tutte le colpe mentre la mia amica paura sghignazza con gusto. Devo confessarle che la cosa un pò mi irrita ma ormai ci ho fatto l’abitudine.
Il collegamento di cui ha parlato lei ad oggetti, date o animali che sarebbero i miei mezzi prediletti è senza dubbio frutto dell’opera malata degli “influencer” di turno nel corso dei secoli. Le faccio un esempio banale che è il più classico di tutti. Moltissime persone sono convinte che i gatti neri portino sfortuna e non sa le risate che mi faccio quando sento qualcuno affermare che gli è capitata qualcosa di brutto dopo che un gatto nero gli ha attraversato la strada.
La verità è che questa fandonia è stata messa in giro da quei burloni della chiesa, che nel Medioevo facevano credere che i gatti neri fossero opera del demonio e quindi li bruciavano sui roghi insieme a quelle che loro avevano deciso di chiamare streghe. Il popolo si è bevuta questa imbecillità ma i suoi effetti riverberano ancora oggi. In verità, se proprio devo essere sincera, io detesto i gatti neri, quindi tragga le sue conclusioni…
So di persone che venerdì 13 o 17 addirittura non mettono il naso fuori di casa per la paura che gli accada qualcosa di spiacevole…non immagina le risate che ci facciamo insieme alla paura ed alla morte.

D: “Devo dedurre, da ciò che ha appena affermato, che i vari portafortuna, amuleti ed altra roba simile non abbiano alcun effetto nè valore.”

R: “Ah, questa non è una domanda da fare a me, ma alla mia “nemica”, la fortuna”.

D: “Quindi lei ammette che la fortuna esista. Che rapporto avete tra di voi?”

R: “Certo che esiste. Se lei non esistesse, non esisterei neanche io in questo mondo di dualità. Lei è l’altra faccia di me. Gli antichi saggi dicevano “Quisque faber fortunae suae”, intendendo che ognuno è artefice della propria fortuna. A nessuno è però mai venuto in mente di fare l’equazione opposta perchè nessun saggio ha mai affermato che ognuno è artefice della propria sfiga, eppure la cosa è così ovvia.
Visto che siamo in tema, ci tengo a spiegarle una cosa. Per farlo devo tirare in ballo il tempo. Il destino ha, per ognuno di noi, un disegno diverso, il problema è che noi non siamo in grado di vederlo nella sua interezza. Ce ne accorgiamo, per dire così, a tratti, volta per volta. Quando qualcosa ci accade esclamiamo “che sfiga!” o, di converso, “che fortuna!” come un robot programmato a reagire ad uno dei due stimoli che conosce. Proprio a nessuno viene in mente che quella che in quel momento chiamano sfiga, in un’ottica temporale più ampia, può diventare una vera e propria fortuna e le dirò che, il più delle volte è così.
A tale proposito vorrei raccontarle la storia zen di un contadino cinese che viveva secoli fa in un villaggio con la sua famiglia, una moglie e l’unico figlio maschio. L’uomo viveva del suo lavoro sul suo piccolo appezzamento di terra ed i beni più preziosi che possedeva erano alcuni animali, primo tra tutti un cavallo, senza il quale non avrebbe potuto svolgere il suo lavoro. Un giorno il cavallo fuggì dal suo recinto ed il povero contadino si trovò in grosse difficoltà nel continuare il suo lavoro. La gente del villaggio, venuta a sapere la notizia, espresse solidarietà con quell’uomo, chiedendosi come avrebbe fatto a tirare avanti senza il suo cavallo. A tutti quelli che gli sottoponevano direttamente questa preoccupazione, il contadino rispondeva con una sola parola: “forse”.
Dopo qualche tempo il suo cavallo fece ritorno alla sua fattoria, portandosi dietro altri 5 puledri selvatici che lo seguirono nel recinto e che entrarono quindi a far parte della proprietà del contadino. Appresa tale circostanza, la gente del villaggio si complimentò con l’uomo dicendogli “che fortuna! Prima avevi soltanto un cavallo e adesso te ne ritrovi ben 6”. La risposta del contadino era però sempre la stessa: “forse”. Il suo giovane figlio era impegnato nell’addomesticamento dei nuovi cavalli selvatici che erano recalcitranti ad essere sellati e cavalcati. Durante quest’opera, il ragazzo fu disarcionato da uno degli animali e, nella caduta, si ruppe una gamba. Di nuovo gli abitanti del villaggio si rivolsero al contadino con frasi di costernazione, del tipo “che sfortuna! il tuo unico figlio adesso non potrà più aiutarti nel lavoro alla fattoria, come farai?”. La risposta del vecchio contadino era sempre la stessa: “forse”. In quei giorni il signore di quel territorio dichiarò guerra al sovrano confinante ed emise un editto che prevedeva l’obbligo di partire in armi per tutti i giovani sudditi del suo regno. Naturalmente anche il figlio del contadino sarebbe stato obbligato a partire per la guerra ma, vista la sua gamba rotta, fu esentato dal parteciparvi. Ancora gli abitanti del villaggio esclamarono “che fortuna!, molti dei nostri figli moriranno in questa guerra ma il tuo figliolo potrà restare a casa al sicuro”. La risposta del contadino non cambiò neanche questa volta e rispose a tutti sempre con la stessa parola: “forse”. La storia potrebbe continuare all’infinito ma il senso di questo racconto zen ormai dovrebbe apparirle chiaro. Se analizziamo ciò che noi chiamiamo sfiga e fortuna con la lente lungimirante del tempo, ecco che i confini tra me e la fortuna sfumano quasi del tutto e non si riesce più a distinguerci. Il discorso è quindi molto più complesso di quanto non possa sembrare.

D: “Dal momento che prima non ha voluto rispondere sull’esistenza di amuleti e portafortuna, le faccio la domanda al contrario: esistono le maledizioni ed il malocchio in generale, tendenti dunque a richiamare disgrazie e sfortune su un soggetto preciso?”

R: “Domanda arguta, sulla quale non posso esimermi dal rispondere, visto che mi riguarda direttamente. La risposta è si, esistono eccome, ma anche riguardo a questo argomento va fatta una importante distinzione. Non rivelo certo qualcosa di sconvolgente se affermo che esistono il bene ed il male. Ebbene, maledizioni e malocchio, come li ha definiti lei, sono espressioni del male indirizzati verso qualcuno che si odia. Sono armi potenti e pericolose che bisogna saper maneggiare altrimenti si rischia seriamente di farsi del male.
Mi spiego meglio. Esistono persone al mondo, per fortuna non molte, che hanno estrema padronanza nel gestire fatture e rituali tendenti a far capitare qualcosa di molto brutto ad un’altra persona, sino ad arrivare, in casi estremi, alla sua morte. Queste persone, con un’alta padronanza di rituali magici molto potenti, hanno scelto di vivere nell’ombra ma, come dicevo prima, per fortuna sono davvero pochissime. Tutti gli altri, invece, totalmente ignari delle loro azioni, si limitano a sperare in qualche maniera che alla persona che essi odiano capiti qualcosa di spiacevole e, spesso, questo diventa, per molti di essi, una vera e propria ossessione che li divora costantemente. Queste persone non sanno che il loro odio, espresso con un certa intensità, senza le debite conoscenze, non arriva mai alla destinazione sperata, ma aleggia attorno alla persona che lo ha emesso per ritornarle addosso quando meno se lo aspetta, proprio perchè ogni azione deve avere una reazione uguale, ma, in questo caso, l’influsso negativo dell’odio ricade su colui che lo ha incautamente emesso.
Per fare un paragone banale ma calzante di tutto questo discorso, l’odio nei confronti degli altri è come una pistola carica senza sicura. Se non la si sa usare perfettamente, si rischia di spararsi sui piedi.
La deduzione finale è quella che tutti coloro che mi maledicono finiscono per rigettarsi addosso tutto quanto, mentre io non ne risento affatto e questo per chiudere il cerchio con la prima domanda che mi ha fatto”.

