Conosciamo solo una parte infinitesimale del significato e funzionamento dell’universo e di tutto ciò da cui è formato, compresi noi stessi. E, di conseguenza, conosciamo solo la corrispondente parte di noi stessi e di come funzioniamo a nostra volta.
Tutto ci è sconosciuto e ciò che non arriviamo a conoscere, anche se ne avvertiamo l’esistenza, lo chiamiamo Dio. Dio è tutto ciò che non arriviamo a comprendere, quell’ordine supremo ancora troppo lontano dalle nostre piccole menti limitate.
Per tale ragione quell’ordine non può essere giusto o sbagliato, quel qualcosa, semplicemente esiste.
Ma noi ci identifichiamo con la nostra piccolezza, crediamo di essere al vertice della scala evolutiva ma tra noi e gli uomini delle caverne di decine di migliaia di anni fa non c’è molta differenza, biologica e di pensiero.
Crediamo di aver scoperto le leggi che governano questa che chiamiamo realtà eppure siamo continuamente in balìa degli eventi e ci lamentiamo di qualcosa che chiamiamo fato o Dio e che ci appare giusto o ingiusto a seconda delle nostre aspettative.
Ma possiamo avere davvero la presupponenza di credere che al fato, a Dio o all’universo importi davvero delle nostre minuscole aspettative generate da una mente immatura?
Si pensi a Galileo quando affermò che era la terra a girare attorno al sole e non il contrario, o a quando si era convinti che la stessa terra fosse piatta. I fautori di quelle “strambe” teorie furono emarginati e puniti come eretici e pazzi ma avevano ragione.
Quelle verità erano li, immutabili e a disposizione. C’erano ma non le vedevano. Chi può essere così folle da dire che oggi non siamo nella stessa situazione? Che cioè non riusciamo ancora a vedere cose ed eventi che esistono ma che non riusciamo a percepire?
Fino a quando non riusciremo a rivelare tutta la verità che ci circonda e di cui siamo fatti, esisterà sempre un Dio in cui sarà troppo facile e scontato rifugiarsi e la strada è ancora lunga…