D: “ Ne deducono che, alla luce di tutto ciò che lei ha affermato, non esistono persone che “portano sfiga”.

R: “Oh, certo che esistono, ma possono nuocere solo a se stessi.”

Un libro…

“Un libro deve essere un’ascia per il mare ghiacciato che è dentro di noi”. (Franz Kafka)

Non smetterò mai di leggere e di scrivere di libri. Potrà sembrare un paradosso ma è così. Leggere mi incanta, è un piacere che pochi si concedono nell’epoca dei social. Per mancanza di tempo, ci si giustifica il più delle volte. Se si trova il tempo per nutrire il corpo si dovrebbe trovare anche quello per nutrire l’anima.
Un libro può essere giocoso, spiritoso, erotico, noioso, toccante, coinvolgente…tutti attributi che cerchiamo ed a volte troviamo anche nelle persone che incrociano la nostra vita. Ma, al contrario di queste ultime, un libro non tradisce mai, non sa fingere. E’ quello che è, se non ti piace puoi metterlo da parte senza rancore. I libri non provano rancore. Danno ma non ti tolgono nulla.
Una persona può mentire, spesso solo per difendersi, un libro non mente mai. Puoi decidere di trascorrere una serata in un qualsiasi locale ma rischi di aver buttato via il tuo tempo. Puoi decidere di trascorrere un pomeriggio in libreria o una sera a leggere e non rischi mai, perché i libri sono amici del tempo e forse sanno come fermarlo.
Il peggiore dei sentimenti che può provocarti è l’indifferenza. Non si può odiare un libro. Una persona ha un volto ed un carattere mutevole, un libro ha solo un’anima ed è sempre quella.
Un libro è un mondo alternativo al mondo di ogni giorno, un oggetto che senza far troppo rumore, ci consegna realtà inimmaginabili, creando quel vuoto nel mondo reale che spesso cerchiamo troppe volte invano, è una droga che non fa danni.
I libri hanno vita propria, credo che non siamo noi a sceglierli, ma sono loro a scegliere noi con quelle copertine ammiccanti ed i loro titoli, proprio come fanno gli abiti e l’aspetto per le persone.
Spesso non ci rendiamo conto che dietro quelle parole c’è tutta l’anima di una persona con cui abbiamo deciso di trascorrere il nostro tempo, famosa o sconosciuta, viva o morta. Volete mettere la soddisfazione di poter dire di aver conosciuto Shakespeare, Omero, Dante, Dostoevskij, Pirandello o addirittura Buddha. Già, perchè un libro trascende il tempo e le distanze e ti fa entrare nel mondo migliore di persone distanti migliaia di chilometri, che parlano altre lingue o che non ci sono più da secoli o millenni. Perchè leggere un libro è sempre guardare avanti anche se stai andando indietro nel tempo, perchè la nostra esperienza comincia dove quella dell’autore finisce.
Un libro, se lo guardate bene, ha la stessa forma di una porta; la apri ed entri in un altro mondo, il mondo di chi lo ha pensato e scritto che diventa adesso il vostro.
I libri hanno cambiato il mondo e non parlo soltanto di quello di chi li legge. Pensate alla Bibbia, al Corano, ai Veda; Senza quei libri il mondo sarebbe ben diverso da come lo conosciamo oggi. I libri sono stati fraintesi, idolatrati, proibiti, censurati, bruciati e raccolti in biblioteche enormi, tanto grandi da far impallidire le cattedrali.
Non è possibile che un libro lasci indifferenti, una sensazione te la provoca sempre, anche se fosse il semplice sonno o la noia.
Non ha importanza ciò che leggi, un libro, se letto al momento giusto, ti sfonda l’anima e ti cambia per sempre.

Ti conosco, mascherina.

“La manipolazione consapevole ed intelligente delle opinioni e delle abitudini delle masse svolge un ruolo importante in una società democratica e coloro che padroneggiano questo dispositivo sociale costituiscono un potere invisibile che dirige veramente il Paese”

(Edward Bernays)

Credo che nella vita, se si vuole vivere in maniera dignitosa e soddisfacente, ci si debba sempre chiedere il perchè di ogni cosa, di tutto.
Anche ciò che può apparire scontato e consolidato nel consesso comune, andrebbe analizzato a fondo per chiedersi e, conseguentemente, scoprirne il perchè.
Perchè devo mettermi una giacca e una cravatta ad un matrimonio quando fuori ci sono 40 gradi? Solo perchè è “consuetudine e buona educazione?”. Mi spiace ma non mi basta. Forse perchè se non lo fai saresti oggetto dei giudizi disgustati degli altri? E chi se ne frega!
E’ un esempio banale, ma se vado a caccia di perchè non riesco a trovarne uno che mi soddisfi e sfido chiunque a fare la stessa cosa.
Ma ormai viviamo in un ambiente assuefatto a tutto, dove tutti eseguono comportamenti inutili e distruttivi senza chiedersi mai perchè, e a causa di questo stiamo correndo velocemente verso l’autodistruzione.
Venendo all’oggetto del post, vorrei provare ad analizzare da un punto di vista diverso, poco clinico e più mentale, quel comportamento che è diventato il “must” in questo periodo. L’utilizzo della mascherina.
Non so a voi, ma l’immagine di un essere umano con la mascherina mi ricorda quella di un cane con la museruola, e forse la similitudine è più realistica di quanto possiate immaginare. Al cane togliamo la museruola quando siamo a casa proprio come noi ci togliamo la mascherina appena rientriamo. Il cane deve portare la museruola quando ci sono altre persone, se non c’è gente in giro possiamo togliergliela.
Oggi quel pezzo di stoffa delle più svariate fogge e colori, nato come dispositivo di protezione medica, non è più tale ed i significati psicologici che riveste sono molteplici ma nulla a che vedere con la tanto decantata barriera alla diffusione di un virus qualunque.
Per alcuni è addirittura uno status symbol e, lungi dalla volontà di indossarla a fini di prevenzione, fanno a gara ad esibire in pubblico mascherine griffate di Prada o Vuitton, pagate centinaia di euro al pezzo. Per costoro è fin troppo chiaro che essa è solo un modo di cercare di distinguersi restando comunque nel conformismo più totale, ma questa non è certo una novità.
L’aspetto più strettamente medico non è di mia competenza ma, da profano, se rilevo che i famigerati “esperti” sono divisi sull’utilizzo delle mascherine, laddove molti arrivano ad affermare che arrecano più danno che beneficio, una domanda me la pongo ed appiattirmi dalla parte di coloro che vorrebbero imporla quasi ovunque non mi sembra una buona scelta.
Se ci ragiono sopra, noto che ogni normativa tendente a regolare il loro utilizzo apparirebbe assurda persino ad una scimmia del Borneo, ma il problema è che la maggior parte delle persone indossano una mascherina solo perchè hanno paura e quel pezzo di stoffa è l’evidente vessillo del loro terrore, la loro lettera scarlatta.
Un terrore sapientemente costruito ed alimentato ad arte da una classe politica ignorante e dai loro cani da pastore dei media, a cui si unisce un ristretto gruppo medico di “superesperti” di governo che non credo abbiano a cuore i cittadini ma soltanto le loro poltrone ed il loro portafogli.
Non si tratta di essere bollati come complottisti, negazionisti, cospirazionisti o chissà cos’altro perchè è tutto sotto i nostri occhi ma non lo vogliamo osservare. Osservare significa riflettere, significa chiedersi il perchè, informarsi e poi decidere con la propria testa e questo mi rendo conto che risulta un pò troppo faticoso ai più. Meglio la vecchia, pecorona “riprova sociale”, se lo fanno tutti deve essere giusto così.
Chiunque stia orchestrando questa tragedia, sa benissimo che oggi, manovrare le masse risulta molto più semplice che non in passato. Ai nostri tempi, purtroppo, è un gioco da ragazzi. Chi la pensa così, come ho già detto, viene definito “complottista” e conseguentemente deriso ma quanti sono a conoscenza che la manipolazione delle masse è diventata oggi una vera e propria scienza esatta?
E non pensate che una, due o dieci lauree vi mettano al riparo da questa opera, non sono le persone “ignoranti” quelle più manovrate ma, paradossalmente, sono quelle che hanno portato avanti gli studi.
Gustave Le Bon, Edward Bernays, Noam Chomsky sono nomi che non vi diranno nulla, eppure sono i padri di questa “scienza” e le loro opere andrebbero lette nelle scuole, invece sono dei perfetti sconosciuti. Certe cose, meno si sanno, meglio è. Tutti conoscono Cristiano Ronaldo ma ignorano chi sia Edward Bernays. Il primo è un ignorante giullare giocoliere che diverte il mondo, il secondo è uno che il mondo lo ha cambiato radicalmente.
Tornando alla nostra mascherina, a questo punto, osservando l’assurdità delle norme a riguardo, appare chiaro che essa argina la diffusione del virus alla pari di un ragazzino con la fionda di fronte ad un’orda di barbari armati sino ai denti.
Continuare nel tempo ad indossare una mascherina potrebbe sembrare una cosa del tutto innocua ma non lo è.
Pensate all’impatto psicologico che essa avrà sui soggetti più deboli, primi fra tutti, i bambini. Oggi ci sono bambini per cui la mascherina è diventata la normalità, per loro è normale girare con la bocca coperta e se hai la bocca coperta è come se ti avessero tolto la parola, il diritto di dire la tua liberamente. Psicologicamente, la mascherina non ci protegge dai virus ma ci tappa la bocca e ci stiamo abituando a tenere la bocca chiusa davanti a soprusi che diventano sempre più assurdi.
Sono tutti terrorizzati da un virus che non uccide più nessuno. Io sono terrorizzato da un Paese che tappa la bocca ai suoi cittadini ed ai suoi bambini, e questo è molto peggio della più terribile delle morti.

Essere umano

C’è un abisso di differenza se utilizzi “essere” come verbo piuttosto che come sostantivo. La maggior parte delle persone su questo pianeta sono esseri umani senza essere umani.
Si è perso il significato ed il valore di essere umani, forse perché è uno status che consideriamo acquisito fin dalla nascita. E’ ovvio che si nasce umani ed umani si muore. Ma riusciamo davvero ad essere umani durante il nostro passaggio di vita?
La storia dell’umanità riflette, sin dai suoi albori, quella che dovrebbe essere l’evoluzione di ogni singolo uomo, che non consiste nel semplice fattore biologico di una nascita, una crescita ed una morte, ma in un aumento della profonda consapevolezza di ciò che significa davvero essere umani.
Siamo solo una specie che fa parte integrante dell’equilibrio naturale ma fingiamo di non accorgerci che, per mantenere quell’equilibrio, che è il nostro stesso equilibrio, dobbiamo fare la nostra parte di esseri umani per preservarlo e migliorarlo, non certo per alterarlo, perché tutto questo potrebbe equivalere ad un suicidio di massa.
L’umanità intera si sta evolvendo da millenni, è stata giovane ed è cresciuta, secolo dopo secolo, ma adesso non si riesce a capire se stia ancora crescendo o, come sembra, sia terribilmente invecchiata e, di conseguenza, inizi a dimostrare i segni evidenti del cedimento che sono i prodromi della morte.
Si avverte, infatti, un certo senso di appagamento negli esseri umani di oggi, quasi la convinzione che ormai si sia “arrivati” e che non resti molto altro da scoprire, visti i passi da gigante della scienza in ogni settore negli ultimi decenni.
Gli stessi scienziati, e non solo la gente comune, stanno commettendo il grossolano errore che, nel 1900 commise Lord Kelvin, stimatissimo fisico ed ingegnere britannico, il quale, parlando davanti alla British Association for the Advancement of Science, a Bradford, pronunciò queste scellerate parole: “Ormai in fisica non c’è più nulla di nuovo da scoprire”.
Gli uomini hanno demandato tutto alla scienza ed alla tecnologia, convinti che, se dovesse sorgere qualunque problema, una macchina futuristica o un computer potentissimo sarebbero in grado di risolverlo. Ma è solo un’illusione.
Certo, l’odierna tecnologia rende molti aspetti della vita quotidiana più semplici, ma abbiamo mai riflettuto sul prezzo che abbiamo pagato e che stiamo ancora pagando?
Abbiamo delegato a quella stessa tecnologia tutto quello che ci rende umani, ne siamo diventati schiavi, non riusciamo a fare più nulla senza un computer, uno smartphone o un tablet. Abbiamo di conseguenza sacrificato la nostra creatività, che è la principale caratteristica ed il più grande dono di un essere umano. Non riusciamo più a creare qualcosa che sia originale, che sia nostro, che ci renda unici. E questo perché diciamo di non avere tempo, quel tempo che le macchine avrebbero dovuto regalarci in abbondanza ma che invece ci ha sottratto del tutto. Che cosa non ha funzionato?
Se non riusciamo a creare e quindi a far emergere la nostra “umanità”, siamo costretti a scegliere tra quei (pochi) modelli preconfezionati che la società ci propone ed in un certo senso ci impone.
Ed ecco che ognuno cercherà di assomigliare a questo o a quello, essere magra come una modella o bello come un attore, ricco come un industriale o seguito come un influencer. Si sono creati alcuni poveri modelli e, di conseguenza, milioni di copie venute male.
Credete che tutto questo sia “essere umani”? Ci siamo ridotti ad un ammasso di cellule con funzioni biologiche che sfruttano ed uccidono quegli animali che pure fanno parte della stessa natura e che reputiamo privi di diritti. Ebbene, anche loro, come noi, sono un insieme di cellule con funzioni biologiche che pensano, ragionano e provano sentimenti. Se dovessi fare un paragone, direi che sono anche migliori degli umani, perché tra quei sentimenti non sono comprese la crudeltà e la cattiveria. L’uomo è l’unico essere del creato capace di uccidere un suo simile per il solo piacere di farlo. Stiamo attenti quando parliamo di “superiorità” della razza umana.
Tutti hanno dimenticato che quello che ci rende “esseri umani” è invece la capacità (che gli animali non hanno) di porsi determinate domande.
Nell’antichità, i cui uomini non esitiamo a definire “barbari” o “incivili”, quelle domande erano invece all’ordine del giorno, la filosofia era una parte vitale delle società antiche. Molti sovrani erano abili condottieri e grandissimi filosofi, come Marco Aurelio, uomini nel vero senso della parola a cui veniva demandato il comando di interi popoli e dai quei popoli venivano amati.
Oggi non esistono più condottieri, ma solo uomini meschini ed individualisti e la filosofia, intesa etimologicamente come “amore per la conoscenza” è scomparsa del tutto, relegata a materia odiata nelle scuole ed appannaggio di pochi uomini che nessuno è disposto più ad ascoltare.
Ebbene le domande dei filosofi sono le “domande dell’uomo”, quello che ci contraddistingue come “esseri umani”, e che ci dovrebbe far progredire in un cammino che non può essere concluso.
Non dico che tutti dovrebbero porsi le universali questioni del “chi siamo” e “da dove veniamo”, anche se sarebbe auspicabile, ma almeno ognuno di noi si dovrebbe porre la domanda di “chi vuole essere”. Ma neanche questo accade, e se non ti poni il problema di chi vuoi essere, allora sarai sempre e soltanto ciò che gli altri di diranno di essere o faranno in modo che tu sia, e quello non sei tu.
I grandi saggi del passato hanno sempre affermato che bisogna vivere l’attimo presente ed avevano ragione, perché quasi tutti sprecano letteralmente l’intera vita a rimpiangere un passato che non può tornare o a preoccuparsi ed avere il terrore di un futuro che non c’è ancora e che forse mai ci sarà.
Paradossalmente l’umanità sta mettendo in pratica quell’insegnamento come collettività universale e non come singolo individuo. Così facendo sta sovvertendo i benefici di quel modo di essere.
Una umanità che è tutta tesa a vivere soltanto il presente, depredando le risorse del pianeta, inquinandolo, distruggendo intere zone ed ecosistemi, per il loro benessere di oggi, è destinata a scomparire.
Se l’individuo, per essere felice, deve vivere il suo presente, il genere umano deve avere lo sguardo dritto sul futuro e non spremere il presente come se un domani non ci fosse. Noi in quel domani non ci saremo, ma i nostri figli e nipoti si, ed oggi stiamo creando una generazione del tutto incapace di costruirsi un futuro, per cui dovremmo pensarci noi, preservando l’ambiente ed educandoli a farlo a loro volta.
Se per “essere umani” non abbiamo voglia di apprendere la filosofia, almeno impariamo la storia, ma non quella del nostro quartiere, della nostra città, regione e nemmeno nazione. Dovremmo imparare la storia di tutti i popoli, conoscerne le rispettive culture ed origini, perché sono convinto che il dilagante razzismo ed intolleranza nei confronti di chi è “diverso” da noi a cui assistiamo oggi deriva soltanto dall’ignoranza.
Se continuiamo ad educare le nuove generazioni secondo una logica di quartiere avremo una sempre maggiore frammentazione delle coscienze, gruppi chiusi a difesa del loro piccolo sentire, gli uni contro gli altri.
Non importa se il “diverso” è nella città vicina o dall’altra parte del mondo. Se conosco solo la storia del mio “gruppo di appartenenza”, ignorando quella dell’altro secondo la folle ed imperante logica dell’equazione che ogni “diverso” deve anche essere “peggiore” di te, otterrò sempre e comunque un mondo frammentato ed in guerra perenne.
Le tradizioni sono importanti e vanno tramandate, ma in quanto parti di una cultura comune che deve fare leva sulla curiosità della conoscenza (qui ritorna il vecchio metodo filosofico) e non sulla demenziale certezza di essere i depositari del sistema di vita migliore, perchè quale sia il sistema migliore credo che nessuno lo abbia ancora capito. Gli esempi che abbiamo oggi sono totalmente fallimentari.
Nuova conoscenza e tradizione possono e devono coesistere. Creare una società di persone, esseri umani appunto, che sanno da dove provengono ma che abbiano voglia di migliorare, arricchendosi di nuove esperienze e nuovi modi di intendere la vita rispettandosi, deve essere l’obiettivo a cui tendere. La certezza del passato per una evoluzione nel futuro, vivendo appieno il presente singolarmente, nel rispetto di tutti e dell’ambiente in cui siamo immersi.
Questa semplice formula ritengo sia quella che posa farci “essere umani”.

Storia di Peppe e Fritz, fratelli d’Europa

Gennaro Caccavella era il più simpatico e prestante bagnino della spiaggia di Cesenatico ai tempi del dopoguerra. Dal momento che era alto, moro e con gli occhi verdi, raccontava a tutti che era nato a Bolzano, nascondendosi a tal fine dietro il nomignolo di “Genny il bello”, con cui era solito farsi chiamare. Solo la completa visione della segretissima carta d’identità del nostro Genny avrebbe tradito le sue inequivocabili origini meridionali.
In un assolato pomeriggio settembrino, il nostro italico bagnino stava facendo l’ennesimo giro di perlustrazione della spiaggia romagnola, più per dare una interessata occhiata ai centimetri di pelle esposti dalle turiste tedesche che per verificare che nessuno fosse in pericolo di vita a causa del mare, visto che per morire nell’acqua di quel tratto di riviera doveva venirti un infarto piuttosto che essere travolto dagli inesistenti flutti di acqua salmastra non più alti di dieci centimetri che non avrebbero fatto paura neanche ad un gatto.
Sotto l’ultimo ombrellone a spicchi bianchi e blu del territorio di sua competenza, Genny notò due giovani ed avvenenti bionde che parlavano tra di loro distese sulle sdraio con una birra in una mano mentre con l’altra si schermavano gli occhi a protezione del sole che aveva iniziato la sua discesa verso l’orizzonte.
L’italico stallone fece scattare la reazione automatica tipica di quella situazione che consisteva nel “petto in fuori e pancia in dentro” con lieve contrazione dei muscoli addominali e si avvicinò con passo felpato alle due bellezze, pronto ad attaccare discorso attingendo al suo repertorio di rimorchio balneare e forte della sua posizione di autorità spiaggistica, sancita dalla bianca scritta “bagnino” su entrambi i lati della sua canottiera rossa.
“Buongiorno gentili signore, spero che vi stiate godendo una bella vacanza qui al nostro lido “bella Italia”. Se avete bisogno di qualsiasi cosa, io sono qui a vostra completa disposizione. Mi chiamo Genny, siete arrivate da poco? Non vi ho mai viste qui da noi.”
“Scusare noi” disse quella delle due che piaceva di più al nostro bagnino, “noi no italiane, venire da cermania e parlare poco vostra lingua, no capito”.
Genny, nel corso della sua esperienza sui litorali di quelle zone, aveva avuto spesso a che fare con i turisti tedeschi (sarebbe meglio dire “turiste tedesche”) ed aveva imparato quindi ad intavolare il minimo sindacale della conversazione che gli garantiva, il più delle volte, una conoscenza più “approfondita” delle sue interlocutrici. Con i suoi modi gentili e garbati che lo rendevano affascinante, si accovacciò sulle proprie gambe e scambiò un pò di chiacchiere con Erika e Brigitte (questi i loro nomi) che parvero gradire la sua compagnia, specialmente Brigitte che era stata la prima delle due a rispondergli. Dopo una decina di minuti, consapevole che stare lì a parlare non era conveniente né per il suo lavoro, né per le sue gambe che iniziavano ad intorpidirsi, né tantomeno per la rodata tecnica rimorchiatoria che consigliava un tempo il più possibile limitato durante il primo approccio per non apparire fin da subito troppo invadente, si congedò dalle due teutoniche bellezze non prima di essersi assicurato che sarebbero ritornate su quella stessa spiaggia anche il giorno successivo.
Da quel primo, fortuito approccio in un angolo di un mondo che stava cercando a fatica di dimenticare gli orrori di una guerra ancora troppo vicina nei ricordi di tutti, nacque una grande passione ed un grande amore tra il nostro italico Genny e la bionda tedesca Brigitte. Si era verificato un riallineamento di due figli appartenenti a due Paesi martoriati dalla scelleratezza dei loro folli governanti che avevano scoperto, qualora ce ne fosse stato il bisogno, che l’amore non conosce confini di nessun genere e che non si ferma davanti a nessuna delle barriere materiali o linguistiche frutto degli artifici del genere umano.
Italia e Germania si stavano risollevando insieme, così come i loro figli Genny e Brigitte stavano iniziando a costruire qualcosa insieme che, si sperava allora, sarebbe durato a lungo.
Dalla loro unione, inizialmente ricca di entusiasmo e di felicità, nacquero anche due gemelli belli ed intelligenti. Giuseppe, detto Peppe, tutto suo padre, e Fritz, più vicino come carattere e caratteristiche fisiche a mamma Brigitte.
Ma si sa che molto spesso l’amore di coppia è soltanto un inganno della natura inscenato per garantire la continuità della specie e Genny e sua moglie non sfuggirono a questa dura legge. Se poi ci si aggiunge anche una differenza di fondo dovuta a cultura ed ambiente di provenienza differenti, allora ecco che il piatto del fallimento matrimoniale è servito, cotto a puntino.
Con grande civiltà e con un senso di amicizia che si erano ripromessi di mantenere costante al posto del loro antico amore, decisero, di comune accordo, di proseguire il resto delle loro vite ognuno per la sua strada alla ricerca di nuovi stimoli quando i loro due figli erano ormai adulti e pronti ad affrontare tutti gli imprevisti che il mondo avrebbe messo loro di fronte.
Genny aveva lavorato duramente per offrire un solido futuro alla sua famiglia e, nel periodo di amore ed armonia che era durato abbastanza a lungo, era stato pienamente supportato dalla sua Brigitte che aveva saputo infondergli la tenacia e l’organizzazione germanica complementare all’estro ed alle idee, spesso geniali, del nostro italico Gennaro.
Fu così che l’azienda di servizi da loro fondata su innovative ed organizzate trovate commerciali, frutto del loro complementare ed efficace lavoro di squadra, si sviluppò a tal punto da arricchire in maniera considerevole la famiglia Caccavella. I rapporti con i clienti e le idee per lo sviluppo erano tutti made in Gennaro, mentre la contabilità ed i rapporti con fornitori e tutto ciò che riguardava i numeri e l’organizzazione dei dipendenti erano sotto la supervisione impeccabile di Brigitte. Tutto filò liscio per anni, con l’azienda che funzionava come un orologio, facendo lievitare il patrimonio e la soddisfazione di tutta la famiglia sfruttando i rispettivi punti di forza.
Ma quasi sempre il destino ha, per ogni essere umano, dei progetti completamente diversi dai desideri immaginati o espressi. Genny e Brigitte, allorquando il tempo logorò come una goccia d’acqua sulla roccia la loro unione, presero, di comune accordo, la decisione di separare le loro vite, per cui misero al corrente i loro due figli che quella sarebbe stata la decisione migliore per tutti e chiesero se entrambi avessero la voglia e l’intenzione di portare avanti l’azienda di famiglia.
Peppe e Fritz, che da ragazzini erano sempre andati molto d’accordo quando c’era da divertirsi e giocare, furono però concordi nel declinare la proposta dei loro genitori in quanto avevano altri progetti e desideri per il loro futuro personale e professionale. I loro genitori, quindi, divisero equamente l’intero patrimonio familiare tra i ragazzi e mantennero per ognuno di loro quanto bastava per vivere il resto della loro vita in modo libero e dignitoso.
Peppe era, tra i due, il più estroso, impulsivo, ai limiti dell’irrazionalità, e se c’era qualcosa di nuovo da sperimentare, lui era sempre in prima fila. Non molto accorto nell’uso del denaro, amava mettersi in mostra per i suoi bei vestiti o qualunque cosa fosse all’ultima moda. Dotato di una fervida fantasia, era sempre lui che trovava la soluzione a problemi all’apparenza irrisolvibili. Le donne e gli amici erano i suoi passatempi preferiti.
Fritz, in quanto ad intelligenza, non era certo inferiore a suo fratello gemello, ma emanava una diversità caratteriale profonda quasi quanto i caratteri somatici che contraddistinguevano i due. Alto, biondo e con gli occhi chiari come sua mamma, Fritz era un concentrato di razionalità. Grande analizzatore, sempre molto riflessivo quando c’era da prendere qualunque decisone, coltivava in maniera quasi maniacale il suo miglioramento personale badando agli altri solo in modo marginale, sia sotto il punto di vista fisico che quello intellettuale, andando in palestra quasi ogni giorno e leggendo avidamente i grandi autori letterari e filosofi della storia tedesca.
Quando ricevevano la paghetta o, in generale, regali in denaro per il compleanno o per Natale, Peppe quasi sempre dilapidava tutto nei locali o in feste con gli innumerevoli amici e nuove ragazze offrendo da bere a tutti oppure acquistando sneakers all’ultima moda o in genere capi di abbigliamento griffati. Fritz, al contrario, risparmiava tutto quello che poteva e si curava poco delle apparenze modaiole del momento. Preferiva “investire” i suoi guadagni giovanili in libri e palestra, il resto lo metteva da parte.
Era normale, quindi, che Peppe fosse sempre ricercato da tutti, mentre Fritz veniva guardato con più diffidenza e sospetto.
Non era infrequente che Peppe, a causa della sua indole spendacciona, rimanesse a secco di denaro per cui, se ne aveva bisogno per i suoi divertimenti e spese voluttuarie, lo chiedeva in prestito a suo fratello con la solenne promessa che glieli avrebbe presto restituiti. Qualche volta succedeva, ma il più delle volte i soldi non tornavano indietro.
Allorquando giunse il momento della separazione dei loro genitori, il rifiuto comune della prosecuzione dell’attività commerciale di famiglia, determinò di conseguenza anche la separazione delle strade dei due gemelli. Come i loro genitori, anche Peppe e Fritz decisero di andare ognuno per la sua strada.
Genny e Brigitte fecero in modo che il cospicuo patrimonio di famiglia venisse equamente suddiviso tra i gemelli, i quali avrebbero così potuto disporne a loro piacimento per il loro futuro personale e professionale.
Una ulteriore parte del patrimonio della famiglia Caccavella fu utilizzata nella creazione di un fondo patrimoniale intestato ad entrambi, una sorta di “salvagente” per casi di emergenza estrema che avrebbe funzionato da ammortizzatore patrimoniale nel caso in cui uno di loro, o entrambi, si fossero trovati, un domani, in cattive acque.
Il posato Fritz, dopo aver sposato una ragazza di Francoforte, si trasferì in quella stessa città, destinò gran parte dei suoi averi in oculati investimenti e, una volta conseguita la laurea in economia, ed un paio di master in gestione patrimoniale, ebbe, da solo, capacità e conoscenze per veder crescere il suo potere economico di anno in anno.
Il più frivolo Peppe, invece, rimase un single incallito, senza molta stabilità sentimentale e di idee, e preferì investire gran parte dei suoi averi in un ristorante di lusso ed uno stabilimento balneare per VIP su quella stessa riviera sulla quale la storia della sua famiglia aveva avuto inizio.
I due fratelli rimasero comunque in buoni rapporti negli anni che seguirono e certe volte, rispolverando l’antico vizio, Peppe, ogni tanto chiedeva aiuti economici a Fritz in quei casi in cui gli occorreva un pò di liquidità immediata, non volendo attingere al “Fondo salvafratelli” che restava vincolato ai casi di effettiva ed improrogabile emergenza. “Il tedesco”, questo era il nomignolo che Peppe aveva dato al fratello gemello, quasi mai negava il favore richiesto, non mancando però di fargli benevolmente la solita paternale sul suo stile di vita, invitandolo sempre a “mettere la testa (e le finanze) a posto”.
Durante un inverno che sembrava uno come tanti, il mondo intero fu colpito da una terribile pandemia che fece un gran numero di vittime tra la popolazione e colpì in maniera pesantissima l’economia internazionale, dando il colpo di grazia a certi settori produttivi, primi fra tutti, quelli della ristorazione e del turismo.
Facile immaginare quale, tra i nostri due fratelli, fu quello che subì le conseguenze più devastanti di questa inaspettata e tragica situazione.
Ristorante e stabilimento balneare fallirono e Peppe, già fortemente indebitato a causa dello stile di vita che aveva sempre tenuto, ben superiore alle sue effettive possibilità, fu costretto a svenderli per un prezzo di gran lunga inferiore al loro valore effettivo. I suoi folli progetti ed il desiderio sfrenato di una bella vita, lo avevano spinto ad accordi poco leciti anche con la malavita, a cui accettava di riciclare, con le sue attività commerciali, il denaro sporco, in cambio di visibilità e clientela VIP. Quella stessa malavita, nella condizione difficile del blocco forzato di mesi del Paese, non si lasciò sfuggire l’occasione di rilevare i terreni, gli edifici e le licenze che erano appartenute a Peppe in cambio della cancellazione di una parte dei suoi debiti.
Chissà perchè, il buon Peppe non si meravigliò neanche più di tanto quando venne a conoscenza che l’operazione appena descritta fu organizzata e gestita, per conto del crimine organizzato, da uno dei suoi più cari amici d’infanzia.
Il gemello “italiano” si ritrovò quindi in mezzo alla strada, senza un centesimo ed ancora fortemente indebitato con persone con cui non era molto salutare essere in debito.
L’unica alternativa per sopravvivere era quella di accedere al fino ad allora inutilizzato “fondo salvafratelli”, ma, per potere operare su quel fondo, aveva bisogno del necessario benestare di suo fratello Fritz.
Ancora una volta contattò il suo gemello “tedesco”, ed in una videochat dai toni drammatici gli disse che aveva bisogno non solo della sua parte della riserva disposta dai genitori a garanzia di entrambi, ma anche di un cospicuo prestito personale a fondo perduto o, in alternativa, che Fritz gli concedesse l’intero importo del fondo in questione per far fronte alla sua drammatica situazione economica.
Il suo gemello di Francoforte, con la flemma che lo aveva sempre contraddistinto, ascoltò impassibile le sfuriate di Peppe, che alternava ferventi implorazioni a neanche tanto velate minacce, rammentandogli continuamente che erano sempre una famiglia e che solo restando uniti avrebbero fatto felici i loro ormai vecchi genitori.
Fritz pensava che, pur essendo davvero figli degli stessi genitori biologici, per di più gemelli, non potevano esistere al mondo due persone più diverse tra loro non solo per l’aspetto fisico, ma anche e soprattutto per carattere, abitudini e temperamento. Questa volta decise di restare inflessibile e, pur acconsentendo allo scioglimento e conseguente divisione del denaro presente sul Fondo “salva fratelli”, non cedette di un millimetro e rifiutò ogni altra richiesta economica di suo fratello che avrebbe forse, solo in quell’occasione, imparato sulla sua pelle cosa significava essere accorto e previdente sotto il punto di vista patrimoniale, etico e morale.
Cinismo avveduto contro incosciente superficialità. Nasce come una storia di altri tempi ma potrebbe benissimo essere una storia dei nostri giorni…

Le “interviste impossibili”: dialogo con la paura

Ci sono due modi per far muovere gli uomini: l’interesse e la paura” (Napoleone Bonaparte)

Eccoci ancora qui con un ospite molto gettonata in questo periodo, la protagonista assoluta della scena mondiale, presente nelle case di tutti senza essere Bruno Vespa o un influencer con milioni di like. Meglio sarebbe dire che, in fondo, è l’influencer più influenzante che ci sia, con miliardi e non milioni di dislike e proprio per questo merita questa intervista in esclusiva.

D: “Come ci si sente ad essere, in questo momento, colei che è entrata non solo nelle case di tutto il mondo, ma nella testa e nel cuore di tutti gli abitanti del pianeta?”
R: “Tengo a precisare che io ho sempre fatto parte integrante della vita di ogni essere umano, nessuno escluso. Anzi, nemmeno gli animali sono esenti dalla mia morsa, ma loro sono molto più intelligenti degli umani e si limitano a darmi ascolto solo quando esiste un motivo valido e preciso. Terminata la causa esterna che mi ha generato, un secondo dopo se ne sono dimenticati e tornano tranquilli come prima. Non mi diverto molto con loro.
Con gli umani invece si che mi diverto e mi sbizzarrisco, voi siete fantastici, così irrazionali ma allo stesso tempo così prevedibili…
Mi avete resa protagonista persino nelle fiabe per i bambini per educarli sin da piccoli alla mia presenza, loro che neanche sanno cosa sia la paura. Non hanno idea di cosa significhi davvero “avere paura”, ma voi infarcite le favole che raccontate loro prima di andare a dormire di orchi, streghe, “uomo nero” ed altre cose ridicole come queste senza rendervi conto che state creando le mie vittime preferite quando saranno grandi.
Adesso non ho neanche bisogno di creare qualcosa che faccia davvero paura, non devo neanche sforzarmi di lavorare; mi basta dire qualche parolina e riesco a scatenare un panico ingiustificato che vi rende tutti miei servitori. Cosa potrei chiedere di più?
D: “Ci può svelare quali sono i suoi trucchi per essere diventata così famosa?”
R: “Insieme alla mia famiglia, mia sorella ansia e mio fratello panico, formiamo un gruppo invincibile. Siamo molto affiatati ma di rado operiamo insieme perché gli effetti della nostra unione possono essere devastanti per la sopravvivenza stessa del genere umano, ma in questo periodo ci hanno dato il permesso di stare un pò insieme e noi naturalmente ne approfittiamo perché non capita molto spesso…ce lo consentono al massimo un paio di volte ogni secolo.
Guardi che poi non uso nessun “trucco” come lei ha detto. Non ne ho affatto bisogno ed opero alla luce del sole utilizzando i mezzi che usano tutti per farsi conoscere al grande pubblico, in primo luogo i giornali e la televisione, ed in questo periodo vengo invitata ad ogni programma che viene mandato in onda, dai Tg sino ai quiz ed i programmi più stupidi, che poi alla fine sono sempre i più seguiti. Confesso che, insieme ai miei fratelli, stiamo facendo gli straordinari per dividerci i compiti ma ci stiamo riuscendo alla grande.
Credo che il genere umano, al giorno d’oggi, sia composto da esseri di paglia e non temprati come quelli di una volta, per cui basta solo far scoccare una piccola scintilla al momento giusto nel posto giusto ed ecco che avete ottenuto un enorme incendio, difficile da domare. In fondo non devo neanche sforzarmi così tanto. Ricordo i tempi della peste nera del 1300…eh allora si che la gente aveva le palle…
D: “Quando è nata questa storia del coronavirus, vi aspettavate tutto questo successo?”
R: “Se devo essere sincera, assolutamente no. Come ho già detto, sono abituata ad agire in simbiosi con il genere umano quotidianamente fin da quando la vostra specie è apparsa sul pianeta e mi accorgo che vi sono determinate situazioni in cui la vostra risposta è sproporzionata al pericolo in atto.
Le porto un esempio; periodicamente viene sempre fuori qualche malato di mente con mille problemi che decide di farla finita magari lanciandosi con un camion su una folla di gente inerme. Ebbene, a me basta pronunciare la parola magica “terrorismo”, ed ecco che tutti mi spalancano la loro mente, smettono di ragionare, se la prendono con un nemico invisibile, ed il gioco è fatto. Ammetto che in questo genere di situazioni mi faccio aiutare da mia cugina Ira, ma l’effetto è sempre limitato geograficamente e nel tempo perché tutti pensano che quelle cose capitino sempre a qualcun altro e dopo qualche giorno di notorietà, a me già non pensano più.
Questa volta però, è stato grandioso! Qui si è messa in discussione la vita stessa, la vita di tutti indistintamente, e di fronte a quella paura ancestrale che è la morte, l’effetto è stato maestoso, oltre ogni aspettativa. Sono entrata come un pensiero fisso, come una colata di pece bollente che ha ricoperto il cuore di tutti. Sono riuscita a mettere contro intere famiglie, padri e madri che hanno rinunciato a vedere i loro figli e viceversa grazie a me, intere nazioni si lanciano accuse tremende di favorire interessi nazionali e addirittura zone geografiche di una stessa nazione, quindi fratelli contro altri fratelli che inveiscono ed insultano, sud contro nord, est contro ovest. Davvero incredibile!
Noto che, in questo clima che ho appena descritto, sono tornati a migliaia, e vanno di gran moda, i delatori, la categoria più meschina mai esistita tra le persone, che oggi invece fanno a gara per emergere. Notano magari qualcuno che sta andando a fare la spesa e pubblicano foto sui social con tanto di volto in modo che si scateni un seguito di odio ed insulti verso qualcuno che magari era in giro per ragioni valide. Era dai tempi del fascismo che non assistevo a questo fenomeno, solo che a quei tempi i delatori restavano nell’ombra per la vergogna, adesso sono fieri di esserlo.
D: “Crede che ci sia un aspetto positivo nel suo operato di questi giorni, oppure è tutto in chiave distruttiva?”
R: “Guardi, sulla base della mia millenaria esperienza, ogni circostanza non è mai soltanto negativa o solo positiva. E’ l’insegnamento che ne traete ed il senso che voi date ad un determinato evento che determina questa cosa.
Come ogni altra espressione dei vostri sentimenti più profondi, io sono una maestra di vita formidabile, quindi ci sono alcuni che traggono beneficio dai miei insegnamenti ed altri che invece dimostrano ogni volta di non aver capito niente. Dovreste fare come gli animali che, come ho detto all’inizio hanno capito fin da subito il mio insegnamento e si comportano di conseguenza.
Vi sto insegnando che certi valori che credevate fondamentali o quantomeno molto importanti sono futili ed insignificanti per la vostra vita, mentre altri che avete trascurato sono vitali.
Prendiamo l’esempio del calcio. Sino a ieri vi scannavate e siete arrivati in certe occasioni ad uccidervi l’un l’altro per difendere i colori di una maglia. Oggi, che anche il calcio è fermo, avete modo di capire quello che esso è veramente. Un circo inutile di gente inutile che non serve a nessuno, fatta eccezione per pochissime persone che lo governano al solo fine di guadagnare miliardi e miliardi alle spalle di poveracci che pagano quei miliardi di tasca loro per immedesimarsi in qualcosa di così vuoto, forse perché hanno dentro di loro un vuoto più vuoto di quello che credono di riempire con il tifo calcistico.
E lo stesso discorso potete applicarlo ad ogni settore ritenuto importante della vita sociale, come la politica e la religione. Io ho tolto il velo della menzogna su tutte le presunte certezze che avete. Il re è nudo, adesso riuscite a vederlo? Spero per voi che sia così, altrimenti sarò costretta a ritornare più duramente di quanto non stia facendo adesso.
D: “Ultima domanda in prospettiva futura. Che scenario si aspetta dopo questo suo passaggio trionfale? Che succederà dopo che si saranno spente le luci sulla ribalta di questa sua eccezionale performance?”
R: “Io so tutto sul passato ma nemmeno una come me è in grado di predire quale sarà il vostro futuro. Sulla base della mia secolare esperienza posso dire che dipende soltanto da voi e dalle lezioni che vi ho dato. Se saprete sfruttare questa incredibile occasione, come i vostri antenati sono stati in grade di fare dopo l’ultima guerra mondiale, allora ci sarà una nuova rinascita, potrete rivedere certi aspetti del sistema che non hanno funzionato e potrete apportare le modifiche necessarie. Inevitabilmente ognuno dovrà pagare un certo prezzo per rimettere in piedi le macerie di un intero sistema e, se sarete disposti ad accollarvi questo sforzo, allora in breve tempo ne sarete fuori. Ma se delegherete ancora una volta le decisioni che verranno a coloro che arriveranno presentandosi sotto le mentite spoglie dei salvatori, allora andrete ancora più a fondo, sino a perdere la vostra libertà ed altri diritti che sino ad oggi ritenevate di non poter mettere in discussione, e se questo succederà, sarà solo colpa vostra.
Se me lo consentite, resterò ancora un pò, quanto basta per completare la mia grande opera distruttiva, poi vi lascerò in pace per qualche altra decina d’anni, ma tornerò di sicuro perchè io sono voi…

Il maestro invisibile

L’errore più madornale che l’essere umano ha commesso nel corso della sua esistenza e che continua a reiterare ancora oggi in misura molto maggiore, è quello di essersi considerato la “specie eletta” del pianeta se non dell’intero Universo, unta da un dio che poi, nei momenti di maggiore necessità, è sempre da qualche altra parte e lascia i piccoli uomini a sbrigare i loro casini da soli.
Questa mania di protagonismo, con l’avanzare dei secoli, è diventata la vera pestilenza che, se non saremo in grado di arginare e guarire, ci sterminerà del tutto, specie se non saremo in grado di osservare i nostri limiti e la nostra piccolezza.
Abbiamo commesso l’imperdonabile errore di fare l’equazione “tecnologia = evoluzione e benessere” e, sotto certi aspetti, può essere anche vero.
Ma avere a casa un paio di elettrodomestici che rispondono ai nostri comandi vocali non fa di noi i signori dell’Universo.
Consideriamo gli animali esseri inferiori da sfruttare, i più compassionevoli ne fanno oggetti da compagnia che devono ubbidire, per non parlare delle piante ed addirittura consideriamo persino buona parte del nostro prossimo come risorsa da sfruttare e quindi ci sfruttiamo l’un l’altro.
Non siamo la “specie eletta”, siamo dei poveri imbecilli.
Abbiamo scoperto qualche legge dell’universo, è vero, ogni tanto qualche genio nasce tra gli imbecilli e toglie un sottile velo dall’infinita oscurità che ci avvolge.
Resta però ancora quasi tutto da scoprire ed in questi giorni, visto che in questo periodo c’è grande carenza di geni ed abbondanza di deficienti, ci ha fatto visita un grande maestro invisibile.
Viene da quella parte della natura che ancora non conosciamo e che invece siamo convinti di dominare ma è lui che in questi giorni sta dominando noi.
Gli abbiamo dato un nome regale, forse inconsciamente per riconoscergli questo ruolo ed è particolare, per chi conosce qualcosa di Kabbalah ebraica, che “corona” in ebraico si dica Keter, che è la Sephirah più alta dell’Albero della vita, il cuore dell’intera Kabbalah.
Keter è l’inconoscibile, ed infatti questo maestro è totalmente sconosciuto e ci sta spaventando, perchè noi, piccoli uomini, abbiamo il terrore dell’ignoto.
Credo che oggi saper “leggere” certi segnali possa servire per non avere quella paura, bensì per comprendere che questo “maestro invisibile” è come ogni maestro, severo con tutti quelli che dimostrano di non aver capito certe lezioni.
Con le vecchie scuole chiuse, vediamo di andare a scuola dal maestro Keter e cerchiamo di far tesoro di quello che ci sta insegnando.
Personalmente, ho capito che la Terra e tutte le sue risorse sono indispensabili per la nostra sopravvivenza, mentre la nostra specie, per il pianeta, è solo una grande rottura di maroni di cui farebbe forse volentieri a meno. La maggior parte delle persone sensibili al problema, giustamente ringrazia la Terra per tutto ciò che ci concede. Io, oggi, chiederei umilmente scusa a nome dei miei simili. Il nostro organismo dispone di anticorpi che attaccano certi agenti patogeni quando si fanno aggressivi, quindi perché la Terra, che è anch’essa un organismo vivente, non potrebbe disporre di un sistema analogo?
Ho imparato ad apprezzare il valore del tempo che ci è stato dato per riuscire a fare qualcosa di grande, di importante, prima che arrivi qualcosa di invisibile a spazzarci via tutti. Quel momento è ancora lontano dall’accadere ma questa esperienza dovrebbe insegnarci che non dovremmo accontentarci di una “piccola vita” standardizzata e sicura fatta di lavoro, stipendio, vacanze ad agosto, TV spazzatura, attesa della pensione e qualche risparmiuccio qua e là in vista di tempi più difficili, perchè non potremo mai sapere quanto “difficili” saranno quei tempi nè quando arriveranno, infatti, nella condizione attuale pensioni e risparmiucci servono a ben poco.
Bisogna a tutti i costi coltivare la fantasia, rincorrere i propri sogni, quelli veri, perchè quelli che vanno bene per tutti non potranno mai essere i vostri sogni.
Ho appreso il potere della paura, quella vera, e come questo terribile potere può distruggere le menti e le vite delle persone anche più forti ed intelligenti molto più di un banale virus. La paura nei singoli individui causa danni all’organismo ed è in grado di fare ammalare il corpo, la paura nelle masse distrugge economie e nazioni intere ed è più facile da instillare. Con la paura addosso le persone smettono di ragionare, di cercare i perchè di una situazione, convinti che quello capita sia opera del caso, di satana, dei pipistrelli, dei cinesi o di chissà chi. Se ci si fermasse a riflettere, mantenendo la mente lucida e funzionante si scoprirebbero un sacco di cose che vincerebbero la paura, perchè niente accade per caso, neanche questo virus.
Ho imparato che la gente non impara mai. Se le viene data forzosamente la possibilità di fermarsi a riflettere, a cercare di capire, a meditare, a leggere un buon libro, o a stare un pò di più in compagnia di coloro che affermano di amare, dopo un paio di giorni gli sembra di impazzire perchè persino quella routine di lavoro noioso ed aperitivi sempre uguali a parlare sempre delle stesse cose con le stesse persone gli manca, perchè è diventata la loro miserabile droga.
Ho imparato che siamo tutti sulla stessa barca e non criticherò mai più l’operato di nessuno, perchè ognuno di noi, a volte, si trova a dover affrontare situazioni difficili ed inaspettate e stare sul divano o in un bar a bere un drink dicendo “si poteva fare questo o quello e non sarebbe successo” è troppo facile e poco intelligente. Ci sentivamo superiori ad altri popoli per cultura, tradizioni, possibilità economiche, colore della pelle o diversa religione ed ecco che il maestro invisibile ha dimostrato che loro sono uguali a noi se non superiori in un momento di bisogno che noi non sappiamo affrontare e loro invece si.
Ne deriva che i confini che noi uomini abbiamo disegnato a matita sulle mappe geografiche in realtà non esistono perchè la stupidità non ha confini, qualunque idioma si parli. Nessuno è migliore di qualche altro, ma solo diverso e la diversità è una risorsa che va capita, apprezzata e valorizzata.
Ho imparato che persino nei momenti più difficili la solidarietà resta sempre insufficiente, perchè non ci si mette mai nelle vesti degli altri per sforzarsi di provare a capire una realtà diversa dalla nostra. Certo non mancano atti di aiuto disinteressato verso chi è più in difficoltà, ma voglio vedere se questa esperienza insegnerà davvero qualcosa sul punto oppure sarà come a Natale, quando tutti sono più buoni per un paio di giorni e dopo tornano a fare gli egoisti di sempre. Per non parlare di quelli che, malgrado il momento difficile dei più deboli, approfittano della situazione come sciacalli a caccia di visibilità e fama scrivendo libri e sgomitando per apparire in programmi televisivi per dimostrare che bisogna seguire soltanto loro che sono i veri specialisti del settore. Peccato che anche tra loro non c’è intesa e si contraddicono l’un l’altro.
Ho imparato ad avere più fiducia in me stesso, a fidarmi delle mie sensazioni profonde che non sono mie e che hanno generato una promessa di affetto nei confronti di tutti che spero di essere in grado di mantenere per il resto della mia vita.
Ho capito che tutti parlano senza sapere ma c’è sicuramente qualcuno che sa senza parlare e questo proprio non lo digerisco.
In conclusione, non so se ho capito qualcosa di tutta questa situazione, di sicuro ho capito di essere diventato una persona migliore.

New Year Day

Sempre attuale…

gecolife

A dicembre si gioca il solito incontro di pugilato che finisce per metterti inevitabilmente al tappeto. Si comincia con la serie di jab dell’immacolata e relativo ponte per arrivare al diretto natalizio. Neanche il tempo di incassare il colpo e ti ritrovi disteso dal montante al volto del capodanno. L’ho già detto, ma lo ribadisco: odio le feste.

In questa settimana infernale il problema che sembra assillare la maggior parte delle persone è sempre la stessa: “che si fa a capodanno?”

Ma poi, cazzo, mi chiedo: perché si deve fare per forza qualcosa? Se sei fortunato ed hai casa, animali e famiglia, perché non approfittarne?

Invece no. Se hai un posto a qualche veglione sei uno “di vita”, mentre se non hai alternative sei uno sfigato.

E già…il veglione. L’incubo di questo periodo. Location e compagnia non hanno importanza, sono secondari. L’importante è partecipare. E non importa se fuori nevica…

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